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Terrorista di Parigi era un rifugiato: Europa pensa di chiudere frontiere

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Terrorista di Parigi era un rifugiato: Europa pensa di chiudere frontiere

Un terrorista di Parigi era entrato come rifugiato. Una notizia ancora in attesa di conferme ufficiali ma che pare attendibile: l’uomo avrebbe sfruttato i cordoni allentati sulle politiche dell’immigrazione per raggiungere la meta e colpire.

Il terrorista di Parigi identificato sarebbe un kamikaze siriano registrato come rifugiato in Grecia. Un altro attentatore di ancora incerta nazionalità, inoltre, sarebbe stato arrestato a Bruxelles, da dove provenivano diversi terroristi tra cui un francese e da cui sono partite due auto per le stragi di Parigi.

Schengen, il miracolo europeo solidalistico sulla più ampia circolazione che finora ha consentito questi liberi spostamenti all’interno dell’Europa, è ormai sempre più fragile e sotto pressione.

Reazione immediata di Parigi e Bruxelles, nelle ore del terrore, è stata infatti la chiusura immediata delle frontiere, grazie a cui è stato catturato il terrorista a Bruxelles.
E l’Ue, tra i cadaveri dell’attentato ancora caldi, ha parlato di unità ma non ha osato spendersi più a difesa della ‘libera circolazione’.

“Oggi è troppo prematuro parlare, dobbiamo ancora raccogliere i dati e le informazioni”, ha detto all’ANSA una portavoce della Commissione Ue interpellata sul futuro di Schengen che, dopo la crisi dei rifugiati, gli attentati di Parigi hanno messo ancora più a rischio.

Bruxelles aspetta un quadro preciso in base a cui muoversi su quello che sta diventando sempre di più il doppio fronte ‘frontiere-migranti’.
Il kamikaze del Bataclan su cui sono stati rinvenuti i documenti siriani – anche se è ancora da confermare che il passaporto appartenga effettivamente all’uomo – ne è forse il simbolo più eloquente: era sbarcato tra i rifugiati entrati in Europa dalla Grecia, sull’isola di Lero.

La conferma viene dal vice ministro dell’Interno greco Nikolaos Toskas: l’uomo è stato registrato dalle autorità elleniche il 3 ottobre, ma ancora non si sa se quelle degli altri paesi sulla ‘rotta balcanica’ ne abbiano mantenuto le tracce.

La Polonia, che sta formando il nuovo governo nazionalista contrario ancor più che il precedente al ricollocamento dei migranti, ha subito colto la palla al balzo.
“La Polonia deve mantenere il controllo completo delle sue frontiere, della sua politica d’asilo e d’immigrazione”, quindi “non vediamo la possibilità politica di rispettare” gli impegni sul ricollocamento dei rifugiati, ha preavvertito il futuro ministro per gli affari europei Konrad Szymanski.

Diversi sono già i Paesi Ue dell’area Schengen che, con l’arrivo dei rifugiati, hanno reintrodotto i controlli alle frontiere, le hanno chiuse o sono sul punto di farlo: Austria, Germania, Ungheria, Svezia, Slovenia, Danimarca, e ora la Francia e, parzialmente, il Belgio.

E controlli rafforzati ai confini, aeroporti e stazioni, dopo la notte da incubo di Parigi seguita da riunioni d’emergenza nazionali in tutti i principali Paesi Ue, sono stati decisi anche da Italia, Spagna, Gran Bretagna.

Come un effetto domino, tutti sembrano chiudersi su stessi anche a causa del terrorista di Parigi che era entrato come rifugiato, ed è arrivata una dichiarazione politica congiunta in formato straordinario dei leader dei 28 e dell’Ue per dimostrare unità: “Si tratta di un attacco contro tutti noi. Faremo fronte a questa minaccia insieme”.

Una dimostrazione d’intenti, spiegano a Bruxelles, fortemente voluta dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker per evitare un’ulteriore implosione. E a cui domani al G20 in Turchia, dove non può non andare perché Paese chiave per rifugiati e sicurezza, sarà lasciato l’arduo compito, insieme al collega Donald Tusk, di dare una direzione al ‘post 13 novembre’.

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