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Infortunio sul lavoro da Covid-19 Coronavirus. La nota dell’INAIL del 17 Marzo 2020

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A Cura dell’ Avv. Gianluca Teat.

Infortunio sul lavoro da Covid-19 Coronavirus. La nota dell'INAIL del 17 Marzo 2020

In questo periodo un elevato numero di lavoratori è esposto al rischio quotidiano di contagio da Covid-19 Coronavirus: dal personale medico ai commessi dei supermercati, dagli autotrasportatori ai dipendenti che lavorano agli sportelli delle poste. Si tratta di un «nucleo» essenziale di lavoratori che non può «fermarsi», pena il collasso sanitario e socio-economico dell’intero Paese.

Il presente articolo cerca di fare chiarezza sul concetto di infortunio sul lavoro nel caso di un particolare evento morboso quale l’infezione da Covid-19 Coronavirus.

Innanzitutto, va chiarita la distinzione tra infortunio e malattia secondo la teoria generale del diritto. L’infortunio è un evento dovuto a una causa fortuita, violenta ed esterna che colpisce un soggetto. Ad esempio, una tegola che cade accidentalmente da un tetto ferendo un passante è un classico esempio di infortunio. La malattia è semplicemente ogni evento che non può essere ricondotto a un infortunio come ad esempio un infarto, un tumore, una malattia infettiva ecc.
(categoria “virus cinese”)

Tali concetti, mutuati dalla teoria generale del diritto e delle assicurazioni, hanno trovato la loro particolare applicazione all’interno del diritto del lavoro.

Il DPR 1124/1965 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) fornisce il quadro normativo di riferimento in tale materia. In particolar modo, vanno analizzati gli articoli 2 e 3.

L’art. 2, comma 1, statuisce: «L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilita’ permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilita’ temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per piu’ di tre giorni.»

Esempio concreto: rientra pertanto nella nozione di infortunio sul lavoro il cedimento di uno scaffale che porta al ferimento di un lavoratore in un magazzino.

L’art. 3 dispone: «L’assicurazione e’ altresi’ obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell’art. 1. La tabella predetta puo’ essere modificata o integrata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la sanita’, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative. Per le malattie professionali, in quanto nel presente titolo non siano stabilite disposizioni speciali, si applicano quelle concernenti gli infortuni.» La storica sentenza della Corte Costituzionale del 10 – 18 febbraio 1988 n. 179 (in G.U. 1 a s.s. 24.02.1988 n. 8) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione «in riferimento all’art. 38, comma secondo, Cost., dell’art. 3, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle leggi sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), nella parte in cui non prevede che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria e’ obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purche’ si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro”».

Esempio concreto: il lavoratore che, a causa della presenza di cloro nel materiale oggetto di lavorazione in una catena di montaggio sviluppa una patologia respiratoria (riconducibile all’inalazione di cloro), contrae una malattia professionale.

Tutto ciò che non è infortunio e malattia professionale (ad esempio un infarto avvenuto sul posto di lavoro, ma non riconducibile all’attività lavorativa) costituisce semplice malattia e tale evento è sottoposto al regime previdenziale generale gestito dall’INPS (e non dall’INAIL).

Una delle grandi differenze tra infortunio e malattia professionale è collegata al regime probatorio, in quanto la prova dell’infortunio sul lavoro è molto più semplice da fornire. Ad esempio, è in re ipsa che lo scaffale che cade, ferendo il lavoratore nel magazzino, è un incidente sul lavoro. Al contrario, dimostrare che certe mansioni ripetute nel tempo hanno causato una particolare malattia professionale può essere molto più complesso e controverso.

Diritto del Lavoro, a cura dell’Avv. Gianluca Teat

Tutto ciò premesso, arriviamo ora alla questione centrale: un lavoratore che si ammala di Covid-19 è vittima di un infortunio sul lavoro? Quale è il regime assicurativo-previdenziale applicabile in casi di questo tipo?

Tale problema era già stato affrontato (con riferimento ad altre patologie) negli anni Ottanta e Novanta. La Giurisprudenza formatasi in quegli anni si era già orientata in senso positivo. La sentenza n. 6390/1998 della Corte di Cassazione stabilì il seguente principio di diritto: «la causa violenta da infortunio, ai sensi dell’art. 2, D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, è da considerarsi anche se dovuta all’azione di fattori microbici o virali che penetrando nell’organismo umano ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico – fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto (accertabile anche con ricorso a presunzioni semplici) con lo svolgimento dell’attività lavorativa».

Alla luce di questa interpretazione, qualora la contrazione del morbo (batteri o virus) sia conseguenza dell’attività lavorativa (fatto accertabile anche mediante presunzioni semplici) sussiste un vero e proprio incidente sul lavoro.

La recentissima Nota del 17 marzo 2020 dell’INAIL conferma e rafforza tale indirizzo interpretativo con riferimento al personale medico-sanitario. Pertanto, nel caso in cui un medico, un infermiere e più in generale tutto il personale del Servizio Sanitario Nazionale (ad esempio anche il conduttore di ambulanze) o di strutture sanitarie private contraggano il Covid-19, l’INAIL presume che tale infezione sia avvenuta in occasione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, viene garantita la tutela assicurativa fornita dall’INAIL. Infatti, in tali casi la causa virulenta è equiparata a quella violenta (in altre parole si tratta di veri e propri infortuni sul lavoro a tutti gli effetti senza che il lavoratore debba provare di aver contratto tale infezione sul posto di lavoro).

Più problematico si profila il caso di quei lavoratori quali commessi di supermercati, sportellisti delle Poste Italiane, dipendenti di banca o baristi/camerieri (ovviamente il problema, in tale ultimo caso, si pone per le infezioni contratte quando i bar/ristoranti erano ancora aperti). Nell’ipotesi in cui tali dipendenti abbiano contratto l’infezione sul posto di lavoro, io personalmente consiglio sempre di denunciarla come tale. Tuttavia, non è scontato che l’INAIL consideri l’infezione da Covid-19 in tali casi come un infortunio sul lavoro. Infatti, sussiste la possibilità che tale malattia sia stata contratta a casa o in altri luoghi e che pertanto l’INAIL richieda al lavoratore di provare l’origine professionale dell’infortunio (ovverosia dimostrare che la malattia è stata contratta sul posto di lavoro). E’ evidente che tale prova può essere tutt’altro che semplice da fornire in molti casi. Sul punto solo l’esperienza operativa dei prossimi mesi (e forse qualche intervento del Legislatore) fornirà i chiarimenti necessari.

Personalmente sono dell’avviso che tutti quei lavoratori che contribuiscono «a non fermare» il Paese (ad esempio dipendenti delle poste, delle banche, dei supermercati, della logistica ecc) debbano beneficiare della tutela assicurativa fornita dall’INAIL e che il Legislatore dovrebbe presumere per legge che tali soggetti hanno contratto la malattia sul posto di lavoro. Se noi oggi abbiamo da mangiare o possiamo inviare una notifica di un atto cartaceo urgente, se i pensionati (e non solo loro) possono prelevare denaro contante… tutto questo lo dobbiamo a questi lavoratori che quotidianamente sono esposti al rischio di contagio.

Non dimentichiamo che il riconoscimento dell’infortunio è particolarmente importante per le conseguenze assicurativo-previdenziali che esso comporta. Oltre ad esserci un significativo numero di lavoratori (soprattutto medici e infermieri) morti per aver contratto il Covid-19, molti di coloro che sopravvivono alla terapia intensiva restano invalidi a vita (perdendo una significativa parte della loro capacità polmonare). In migliaia di casi non si tratta e non si tratterà di un paio di settimane di “infortunio INAIL” o di “malattia INPS”, ma di conseguenze molto più gravi e di lungo periodo. Credete che un magazziniere di una catena di supermercati che ha contratto il Covid-19 e che è sopravvissuto alla terapia intensiva possa tornare a movimentare carichi a ritmi frenetici con una ridotta capacità polmonare come se niente fosse?

Infine, un’ultima nota per quanto riguarda le assicurazioni private per il caso morte, infortunio e malattia (da Covid-19 o comunque direttamente o indirettamente collegate all’emergenza sanitaria in atto). Se avete la pazienza di leggere le decine di pagine di questi contratti di assicurazione, noterete che quasi tutti prevedono delle deroghe/eccezioni al regime di copertura in caso di dichiarazioni di pandemia dichiarate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Pertanto, è molto probabile che, nonostante gli alti premi pagati in questi anni, il contratto di assicurazioni non preveda coperture adeguate nel caso in cui l’assicurato contragga tale malattia. Le compagnia assicurative, come la banche, sono bravissime ad «estrarre» ricchezza dal sistema produttivo-reale per trasferirla nei mercati finanziari globali ove un parte significativa di tale ricchezza «si brucia» come neve al sole in operazioni speculative, invece di essere restituita al sistema produttivo reale, specialmente in caso di necessità. Inoltre, non è nemmeno scontato che tutte le banche e assicurazioni sopravvivano alla probabile catastrofe economica in arrivo. Alla luce di queste considerazioni, non farei grande affidamento sul sistema della assicurazioni private, tanto care all’«avanzatissimo» modello americano destinato a collassare sotto la pressione del Covid-19 molto più di quello italiano.

Infine, una nota conclusiva: le guerre come le pestilenze rappresentano degli incredibili acceleratori storici. L’effetto Covid-19 rende palese l’estrema debolezza e vulnerabilità delle società «avanzate» di matrice liberal-capitalista: l’Italia, come quasi tutti i Paesi Occidentali, è lontanissima dall’autosufficienza alimentare, non dispone di un sistema di scorte adeguate (gestite dall’esercito e dalla protezione civile e non dalle mani rapaci dei privati), non è attrezzata per la guerra batteriologica o nucleare. Se un virus come il Covid-19 (con mortalità molto bassa) ha messo in ginocchio tutto il Paese, figuriamoci cosa potrebbe produrre una grave crisi internazionale, un virus letale come l’Ebola o l’esplosione anche di una sola testata nucleare nel Nord Italia? Morirebbero più persone per mancanza di generi alimentari, dispositivi medicali e per le sommosse popolari/instabilità sociale conseguenti che per la guerra/crisi in se.

La mia speranza è che il Covid-19 faccia riflettere tutti sulla necessità di aumentare la produzione nazionale, ridurre le importazioni dalla Cina/Estremo Oriente e liberarsi dai dogmi del liberal-capitalismo mondiale. Non moneta elettronica, fatturazione elettronica e libera circolazione dei capitali (se salta la rete le transazioni diventano impossibili) avente ad oggetto prodotti cinesi, ma più produzione reale e locale con onesti contratti di lavoro per i nostri dipendenti. Se tale lezione non verrà compresa, l’Italia sarà ancora più impreparata quando inizieranno i problemi veri.

Avv. Gianluca Teat
Autore del Breve manuale operativo in materia di licenziamenti, 2018 (Seconda Edizione), Key EditoreCoautore di Corte Costituzionale, Retribuzioni e Pensioni nella Crisi. La sentenza 30 aprile 2015, n. 70, 2015, Key Editore

( Potete contattarmi via e-mail all’indirizzo avv.gianluca.teat@gmail.com oppure attraverso il mio profilo Facebook Avv. Gianluca Teat o visitare il mio sito internet http://licenziamentodimissioni.it/index.html )

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