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Bossetti colpevole, i giudici: Yara uccisa in un omicidio di inaudita gravità

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Massimo Bossetti, per l’omicidio di Yara Gambirasio, si trova anche ad avere a che fare con le parole di Marita Comi. Suo malgrado, perché ha sempre difeso il marito. Il 4 dicembre 2014 in carcere Marita dice al marito: «Ci ho pensato Massi, eri via quella sera, non mi ricordo a che ora sei venuto e non mi ricordo neanche che cosa hai fatto. Perché all’inizio eravamo arrabbiati, e quindi non te l’ho chiesto. È uscita dopo la storia della scomparsa e non mi hai mai detto che su cosa hai fatto». Lei a processo ha detto che lo incalzava per chiedergli spiegazioni, ma per la Corte in quel momento «attinge ai suoi personali ricordi».

Sul Dna, pilastro dell’inchiesta che gli avvocati di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno attaccato per le modalità delle analisi, i giudici hanno accolto la tesi del pm Letizia Ruggeri. Dunque c’è una «perfetta sovrapponibilità del profilo nucleare di Ignoto 1 e del profilo nucleare di Bossetti». Una traccia sugli slip e sui leggings in corrispondenza di una ferita che «rappresenta piena prova di un contatto» tra la ragazzina indifesa e il muratore di Mapello.

Massimo Bossetti “lascia il suo Dna” ed è “la sua collocazione a provare che egli è l’autore dell’omicidio”. Questo è un dato “privo di qualsiasi ambiguità e insuscettibile di lettura alternativa, né è smentito, né posto in dubbio da acquisizioni probatorie di segno opposto e, anzi, è direttamente confermato da elementi ulteriori, di valore meramente indiziante, compatibili con tale dato e tra di loro”.

Queste le parole, pesanti come macigni, delle motivazioni della sentenza che il primo luglio scorso ha condannato Bossetti, carpentiere e muratore di 45 anni, sposato e padre di tre figli ancora minorenni, per l’omicidio di Yara Gambirasio, scomparsa di casa il 26 novembre del 2010 da Brembate di Sopra e trovata uccisa in un campo di Chignolo d’Isola, a qualche chilometro di distanza dopo tre mesi in cui l’intero Paese era piombato nell’angoscia.

In quelle 158 pagine, il presidente della Corte d’assise di Bergamo, Antonella Bertoja, e il giudice a latere Ilaria Sanesi, definiscono il delitto della ginnasta adolescente un “omicidio di inaudita gravità”, “maturato in un contesto di avances a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare nell’imputato una reazione di violenza e sadismo di cui non aveva mai dato prova ad allora”.

Spiegano che l’aggravante delle sevizie e crudeltà “disvela l’animo malvagio” dell’imputato. “Le sevizie in termini oggettivi e prevalentemente fisici – scrivono – la crudeltà in termini soggettivi e morali di appagamento dell’istinto di arrecare dolore e di assenza di sentimenti di compassione e pietà”.

Il Dna di Ignoto 1, figlio illegittimo dell’autista di autobus Giuseppe Guerinoni, morto nel ’99, che poi sarà identificato con Bossetti è “assolutamente affidabile”, così com’è “caratterizzato per un elevato numero di marcatori Str e verificato mediante una pluralità di analisi eseguite nel rispetto dei parametri elaborati dalla comunità scientifica internazionale”.

I giudici sgomberano il campo anche dai dubbi della difesa sulla mancata corrispondenza tra il Dna nucleare e quello mitocondriale nella traccia trovata sugli slip e sui leggins che indossava Yara, un cavallo di battaglia dei legali che, sulla scorta di questo, aveva ipotizzato la presenza di un Ignoto 2: tutti i consulenti hanno chiarito che il Dna mitocondriale non individua un singolo individuo ma l’intera linea materlineare e “avendo disposizione il Dna nucleare, la ricerca a fini identificativi è inutile”.

Sull’insegnante della ragazza, Silvia Brena, il cui Dna fu trovato sulla manica del giubbotto di Yara è “in una posizione non paragonabile a quella in cui è stato trovato il profilo dell’imputato” e le indagini a suo carico, anche con intercettazioni, non hanno portato a nulla. Così come quelle sul custode della palestra, anch’egli intercettato e anche perquisito.

Dna “prova granitica” a cui si aggiungono “elementi di natura indiziaria”: i tabulati telefonici consentono di escludere che Bossetti il giorno dell’omicidio fosse altrove rispetto a Brembate.

Nessun riscontro ai movimenti ipotizzati dal muratore quel pomeriggio: non lo ricorda la commercialista “nessuno degli edicolanti sentiti in dibattimento ha ricordato di aver visto Bossetti quel giorno; anche per comperare dei pacchetti di figurine, comunque sarebbero stati sufficienti
pochi minuti”.

Bossetti, e le intercettazioni in carcere con la moglie, Marita Comi, lo dimostrerebbero, “non ha taciuto i suoi spostamenti solo dopo il fermo, ma da subito”. I giudici ricordano che, nella conversazione intercettata il 4 dicembre del 2014 nel carcere bergamasco di via Gleno, Marita Comi “ricorda perfettamente che quella sera il marito era rientrato tardi e soprattutto gli contesta che nella varie occasioni in cui avevano parlato lui non gli aveva mai fornito una spiegazione esauriente”.

Poi le ricerche nei computer a sfondo hard su “ragazzine”: una certamente effettuata mentre era solo
in casa.

E’ una sentenza “totalmente appiattita sule tesi dell’accusa”, reagisce uno dei legali del muratore, Claudio Salvagni, che a proposito del movente di natura sessuale ipotizzato dai giudici parla di “film non supportato da elementi probatori”.

“I giudici sono andati addirittura oltre le argomentazioni del pm”, ha concluso il legale che ha annunciato ricorso in appello.

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