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Campigli e gli Etruschi, una pagana felicità – Mostra del Palazzo Franchetti di Venezia

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«L’influenza che subii più a lungo fu quella dell’arte etrusca che nel 1928 diede svolta alla mia pittura. […] Nei miei quadri entrò una pagana felicità, tanto nello spirito dei soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico» (Massimo Campigli, pseudonimo di Max Ihlenfeldt, Berlino, 1895 – Saint Tropez, 1971)

 

 

 

Campigli e gli Etruschi, una pagana felicità è il titolo della mostra visitabile fino al 30 settembre 2021 nel Palazzo Franchetti di Venezia, situato vicino al ponte dell’Accademia. Un luogo che ho visitato apprezzando con profonda ammirazione la cura nei dettagli. Un’esposizione che sicuramente è di grande effetto e che merita davvero la nostra attenzione. Allestita nei prestigiosi spazi del Palazzo, la mostra risulta un’occasione unica per poter ammirare due raccolte di estremo interesse.
Il pittore Massimo Campigli e gli etruschi sono i protagonisti assoluti della scena artistica. È il loro magistrale connubio a rendere questo scrigno prezioso una leccornia per gli amanti della cultura storico-artistica. Entrando nel Palazzo, si rimane immediatamente colpiti dalla meravigliosa scalinata che precede la mostra, dove ad accoglierci c’è un meraviglioso sarcofago etrusco. Conservato nel Museo Civico Archeologico di Viterbo, è un sarcofago fittile in terracotta, modellato in quattro parti, due per la cassa e due per il coperchio, risalente alla seconda metà del III secolo a.C. La figura femminile indossa un chitone a mezze maniche e una lunga tunica. Sulla veste della fanciulla, adagiata su una specie di materasso, che a sua volta poggia su una cassa, è posato un velo (himation): «I reperti antichi esposti nella mostra rappresentano un repertorio ampio e particolareggiato dell’arte etrusca nel suo sviluppo plurisecolare e nelle sue molteplici espressioni, abbracciando alcune delle tecniche più rappresentativa e delle classi di materiali che meglio esprimono le peculiarità della creatività degli artigiani e etruschi e le influenze delle altre correnti artistiche del Mediterraneo antico sulle loro creazioni». (Leonardo Bochicchio-Simona Carosi, 2021)

 

 

La visita prosegue incontrando un altro sarcofago, che questa volta è stato abbinato a un dipinto di Massimo Campigli, intitolato “Zingari” del 1928, per il quale il pittore si ispirò contemplando proprio l’arte etrusca. La copertina dell’articolo ritrae il quadro di Campigli accostato al sarcofago fittile maschile della fine del III, inizio del II sec. a.C.

Campigli fu un artista singolare, che ebbe modo di conoscere i futuristi Carlo Carrà e Umberto Boccioni, dedicando anche vari testi futuristi di cosiddette parole in libertà.

Ma la svolta della sua carriera artistica avvenne in una data precisa, ovverosia nel 1928, quando Campigli si recò a visitare il Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, del quale ne rimase folgorato: «Egli stesso sottolineava che era stato lo “spirito” dell’arte etrusca, e non singole opere identificabili, a suscitare in lui “emozioni” che aveva potuto tradurre in pittura. […] Se in precedenza aveva nutrito interesse – come i cubisti e i puristi, che teneva all’epoca in grande sitma – solo per un’antichità in cui si incarnassero principi esemplari di ordine, proporzioni e armonia, adesso invece si apriva a opere che lo tangevano personalmente». (Eva Weiss, 2021)

Ecco allora che l’esposizione ci regala, in un rapporto sintonico, un vero e proprio dialogo tra una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali ancora inediti, e le 35 opere di Campigli.

Se avrete occasione di andare a Venezia vi consiglio caldamente di visitarla.

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Massimo Campigli, Zingari, 1928, olio su tela 94,4×76 cm. Milano, Collezione Augusto e Francesca Giovanardi

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