“Ho ordinato le pizze!”
“Ma…”
“Ma?”
“Non ho fame. La quarantena mi sta devastando. Tutt’ora ho degli incubi. ”
“Che lagna!”
“Taccio.”
“Racconta.”
“Ero un certo dott. Grey. Fui chiamato per una visita dal Duca di Beaumont. Quando terminai, mi chiese, in presenza di sua moglie, della salute di Lord Linney. Domandai il motivo e la duchessa mi raccontò che una sera, nel dormiveglia, le apparve un palcoscenico teatrale: c’era Lord Linney! Era svenuto e un uomo fulvo tentò di soccorrerlo facendosi luce con una lampada rossa. Rassicurai entrambi dicendo che era sì in cura da me, ma per una cosa di poco conto.”
“E fin qui…”
“Aspetta! Dopo pochi giorni, fui chiamato dalla sorella di Lord Linney. Mi disse che stava molto male. ”
“Qual era il nome del Lord?”
“Albert! Perché?”
“C’è un Linney nei miei ricordi.”
“Non so. Comunque, la sorella raccontò che lo trovarono svenuto nel bagno di un amico.”
“Era fulvo e teneva la lampada rossa?”
“Come lo sai?”
“Mi sottovaluti, caro!”
“Hai sempre voglia di scherzare?”
“Non sono te, permaloso.”
“Dopo sei giorni, Lord Linney morì di polmonite. La duchessa mi confermò che lo conosceva appena: non sapeva niente della sua salute, tanto meno delle sue frequentazioni. «Il mio non fu un sogno-mi disse-ma una visione: apersi e chiusi gli occhi più volte per allontanare quell’immagine, ma continuai a rivederla.»”
Dlin dlon!
“Chi è?”
“Pizze!”
“Ciao.”
“Ciao, quanto di devo?”
“14.”
“Bello lo slogan sulla tua maglietta: «Albert si diventa!». Sei Alberto?”
“Sì. Albert per gli amici. Fa meno matusa.”
“Ehi, dott. Grey! Albert è qui. Lord Linney è resuscitato.”
“Ma c’è qualche problema?”
“No, no… Albert. Ci mancherebbe, non ce l’ho con te. Parlavo col «matusa» in casa: cose nostre.”
“Ah! Ecco il resto.”
“Tienilo Albert, tienilo pure. Con l’aria che tira…”
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