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UNA LETTRICE IN QUARANTENA di Olivia Di Mare

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Il Tg delle 13.30 volgeva al termine, di lì a poco sarebbero iniziati i vari talk-show pomeridiani sulla drammatica situazione pandemica che stava affliggendo l’intero pianeta. Da due mesi ormai non si parlava d’altro. Tutto era così assurdo, incomprensibile e nessuno si capacitava veramente di quanto stesse accadendo.
Ad un tratto si sentì il “crepitio” del caffè nella moka. Flora spense il televisore e se ne andò in cucina, prese una tazzina e versò il caffè caldo. Mentre lo sorseggiava si avvicinò alla vetrata, che dal salotto portava al patio esterno, pensò: “Quanto amo questo giardino, è il mio rifugio, il mio angolo di pace.” Si spostò verso lo scrittoio e prese I Fiori Blu di Raymond Queneau, il romanzo che aveva iniziato qualche giorno prima.
Amava leggere, ma non era una lettrice vorace e insaziabile. Ciò che le interessava era perdersi tra le pagine nell’autentica bellezza della narrativa. Da circa un anno partecipava con regolarità al gruppo di lettura della biblioteca per il puro piacere della condivisione letteraria e per la compagnia dei partecipanti, sempre così stravaganti e ironici. Quanto le mancava quell’appuntamento mensile! Quanto le mancavano quegli amici e… soprattutto quanto le mancava Vittorio! Lo aveva conosciuto in una piccola libreria specializzata in libri usati, più precisamente davanti allo scaffale dei grandi classici, di cui lui era un gran conoscitore ed estimatore. Da subito le aveva parlato del Club dei Lettori Solitari che lui stesso aveva fondato e lei si era lasciata conquistare dalle sue parole, da quella voce suadente, dalla teatralità̀ del suo portamento, insomma dallo charme che emanava.

Due settimane dopo andò al suo primo incontro con il gruppo di lettura. Fu subito amore! Amore nei confronti dei libri, dei nuovi compagni di avventura e di Vittorio… anche se di quest’ultimo non lo voleva ammettere.
Mentre tutti questi pensieri affollavano la sua mente, uscì in giardino. Il termometro segnava 25°. Per essere il 29 aprile faceva un gran caldo. Le rose antiche, Chapeau De Napoleon, nel piccolo angolo fiorito erano completamente sbocciate. Talmente belle che sembravano dipinte, attraevano le api cariche di vita. Flora si sdraiò sul lettino sotto l’ombrellone e s’immerse in quella lettura visionaria e onirica, un po’ come lei.
Fuori le strade erano completamente deserte, non si sentiva alcun rumore, si percepiva nell’aria un non so che di autentico, una sorta di ritorno alle origini. La natura, stanca delle continue malefatte degli uomini, si era riappropriata dei suoi spazi. Sembrava quasi che qualcuno avesse di colpo gridato: “Stop! Basta! Fermatevi! Dove state andando? Dove volete arrivare?” Dopo aver udito queste parole il mondo intero pareva essersi fermato.
All’improvviso si sentì: DLIN DLON… e ancora DLIN DON… Il campanello di casa la fece sobbalzare. Flora, confusa tra sogno e realtà, s’alzò in piedi con quella sua lunga chioma riccia completamente scompigliata e corse a rispondere al citofono:

“Chi è?”
“Signora Flora Barbieri?”
“Si, sono io.”
“Sono il corriere. Ho una consegna per lei.”
“Mi dia un minuto per favore.”
Flora s’infilò un paio di scarpe e uscì. Vide il corriere appoggiato al cancello che l’aspettava.
“Indossi la mascherina!” gridò il corriere.
“Ah già la mascherina! Ma dove l’avrò messa? La mia solita sbadataggine!” pensò Flora.
Rientrò in casa e rovistò un po’ dappertutto. Finalmente la trovò. Uscì dopo essersi coperta naso e bocca con una mascherina di tessuto ricamata a mano, con una scritta in rilievo “Viva la Vida”.
“Signora, non ho tutto il pomeriggio. Devo lavorare io!” disse l’uomo.
“Si, scusi. Arrivo.” ribatté Flora.
“Ecco, questo è per lei. Una firma qui.” disse tutto scocciato.
“Grazie.” rispose lei sorridente.

Il corriere se ne andò senza nemmeno salutare e Flora rimase lì impalata, ancora persa tra i suoi pensieri, ma con il suo enorme pacco pieno zeppo di nuovi libri, provviste per l’anima ai tempi del coronavirus.

 

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