Quando muore un uomo c’è sempre una zona d’ombra. Quando muore un grande uomo, non un uomo potente, ma un uomo che ha dedicato la sua vita alla causa della giustizia e dei diritti sociali, ci sentiamo tutti un po’ più soli.
Ed è giusto che sia così, peccato che sempre un Uomo debba morire, per tirar fuori le parole giuste. Mi permetto una personale sensazione. Ascoltavo sempre la conversazione domenicale di Marco su Radio radicale, ho sentito le sue ultime parole “pubbliche” appellarsi al diritto alla conoscenza, cercare ancora, nonostante la voce gli venisse meno, un modo di ricercar giustizia.
Ho ascoltato attonita e meravigliata (e imparato) la profondità della sua cultura. E non tanto e non solo per il divorzio e le battaglie civili, ma per ciò che proponeva, sforzandosi, di dirci.
Ci spingeva ad essere migliori, a guardare agli ultimi della terra, di non girare la faccia davanti alle realtà difficile e soprattutto mi ha appassionato la sua lealtà il suo modo di credere, la sua fede sulle risorse dell’uomo.
Tante volte l’ho sentito sfiduciato, perché non sempre chi gli era accanto riusciva a reggere la sua forza intellettuale, il suo spazio visivo ampio e articolato.
Tanti miopi e tanti presbiti non gli hanno facilitato la vita, anche se lui tutto voleva, ma non una vita facile.
Oggi i più deboli, i diseredati, i dimenticati hanno perso un amico vero. E noi con lui, che gli dobbiamo una rispettosa riconoscenza.
Andreina Corso| 20/05/2016 | (Photo d’archive) | [cod marcopa]