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Dimissioni, motivi, giusta causa e NASPI (Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego). Cosa c’è da sapere.

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Dimissioni, motivi, giusta causa e NASPI (Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego). Cosa c’è da sapere.

Le dimissioni del lavoratore sono l’atto con cui quest’ultimo recede unilateralmente dal contratto di lavoro.
Se il licenziamento del dipendente da parte del datore è rigidamente disciplinato dalla legge attraverso una normativa dettagliata e stratificata nel corso dei decenni, in materia di dimissioni vige il principio del recesso libero (artt. 2118 e 2119 c.c.).
Ciò significa che il lavoratore può liberamente decidere di «por fine» al rapporto di lavoro senza dover indicare i motivi o seguire procedure particolarmente lunghe e complesse.

Tuttavia, tale affermazione di principio va circostanziata in base al tipo di contratto di lavoro.

Se il contratto di lavoro è a tempo determinato, il lavoratore può rassegnare le dimissioni in ogni momento se sussiste una giusta causa, altrimenti potrà essere chiamato a risarcire il danno che il proprio recesso ante tempus ha causato al datore di lavoro.

Diritto del Lavoro, a cura dell’Avv. Gianluca Teat

Se il contratto di lavoro è a tempo indeterminato, il lavoratore può dimettersi senza dover addurre alcun motivo e con l’unico limite del periodo di preavviso della durata indicata dal contratto collettivo, salvo la ricorrenza di una giusta causa. In quest’ultimo caso, infatti, non sussiste nemmeno l’obbligo di preavviso.

Cos’è la giusta causa?
L’art. 2119 c.c. la definisce come «una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto». Di conseguenza, si tratta di un fatto o più fatti estremamente gravi che minano alla radice il rapporto fiduciario che deve sussistere tra datore e lavoratore. Esempi di dimissioni per giusta causa possono essere rappresentati dal caso della dipendente costretta a dimettersi per sottrarsi alle «attenzioni sessuali» del datore di lavoro oppure nell’ipotesi di mobbing.

Che rapporto c’è tra dimissioni per giusta causa e NASPI (Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego)?
Anche se la sussistenza della giusta causa non è necessaria per rassegnare le dimissioni, essa riveste un’importanza fondamentale a livello previdenziale. Infatti, la NASPI (Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego), istituita con il Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 22 (in attuazione della Legge 183/2014 Jobs Act), fornisce una copertura economica unicamente in caso di perdita involontaria dell’occupazione (art. 3). Pertanto potrà beneficiare di tale indennità di disoccupazione unicamente il lavoratore che abbia rassegnato le dimissioni per giusta causa, non il dipendente che si dimetta senza motivi o per ragioni non riconducibili alla nozione di giusta causa.

La circolare INPS n. 94 del 12 maggio 2015 di interpretazione del Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 22 all’art. 2.2. lett A specifica i casi di dimissioni per giusta causa in cui l’INPS riconosce sicuramente il trattamento NASPI (a titolo esemplificativo). Si tratta di dimissioni motivate:
dal mancato pagamento della retribuzione;
dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
dal c.d. mobbing;
dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda (art. 2112, comma 4, c.c.);
dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive» previste dall’art. 2103 c.c.;
dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.
L’INPS riconosce l’erogazione della NASPI anche in caso di dimissioni presentate durante il periodo tutelato di maternità ex art. 55 del D.Lgs. n.151 del 2001 (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio).

Cosa accade in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ovverosia, in parole più semplici, nel caso in cui datore di lavoro e lavoratore decidano, di comune accordo, di «porre fine» al contratto di lavoro? 
L’art. 3, comma 2, del Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 22 e l’art 2.2., lett A, della circolare INPS sopra menzionata precisano che in tale ultimo caso la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non è ostativa al riconoscimento della NASPI qualora sia intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione da tenersi presso la Direzione Territoriale del Lavoro secondo le modalità previste all’art. 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 come sostituito dall’art. 1, comma 40, della Legge n. 92 del 2012.

A quanto ammonta la NASPI?
Si ricorda infine che la NASPI eroga un’indennità mensile di disoccupazione pari al 75 per cento della retribuzione persa come conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro nel caso di retribuzione mensile pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 Euro. Viene riconosciuta una somma aggiuntiva in caso di retribuzioni superiori a tale limite. In ogni caso, la Naspi non può superare per l’anno 2015 l’importo mensile massimo di 1.300 Euro (art. 4 Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 22).

La prossima settimana ci concentreremo su altri due istituti giuridici: forma e convalida delle dimissioni.

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Avv. Gianluca Teat
(Potete contattarmi anche via e-mail gt.teat@gmail.com oppure interagire con il mio profilo Facebook Avv. Gianluca Teat)

11/11/2015

Riproduzione vietata

(Immagine: Il Generale George Washington abbandona la sua commissione, dipinto tra il 1822 e il 1824 dall’artista statunitense John Trumbull (1756-1843). Immagine di pubblico dominio.
Forse il quadro più famoso in materia di «dimissioni». Il dipinto immortala George Washington (assieme ad altri «Padri Fondatori») nell’atto di rassegnare le dimissioni da comandante in capo dell’esercito degli «allora nascenti Stati Uniti» davanti al Congresso poco dopo la fine della Guerra d’Indipendenza Americana. Nella cultura giuridica statunitense simboleggia, come un’icona, la supremazia del governo civile su quello militare. Ovviamente nel caso di Washington non si sarebbe mai posta una questione di «indennità di disoccupazione» siccome era un ricco proprietario terriero. Del resto, tutto il gruppo dirigente americano di allora era espressione di famiglie molto abbienti. Tale ceto non fece altro che «collocare se stesso» al posto della precedente amministrazione coloniale inglese, lasciando il resto della popolazione (liberi e schiavi) «più o meno» nella stessa situazione di prima.)

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