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Venezia, domani andrò a fare la spesa, cosa dirò alla cassiera?

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Scusate se racconto fatti miei, ma non ho neanche la possibilità di parlare con qualcuno. Giovedì scorso sono dovuto andare al supermercato. Carrello, sciarpa sulla bocca, e via. Mezz’oretta di coda e poi dentro tre per volta.

Nel giro di una decina di minuti arrivo alla cassa e mi accoglie la consueta ragazzina con la solita gentilezza. La guardo, ha lo sguardo smarrito.

“Amore… come stai…?”. Mi pare una bambina, è minuta, esile. Avrà vent’anni. Io ne ho 65, so che non pensa male, ci si vede così da molto tempo.

Solo gli occhi emergono da una mascherina troppo grande. Quegli occhi che cercano nervosamente attorno qualcosa che non c’è, che non ci può essere, che cercano di capire una cosa che non si può capire. Che ora si fermano davanti alla mia domanda per guardarmi con la solita educazione: “Non ce la faccio più. Ho paura. Qua non ci dicono niente. La situazione è troppo stressante. L’unico momento in cui riesco ad avere qualche informazione è quando si riesce a parlare per qualche secondo con un collega. Ma spesso anche questi discorsi aumentano lo stato di agitazione”.

Mi toglie il cuore. E’ come un passerotto impaurito che vorrebbe volare via ma non può. Mentre io con la mia spesa tornerò a casa, lei sarà ancora la, davanti altra gente. E poi ancora, e poi anche il giorno successivo, e via dicendo.

“Dormo poco – continua lei cogliendo un attimo in cui non c’è nessuno in attesa di pagare – . Cerco di seguire i telegiornali quando posso ma non c’è mai una soluzione e ormai parlano sempre e solo di quello. Si capisce che la cosa è grave, molto grave. Forse ancora di più di quello che ci dicono”.

Mi aiuta a mettere i prodotti nei sacchetti. E continua: “E poi c’è troppa gente. C’è chi viene tutti i giorni per ‘due robe’, e persino chi viene due volte al giorno. Oppure la mattina il marito e il pomeriggio la moglie. Pensano che non ce ne accorgiamo. Magari in cassa ti dicono ‘Ehh, xe tanto che non vegno…’ ma noi ci ricordiamo, li riconosciamo, è una vita che vengono qua…”. “Ma è per fare tanta scorta?” chiedo io, “Macché, usano il pretesto del supermercato per fare la passeggiatina”.

“E tu non sai mai chi hai davanti – continua lei – , cerchi di scrutare se ha qualche sintomo per rassicurarti, ma in fondo che cosa ne sai? Che cosa sappiamo di questo virus?”

La ragazzina è attanagliata dalla paura, lo si può capire con una semplice occhiata. Il ciuffo biondo che di solito le incornicia il viso è appoggiato sulla mascherina: trema. Probabilmente noi ‘non più giovani’ dovremmo avere una sorta di impegno morale nel dare una risposta giusta. Ipotizzando la maturità e l’esperienza della vita – che in questo caso non serve a nulla perché una cosa così non si era mai vista – io credo che lei si aspetti la parola giusta e magari la ascolti assegnandole relativa attendibilità.

Così cerco di rassicurarla: “Dai, vedrai che passerà presto. Accade sempre che arriva una sorpresa inaspettata che cambia tutto. Dobbiamo pensare che ci sono tutti i cervelli migliori del mondo che stanno studiando in queste ore questo virus, studiano un vaccino, studiano i farmaci…”. “Speriamo…sì”, risponde senza effetti apparenti.

Quindi rincaro: “E poi parlavo con un mio amico, un grosso professore che lavora in ospedale, e mi diceva che la situazione da noi non è affatto così grave come si vede per la televisione, da noi la situazione è abbastanza tranquilla e sotto controllo”.

Mi guarda con gli occhi sgranati e capisco che questa volta l’ho colpita con la mia bugia. Le ho dato una piccola informazione nuova, un piccolo sostegno a cui aggrapparsi psicologicamente. In effetti una menzogna veniale a scopo ‘terapeutico’ perché capivo che in quello stato poteva crollare ma non per il virus.

Ci siamo salutati con il tono dimesso che timbra tutte le interazioni di questi tempi e io penso che non dimenticherò facilmente quello sguardo, quegli occhi.

Scrivo queste righe perché ci sto ancora pensando e perché ora si affaccia un nuovo problema: domani, giovedì, essendo passata una settimana, dovrò andare di nuovo a fare la spesa.

Che cosa le dirò?

(lettera firmata)

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3 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Ho una figlia di 16 anni, se c’è una cosa che le ho insegnato è di mordere la vita, non fuggire davanti alle difficoltà, anche quando non sei preparato, almeno provare prima di arrendersi. Essere gentili e aiutare gli altri. Penso che se lei si fa vedere sereno e fiducioso potrà trasmettere quella forza che servirà a quella ragazza per continuare un altro giorno. E questo articolo in fondo può averla già aiutata se impedirà alle persone di essere meno egoiste e a restare a casa e andare a fare la spesa una volta alla settimana.

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