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Whatsapp cede dati a Facebook? Fuga di utenti in massa: sospeso tutto per tre mesi

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Whatsapp cede i dati a Facebook? Sul punto c’è una gran confusione, dice l’azienda di messaggistica, ma ormai il l’allarme era partito tra i suoi utenti ed erano partite disinstallazioni della App in massa. Tanto che WhatsApp ha deciso di posticipare le nuove norme della privacy di 3 mesi. Ogni utente avrà tempo fino al 15 maggio per accettarle o meno. Whatsapp e teorie cospirazionistiche: non è la prima volta che le due strade si incrociano, ma conviene capire come stanno davvero le cose.

I nostri dati di Whatsapp, la nostra privacy, che fine faranno?

Confermiamo intanto che Facebook (proprietario del sistema di messaggistica) ha posticipato al 15 maggio i nuovi termini sulla privacy per WhatsApp, concedendo, di fatto, un rinvio di tre mesi in più agli utenti per rivederle e accettarle se lo ritengono.
L’annuncio segue la pioggia di critiche piovute sulla app che tutti usano per mandare messaggi (ma non solo) per l’aggiornamento dell’informativa sulla privacy e la fuga dal servizio verso le rivali Signal e Telegram. Inizialmente WhatsApp aveva fissato all’8 febbraio la scadenza per rivedere e accettare l’aggiornamento dell’informativa sulla privacy, pena la sospensione o l’eliminazione dell’account.
Ora invece la società comunica che inviterà i suoi “utenti a rivedere l’informativa prima del 15 maggio, quando saranno disponibili le nuove opzioni business”.
La decisione è legata alla “confusione” che si è creata, spiega WhatsApp chiarendo che “l’ultimo aggiornamento non cambia nulla” del concetto fondamentale della società.
L’app “si fonda su un concetto semplice: tutto ciò che condividi con familiari e amici rimane tra voi. Questo significa che continueremo a proteggere le tue conversazioni personali con la crittografia end-to-end”, spiega WhatsApp.
L’ultimo aggiornamento “non cambia nulla di tutto questo” ma include “nuove opzioni facoltative che consentono agli utenti lo scambio di messaggi con le aziende che usano WhatsApp e

offrono maggiore trasparenza sulle nostre modalità di raccolta e utilizzo dei dati. Con questo aggiornamento non aumenta la nostra capacità di condividere le informazioni con Facebook”. “Continueremo – osserva la società – a fare del nostro meglio per rendere WhatsApp il modo migliore di comunicare privatamente”.
Whatsapp da quando è partito è sempre stato percepito come qualcosa di “proprio” e di “personale” dagli utenti che ne hanno trovato l’estensione ideale per le attività con cellulare. Tanto da aver sempre mal sopportato le intromissioni di chiunque in questo rapporto, anche di proprietari e gestori. Tanto che solo l’idea di metterla a pagamento nel 2013 (1 euro l’anno) aveva scatenato una vera e propria guerra di reazioni anche ostili.

Disinstallando Whatsapp, cosa farà la gente?

Il passaparola è già partito e chi vince, al momento, sono Telegram e Signal , ritenute le chat alternative a WhatsApp.
Molti si sono già mossi dopo che l’app di proprietà di Mark Zuckerberg che conta nel mondo due miliardi di utenti, ha annunciato nei giorni scorsi la modifica ai suoi termini di servizio sulla privacy.
Molti non hanno tenuto però conto che queste modifiche non impattano sull’Italia e sull’Europa dove vige il Gdpr, il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali.
“Nonostante l’obbligo di accettare i nuovi termini del servizio non ci sarà un aumento della condivisione di dati tra società diverse né alcun genere di cambiamento significativo”, ha spiegato all’ANSA Ernesto Belisario, avvocato esperto in diritto delle tecnologie che sottolinea come “alcuni dati già venivano condivisi tra WhatsApp e Facebook, come ad esempio la mail con cui gli utenti si registrano al servizio o le informazioni sul dispositivo da cui viene usata l’app. Whatsapp ha chiesto agli utenti di accettare i nuovi termini di servizio e non di prestare un nuovo consenso privacy, una prassi frequente”, sottolinea.
WhatsApp sì, Whatsapp no, ha in ogni caso fatto impennare la popolarità delle ‘rivali’ app alternative.
Come Telegram che nelle ultime 72 ore ha registrato 25 milioni di nuovi utenti.
L’app fondata nel 2013 dal russo Pavel Durov, ai primi di gennaio contava oltre 500 milioni di utenti attivi mensilmente.
“Le persone non vogliono più

scambiare la loro privacy con servizi gratuiti”, spiega Durov sottolineando che la sua chat è diventata il “più grande rifugio” per chi cerca una piattaforma di comunicazione privata.
Il 38% dei nuovi utenti viene dall’Asia, il 27% dall’Europa, il 21% dall’America Latina e l’8% da Medio Oriente e Nord Africa.
Un’altra chat che ha registrato un’impennata di download dopo le critiche a WhatsApp è Signal, sviluppata nel 2013 da un gruppo di attivisti per la privacy e finanziata, tra gli altri, da Brian Acton uno dei fondatori di WhatsApp che ha lasciato la società nel 2017 in disaccordo con la gestione di Facebook che l’aveva comprata tre anni prima.
Secondo gli analisti di Sensor Tower, la chat è stata scaricata a livello globale 8,8 milioni di volte dopo che WhatsApp ha annunciato le modifiche.
Picchi di download si sono registrati in India (da 12mila a 2,7 milioni), ma anche negli Usa (da 63mila a 1,1 milioni).
Signal ha pure ricevuto l’endorsement di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, patron di Tesla e Space X.
Telegram e Signal, così come WhatsApp, si basano su sistemi di crittografia ‘end-to-end’, consentono cioè che le conversazioni tra gli utenti delle chat possano essere viste solo da mittente e ricevente. Nemmeno i gestori delle app possono vederle.
Signal, a differenza di WhatsApp e Telegram, non conserva neanche i metadati delle conversazioni, cioè le informazioni su dove, quando e con chi hanno comunicato i suoi utenti.
Se per gli utenti di WhatsApp europei e del Regno Unito non cambia nulla, “al di fuori dell’Unione Europea – sottolinea Ernesto Belisario – sarà obbligatorio accettare la condivisione dei dati di WhatsApp con Facebook. Questo significa che informazioni come il numero di cellulare, la rubrica dei contatti o il messaggio di stato potranno essere utilizzati dal social network per mostrare pubblicità personalizzate. Come dimostra bene questa vicenda – conclude l’esperto – le norme del Gdpr sono utili anche in relazione all’obbligo di trasparenza che incombe sui titolari del trattamento. Gli utenti devono avere tutte le informazioni necessarie a scegliere se utilizzare o meno un servizio, eventualmente mettendo in concorrenza diversi servizi e privilegiando quelli meno invasivi”.

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