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UNA RICHIESTA DI CAMBIAMENTO di Alvise Borghi [concorso letterario]

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Cosa può fare una partita iva non pagata durante una quarantena?
Be… mi dispiace deludervi dando una risposta senza colpi di scena. Non può fare nulla.
Allora proviamo ad impostare la domanda in un’altra maniera.
Cosa può fare una partita iva non pagata, insoddisfatta del proprio lavoro, rinchiusa in quattro mura durante una pandemia globale?

Molto!

È fu proprio la domanda che mi posi io, quando quella sera, mentre mi preparavo i pasti, (come di consuetudine), per il successivo giorno di lavoro, udii il premier annunciare uno stop forzato di tutto il mio settore per una durata di quindici o venti giorni, sinceramente non ricordo; che poi si protrasse… ma quella è un’altra storia.

Trassi un sospiro misto di sollievo e preoccupazione. Si quel cinismo egocentrico che mi fa schifo pure scriverlo… ma va bene, devo essere sincero no?!
Poteva essere l’occasione giusta per adempiere ai compiti a cui dedicavo sempre poco tempo, come la stesura del mio romanzo, la meditazione, e il riposarmi. Tutte cose che in effetti feci.
Non avevo, stupidamente, messo in conto un piccolo ma essenziale particolare; noi umani non siamo mai contenti, e questa volta a ragione.

Quando le settimane da due divennero quattro, e da quattro divennero sei, ringraziai Dio di non essere single e di avere una congiunta sotto il mio stesso tetto. Perché sì, ora si chiamavano così.
Il sesso non mancava… anzi, tra una serie TV e una scopata il tempo fluiva che era una meraviglia, e si riscoprivano certi valori domestici come lo stare insieme e condividere molti aspetti dell’intimità; si non solo il letto, ovviamente! Ma non era solo quello.

Non comprendevo le isterie collettive di chi si sentiva segregato in casa con il proprio partner, dipingendo l’ambiente domestico come la sceneggiatura di un film di Quentin Tarantino.
Dopo un periodo pre-covid di allontanamento tra me e la mia ragazza, assistetti a qualcosa di spontaneo quanto miracoloso. Un ricongiungersi armonioso nella stessa amara sorte.

In ogni modo non era il sesso, né l’ipocondria e nemmeno il flusso di ispirazione narrativa che cambiò il mio modo di vedere le cose.
Scoprii, che il miglior modo per vedere il mondo era affacciarmi alla mia terrazza. E nella mia terrazza, in un paio di giorni, il mondo mi corteggiò e mi spinse ad ascoltarlo come mai avevo fatto prima.

Era un iniezione endovenosa di sensibilità, una flebo di amore collettivo che ogni giorno, specialmente al crepuscolo, (momento che amo), mi sparavo senza troppi se e senza troppi ma.
Riscoprii il silenzio. Un silenzio che lasciava trapelare la musica della creazione, un orchestra antica che non aveva mai smesso di suonare; l’avevamo solo ignorata. Il frusciare delle foglie, la miriade di cinguettii spesso uno differente dall’altro, il ronzare di un’ape.

La terrazza era diventata la mia vera casa. Mi posizionavo là, e attendevo fino a che l’ultimo bagliore del tramonto non svaniva, cedendo il posto alle altrettanto amate luci dei lampioni.
Un giorno, sempre a orario zenit, me ne stavo la, assorto nel mio silenzio mentale, osservando le solite quanto mai differenti sfumature cromatiche. I notiziari che trapelavano dalle finestre aperte delle case del circondario facevano a pugni con il canto dei grilli… sì perché sul far della sera, le cicale cedono lo spartito ai grilli.

Discostai il mio sguardo dalla notte incombente e scrutai i cortili delle case sottostanti, poi i terrazzi, i balconi e le finestre. Abitudine che poi presi regolarmente… no non sono uno stalker e nemmeno un guardone.

Non c’era nessuno. Non c’era mai nessuno che uscisse. Questo mi colpì e forse, in parte, profondamente mi ferì. Come era possibile che in quel periodo dove tutti o quasi erano costretti a casa, nessuno si degnasse di spendere il proprio tempo ad affacciarsi alla finestra, e diventare un tutt’uno con quel cielo, con quelle stelle, con quel boschetto e con quei suoni. Mi resi conto che l’Uomo non era solo cieco, ma era anche sordo.

Immerso in quei silenzi, finii per saziarmi e non aver più fame di cibi materiali. Era come se ogni giorno collegavo la mia spina all’invisibile presa del mondo e da quella mi ricaricavo e comunicavo con esso.

Ora lo so… diventerò criticabile e poco sensibile. Non vogliatemi male. Scosso e deturpato internamente da ciò che succedeva nel mondo, smisi di seguire ogni forma di informazione, e mi dedicai solo al mio rapporto con la mia nuova amante, la Terra. Il nostro rapporto divenne così viscerale che spesso spesi qualche lacrima per lei.

Dentro di me iniziai a temere, non la quarantena, ma la fine di questa. Non accettavo più l’idea di tornare alla routine del consumismo sfrenato, del corri, del mordi e del fuggi. La madre Terra ci stava dando una possibilità di ascoltarla un ultima volta, o almeno così mi è parso. Ci dava la possibilità di assaporare una vita lenta e armoniosa con essa. Un banco di prova per spingerci a ricalibrarci in un’altra lunghezza d’onda.

Quel giorno che, si… lo sapete già, ero alla mia terrazza, e cominciai a sentire lo scorrere delle auto riprendere il suo antico regime, una stretta allo stomaco prese il sopravvento. Mi resi conto che la fine di quel sogno, lento e sensuale, si stava avvicinando sempre di più.
Fu sempre dalla mia terrazza che il diciotto maggio salutai definitivamente quel mondo idilliaco, forse quanto mai fittizio.

Ricordo ancora le parole del nostro prode Zaia, (e non sto facendo sarcasmo), annunciare il mio ritorno sulla carreggiata del mordi e fuggi. Parole accolte con gioia dal mio conto in banca, ma accettate con dolore dalla mia anima.

Ora come ora, adoro ricordare la mia quarantena come un periodo doloroso ma altresì costruttivo per la mia coscienza interiore e il mio rapporto con il mondo.

 

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