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QUELLA SERA NON ERA COME LE ALTRE di Giovanni Digiovanni [concorso letterario]

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La terrazza
Guardava il quartiere dalla propria terrazza. L’unica sigaretta della giornata tra le dita.
Il lavoro era fermo da mesi. I suoi due colleghi dello studio «Architetti associati», che si occupava soprattutto di allestimenti per spettacoli e avvenimenti culturali, avevano famiglia lui no e al momento aveva esaurito la voglia di relazioni intime. Vi coglieva sempre più il meccanismo pragmatico che non quello affettivo. Forse l’effetto della mezza età con il suo bagaglio di disillusioni.
Solo e casalingo quindi. Situazione che come prima disposizione non gli dispiaceva .Di sicuro non si sarebbe annoiato Le cose da fare in un momento di pausa si erano accumulate negli anni perché regolarmente rimandate.
Del risveglio di quella mattina ricordava il sogno. Una strana giornata trascorsa con una amica che era mancata anni prima. Un medico del lavoro di una sensibilità speciale .Dopo tutto quel tempo gli mancava ancora. Aveva trascorso nel sogno una giornata con lei e si era alzato di buon umore.
I sogni, aveva notato in quei giorni di chiusura di quasi tutte le attività, riusciva a ricordarli con facilità mentre con calma sbrigava in bagno la consueta routine. Sognava anche nei giorni di lavoro la differenza era che al mattino doveva in fretta uscire di casa ingollare un caffè e un cornetto al bar e recarsi allo studio. Così gli impegni a raffica, fin da subito, gli cancellavano tutto.

La sera si era fatta più scura. Guardava il rientro dei rari vicini che mantenevano il lavoro. Impiegati dei grandi magazzini, infermieri qualche autista dei mezzi pubblici. Un medico. C’erano anche le coppie abituate a fare la spesa a fine giornata. Il fruscio delle auto che parcheggiavano. Il botto delle portiere. Poi il silenzio delle persone che si avviavano verso gli ingressi dei vari stabili, era l’effetto delle mascherine sanitarie ma anche della generale preoccupazione. Le persone cercavano di distanziasi. E se erano in coppia, poca voglia avevano di parlare. La pandemia virale che pareva superata nei mesi assolati e caldi stava mordendo ancora. E via via che andava precisandosi l’allarme la gente diventava più prudente. Più presenti i controlli pubblici.
Si era rotta una convenzione. Non c’erano da rispettare le solite regole stabilite da regolamenti formali e scritti. Bisognava attenersi alle disposizioni che il governo dettava giorno per giorno, a volte in modo confuso e con la necessità di lunghe serie di precisazioni.
La radio diffondeva quotidianamente un bollettino, sul pericolo che la popolazione, tutta la popolazione stava correndo, con il numero dei ricoverati e dei morti.
Ecco un avvenimento imprevisto che riportava, in qualche modo se non in tutti i modi, alle esperienze vissute da nonni e genitori nei giorni bui della guerra: affrontare collettivamente un pericolo che poteva essere mortale. Con l’aggravante, in questo caso, di limitare il contatto umano e rendere più difficoltosi gli interventi sanitari.

Quella mattina era stato dalla fornaia del quartiere. Un negozio a conduzione famigliare. Una graziosa signora, madre di una bambina all’ultimo anno delle elementari. La cortesia e il sorriso erano la firma di quella attività. Quella mattina fra il banco di vendita e l’ingresso c’era una specie di transenna che impediva di avvicinarsi al banco. A lato della transenna, a completare la barricata, un tavolinetto con sopra un piatto argentato. La fornaia con il solito copricapo bianco, degli addetti alla ristorazione e alla vendita di alimenti indossava una vistosa mascherina e guanti in lattice. A malapena riconoscibile. Mise il denaro nel piatto argentato ed ella usci da dietro il bancone e con lo stesso piatto gli fece avere il resto poi gli consegnò, con un gesto prudente la focaccia salata incartata.
Scambiò un paio di battute con lei ma non le ricordava più. Uscì in fretta per dar modo al prossimo cliente di entrare in negozio.
Episodi come questo lo rattristavano. Gli mancava la vivacità delle strade. Le chiacchiere alla caffetteria dove si fermava a volte a leggere i giornali, nel frattempo spariti per motivi igienici. igiene
Ormai usciva di malavoglia, non gli era necessario l’invito di stare a casa.
Fortunatamente egli e pochi altri coraggiosi organizzavano di tanto in tanto una uscita al ristorante. Il resto del tempo doveva organizzarlo da solo.
Per le informazioni gli bastava la radio in auto o in cucina, quando si preparava qualche pasto. Aveva rinunciato alla televisione, così si ritrovava sempre più di frequente davanti al computer. Lì, forse per compensare la mancanza di contatti, finiva spesso col partecipare, è il caso di dire così, a quegli spettacoli presi dal vivo o per dirla alla moda ai «Reality show» e ai loro derivati nazionali ma soprattutto lo attiravano quelli anglofoni. Li trovava più equilibrati e insinuanti. Cose come «America’s Got Talent» e derivati. Principianti dello spettacolo, e dell’intrattenimento in gara fra loro.

In questo genere di intrattenimento, abbandonata trama e racconto, la situazione in cui sono inseriti i protagonisti è sempre la stessa. In scena sono, più ancora che loro stessi, le loro emozioni. E per la magia che un tempo apparteneva soltanto al cinema, attraverso i primi piani, sullo schermo della televisione o del computer lo spettatore ha l’illusione di un vero contatto oculare con il protagonista o la protagonista, in genere giovani e affascinanti. E sono lì nel salotto di casa, tutte le volte che si vuole. Simulacri elettronici con vere emozioni umane.
Il forzato isolamento probabilmente gli rendeva questi spettacoli ancor più coinvolgenti. Fino alle lacrime. E a volte queste si manifestavano anche sul volto dei conduttori. Chissà se in modo sincero. E gli capitava di affezionarsi a questa o a quel protagonista che poteva seguire anche su quelle reti di contatti che univano un pubblico con gli stessi interessi. Un altra forma di intrattenimento fruibile attraverso il computer.
Che strano effetto aveva quel pericolo collettivo!
Una volta finito il pericolo quanto tempo sarebbe occorso perché le cose potessero tornare come prima della pandemia?
Mentre tentava di immaginare una risposta gli venne alla mente una strana considerazione. Dagli anni cinquanta in poi le condizioni del vivere, le condizioni igieniche erano andate migliorando anche la così detta ricchezza pro-capite ma la quantità di vita era via via diminuita. Non pensava in particolare alla popolazione del suo paese e dei paesi vicini ma all’insieme della vita presente nelle città e nelle campagne. I passeri erano del tutto spariti, rare le rondini ancora più rare le mosche, incontrare un gatto che se ne va libero per la strada era diventato un avvenimento. E chi conosceva più le lucciole o le rane?

In prati e fossati è difficile vedere insetti,quando lui era bambino ogni macchia di verde ne era piena.
Non riusciva a collegare tutto questo alla pandemia e rinunciò a darsi una risposta. Forse non c’è una sola risposta.
Il parco condominiale era oramai deserto. Le finestre degli appartamenti si erano da tempo illuminate in uno schema disordinato e silenzioso. La sigaretta era finita. Rientrò chiudendosi la porta finestra alle spalle. Al buio nel tinello continuò a fissare l’esterno. Aveva la notte davanti a sé. Si augurò vivamente che il prossimo sogno lo avrebbe portato in mondo senza virus ma con tanti gatti e tante rondini.

 

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