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LA PANDEMIA DELLA POLVERE BIANCA, IL BIMBO CHE VENDEVA ‘GOTIN’ DI MARE, GIGIONE E LA DUCHESSA DEI VENTI di Giancarlo Guani

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Concorso Letterario de “La Voce di Venezia”. Prima edizione: “Racconti in Quarantena”

La pandemia della polvere bianca

Anche oggi il pensiero vaga senza fissa dimora.

Ancora una volta il desiderio di scrivere supera quello di leggere e di vedere immagini e voci televisive.

Davanti a me rami e foglie che a breve mi abbracceranno. Più in alto i tetti delle case e fili distesi con amanti piccioni, nascosto il cecchino gabbiano pronto a puntarli per fare merenda.

Il cielo mi fa invidia perché non posso toccarlo e ancora lì davanti il Parodi a farsi l’ennesima abbronzatura di sole.

La mia unica uscita dalla cattività ora è scendere le scale, entrare in strada e dopo pochi passi aprire i cassonetti della rumenta per gettare i rifiuti della giornata.

In giro pochissimi umani.

Prima di riaprire il portone mi trovo vicino una persona senza mascherina: dall’aspetto lo vedo un po’ alto un po’ basso, un poco magro un poco grasso, non so se è una donna o un uomo, l’accento è un po’ italiano e un po’ straniero, dal volto mi sembra che abbia 12 anni o 80 anni.

Lo guardo negli occhi, uno nero, uno bianco. Anche lui o lei mi fissano poi tirando fuori dalla gonna o dai pantaloni una mano a conchetta mi sento esclamare:

“ mi dai qualche spicciolo ?”

Frastuono e silenzio si danno la mano. La polvere bianca non è in quarantena.

Apro il portone, l’uomo o la donna, italiano o straniero, giovane o anziano lo lascio in strada assieme ai gabbiani, assieme ai piccioni, salgo le scale. La sdraio mi chiama, questo pomeriggio in questa casa di riposo del corpo cedo spazio al pensiero. Prima di sedermi mi affaccio al terrazzo.

In strada c’è sempre la donna o l’uomo sdraiati per terra, le mani a conchetta che chiedono spiccioli a cui non risponde nessuno, neanche il cecchino o il clandestino.

***

Il bimbo che vendeva ‘gotin’ di mare

Ancora un pomeriggio a dissetarmi con tanti goti colmi di silenzio.

Non c’è verso.

Devo, devo uscire, scappare, devo andare a trovare il mio mare!

Un ultimo goto di silenzio. Mi allaccio le scarpe, poi le scale, il marciapiede. Sgattaiolo clandestino rasentando i palazzi.

Devo, devo vedere il mio mare.

I giochi dei bimbi supini e dormienti, i giardini e poi lì davanti finalmente tra le palme, lì davanti tra le barche e le vele, lì davanti :

il mio mare!

Tra un goto e l’altro di silenzio ho sognato questo momento.

“ mi toglierò le scarpe, poi le calze, mi tirerò su i lembi dei pantaloni per far penzolare dal gradone i piedi e lasciarli in un abbraccio con il mio mare ?”

“ Mi fermerò su una panchina a vedere la sua prua venirmi incontro ?”

“ Prenderò la rincorsa per un tuffo a conchetta e poi nuotare, nuotare, nuotare ? “

“ prenderò alcuni datterini da terra, mi piegherò come da bimbo a lanciarli sul mare per vedere se arrivano laggiù dove c’è l’orizzonte ? ”

“ mi sdraierò sul gradone per arrivare a toccare con le falangette la sua acqua per portarla a bagnare il mio volto, le mie palpebre, i miei occhi ? “

Poi una voce di bimbo.

Mi giro e lo vedo. Mi viene vicino.

I pantaloncini alla zuava, i sandali ad occhi e in mano un gotin pieno d’acqua di mare.

Non ci credo: sono io da bimbo!

Ma lui sembra non riconoscermi.

“ mi compra questo gotin, prego signore mi compra questo gotin di mare ! “

“ ma non ti ricordi di me, sei tu… son io “

“ se non ha soldi signore lasci stare “

Con addosso una lisa borsa a tracolla piena di gotin di mare mi passa davanti.

“ comprate gotin, gotin di mare “

e si allontana nel silenzio di un passeggiata deserta vicina al tramonto.

Lo guardo sgomento girare laggiù verso il faro.

La sua voce lontano “ comprate gotin, gotin di mare, comprate gotin di mare e e e e ”

Mi accorgo che è tardi, è il momento di tornare a sgattaiolare clandestino rasentando di nuovo i palazzi.

Nessuno mi ha visto altrimenti multa e galera.

Di nuovo in casa.

Mi tolgo le scarpe, mi lavo le mani, entro in sala, apro il terrazzo.

Lì fuori sornione mi attende il solito goto con il silenzio oramai all’orlo.

“ dove sei andato ? “ esclama “ Mi hai lasciato qui solo ! “

D’istinto porto le mani ad accarezzare il mio volto che sa di mare, che è bianco di sale.

“ sono andato a vedere se c’era ancora il mio mare !

***

Gigione e la duchessa dei venti

( come divenni senatore della repubblica )

“ nella pandemia la poltrona resta mia “ (da una intercettazione dell’onorevole Abbuffoni )

“sin dai tempi dei romani

era in voga a tutti quanti

di coprirsi sul davanti

ma a nessuno caso strano

di coprirsi il deretano“

Era la classica giornata primaverile con la prua del sole che già da diverse ore cercava di farsi largo dietro le colline che circondavano il paese.

A passo lento una piccola processione di fedeli si avviava verso l’antica chiesa per la S.Messa delle 10. Tra di loro anche la duchessa Maraschina ed il suo fido accompagnatore Gigione.

La donna da poco rimasta vedova ed avanti con gli anni aveva perso tutto della sua bellezza giovanile ma anche se gli si erano allargati i fianchi continuava a portare con orgoglio i suoi capelli ramati che raccoglieva a forma di ciuffo fermati con delle forcine, il tutto in un incarnato estremamente pallido che accentuava con un pesante fondo tinta.

Quel mattino indossava un abito nero leggermente aperto sulle spalle, in testa un cappellino da cui si alzava una piuma ed al braccio una borsetta di vernice mentre si dava un tocco di modernità con delle scarpe decolté con un tacco a mezzavia.

Come ad ogni funzione la duchessa sedeva in seconda fila con accanto il suo accompagnatore che da quando era divenuta vedova la seguiva ogni dove fuori dalle sue dimore.

La donna, senza figli, era l’ultima sopravvissuta di una delle più ricche e potenti famiglie dell’intera regione.

Gigione, il suo giovane accompagnatore, era sulla trentina ed aveva sostituito il padre sparito improvvisamente con un’altra donna dopo che della madre non se ne sapeva più nulla da quando una sera non era più rincasata.

Cresciuto in campagna e senza arte né parte si era trovato a fare l’accompagnatore di una nobildonna che ultimamente era condizionata da una grave forma di meteorismo.

Nessuna medicina sino ad allora aveva alleviato le sue pene. Spesso stava a casa intere giornate perché non voleva essere dileggiata e fare brutte figure con i suoi paesani.

Quella domenica però ricorreva l’anniversario della dipartita del suo adorato Gibolone e non poteva mancare alla messa di suffragio.

Con alcuni minuti di ritardo da dietro l’altare apparve Don Zebibo pronto ad iniziare la cerimonia con al suo fianco un bimbo ed una bimba che facevano da chierichetti.

Tutto filò liscio sino al momento in cui il sacerdote propose ai fedeli qualche attimo di silenzio e meditazione. Sino ad allora la duchessa aveva resistito ed aveva pregato in cuor suo di arrivare senza fare aria al termine della funzione.

Si era trattenuta con grande dignità ma d’improvviso, proprio nel momento di questo silenzio con gran parte dei fedeli inginocchiati a terra, ecco prima un sibilo e poi senza soluzione di continuità una mitragliata di sinfonie d’aria che fecero impietrire tutti i presenti.

Don Zebibo con il viso verso il basso e le dita delle mani arrotolate per la preghiera rimase per un attimo contratto, poi srotolò tutto il corpo rivolgendo lo sguardo verso la fila della duchessa. Intanto l’odore della cena della sera precedente cominciava a propagarsi per tutta la chiesa.

“ è finita, è finita “ pensò la duchessa “ è terminata la mia esistenza, che figura!”

Rossa in volto stava già per alzarsi ed uscire di corsa per la vergogna quando la magia fece la sua apparizione. L’uomo che aveva al suo fianco ebbe l’intuizione che generò tra i presenti la cosa più grande che un essere umano può partorire: lo stupore !

Gigione si alzò in piedi e trasse dal suo cilindro di nullatenente senza arte né parte una frase che diverrà la sua fortuna e lo porterà ad essere ricco e potente:

“scusate, scusate” girandosi verso i fedeli

Poi rivolto a Don Zebibo ancora bloccato a guardare tutta la scena :

“ mi scusi reverendo”

Di nuovo verso i presenti:

“ non sono riuscito a trattenermi, non volevo fare questo, non volevo, scusate, scusate “

Poi la ciliegina del grande artista:

“ signora duchessa, mi perdoni, non volevo, non volevo”

Così dicendo afferrò per le mani la nobildonna e in un silenzio irreale la accompagnò all’uscita della chiesa tra la piccola folla di fedeli che lo guardavano con commiserazione.

Fuori era già pronta una lussuosa macchina. Uno scatto e via per il ritorno alla villa.

Un breve viaggio nel più assoluto silenzio rotto solamente nel momento di scendere dalla macchina da una chiassosa scarica d’aria della duchessa che lasciò indifferente il suo accompagnatore.

Poi appena in villa la nobildonna si sentì di parlare:

“ grazie Gigione, mi hai salvato da una situazione estremamente imbarazzante e senza il tuo intervento sarei morta dalla vergogna “

Aveva profferito l’ultima parola che un’altra sinfonia si liberò nell’aria di una tranquilla mattina di primavera.

“ duchessa, se posso aiutarla, non si deve preoccupare, vedrà, può liberamente lasciarsi andare perché sarò sempre io a prendermi la colpa. Lei non può essere dileggiata mentre io posso sempre scusarmi dicendo che ho una malattia”

La duchessa ascoltava in silenzio e con passo veloce guadagnò l’ingresso della villa.

Passarono alcuni giorni che la duchessa trascorse senza uscire dalla sua dimora.

Poi una sera dopo cena chiamò il suo assistente.

“ Caro Gigione ho meditato a lungo su quanto mi hai proposto, lo so che l’argomento è delicato, sì lo so, ci ho pensato tanto e sono venuta ad una decisione. Ecco, se veramente vuoi aiutarmi “ e si girò con un senso di pudore “ se per te va bene possiamo fare un accordo, sì una specie di contratto, però a voce, perché se venisse in possesso di qualcuno morirei dalla vergogna. Ecco, sono in imbarazzo, si potrebbe fare in questo modo se per te va bene “

Mentre parlava era sempre girata per non guardare in volto il giovane in quanto l’argomento era per lei doloroso.

“ Ecco, mi dovresti accompagnare dovunque e ad ogni mia, sì ecco, ad ogni mia chiamiamola uscita, sì hai capito, ad ogni mia uscita ti darò 5 euro. Lascio a te il conteggio e poi a fine mese verso il tutto su un conto in banca che aprirò a tuo nome”

Gigione aveva ascoltato le esternazioni della vecchia signora dapprima con imbarazzo poi mano a mano che le parole uscivano capiva quanto di grande aveva fatto quel giorno in chiesa. Lui che era vissuto sempre sotto la protezione del padre ( prima che sparisse con un’altra donna ) vagando per il paese dilapidando quel poco che gli dava il genitore nel giocare a “parigina” sul biliardo del bar del paese.

Questa era l’occasione della vita. Mentre ascoltava faceva velocemente i conti di quante ‘uscite’ poteva fare la duchessa al giorno. Considerando che la malattia era al suo apice in un calcolo veloce ne faceva circa quaranta. Un grosso investimento per il suo futuro.

Che gli importava della vergogna e degli sberleffi dei suoi compaesani ogni volta che si assumeva la paternità delle emissioni della duchessa!

Quello che contava è che recitando quella parte in breve sarebbe diventato ricco.
Tanto denaro l’attendeva e poi si sarebbe inserito nella società che conta.

“ Gigione, Gigione, ma mi hai ascoltato? “la voce della duchessa che toltosi il grosso peso di dosso attendeva ora la risposta del giovane.

“ certo, stavo solo meditando su quanto mi ha detto”

“ non avere timore, se mai dovrei esser io a…”

“ ecco, sì per aiutarla accetto le sue proposte, sì accetto”

“ Va bene Gigione, da domani iniziamo, buonanotte “ e nel terminare la frase si girò allontanandosi verso le sue camere emettendo una scoreggia tenue e delicata come a suggello dell’accordo.

Così da quel momento la duchessa e Gigione divennero un binomio indissolubile.

In diverse occasioni della giornata la duchessa poteva liberamente lasciarsi andare dando sfogo al suo meteorismo in quanto ogni volta il suo fedele assistente se ne assumeva la paternità. “ scusate, che vergogna, mi sono scappate, perdonatemi! “

Accadeva che in strada, a teatro, a cena in ristorante ed ovunque si spostasse la nobildonna poteva lasciarsi andare senza il minimo trattenimento coperta sempre dal fedele Gigione.

Più il giovane veniva sbeffeggiato più aumentava il suo conto in banca.

Passarono così alcuni anni sino ad una sera di inizio estate.

La duchessa festeggiava il suo novantesimo compleanno.

Il giardino della villa, tanti tavoli apparecchiati per una cena a cui erano stati invitati sindaco, assessori e tutto il gotha della regione oltre ad alcuni parlamentari.

Inservienti ovunque e tanta allegria a braccetto con tanta confusione.

Si era oramai arrivati al momento delle candeline senza che sino ad allora ci fosse stato bisogno dell’intervento di Gigione che sedeva al suo fianco.

“ prima di spegnere queste candeline “ era la duchessa che si era alzata in piedi a prendere la parola.

“ voglio dirvi che questa è l’ultima volta che ci troveremo assieme, purtroppo le candeline faticano a stare nella torta ed è giunto il momento di prendere commiato con gli amici più cari, voglio trascorrere quanto mi rimane nella pace della mia casa…”

Non poté proseguire il discorso perché un’improvvisa scarica meteorica cominciò ad abbattersi sui convitati.

Prima un fruscio, poi una pioggerellina, ed ancora scrosci sempre più intensi sino ad un temporale di meteorismo che lasciò allibiti tutti i presenti.

Il fido Gigione era pronto ad intervenire ma questa volta la duchessa non smetteva di suonare. Con il solito mestiere cominciò ad assumere l’atteggiamento tipico di chi rimane dei secondi con il volto in apnea ed il corpo leggermente deviato.

“ scusate, scusate, non volevo, non volevo! “

Ma questa volta la nobildonna non riusciva a trattenersi.

“ scusate, scusate” così dicendo Gigione con la sua affermata mimica cercava di andare a tempo dietro a tante sinfonie.

Gli invitati non sapevano che fare e soprattutto cosa dire.

Un silenzio irreale . Ad ogni scoreggia era un ‘scusate’

Poi all’improvviso ecco un’ultima nota, quasi un sibilo: una scoreggia dapprima tenue, lieve e delicata, poi quasi uno piffero sparato da una cerbottana trafisse l’aria sino a perdersi dietro la collina che circondava il giardino.

La duchessa, esausta, delicatamente si rovesciò con la sedia e cadde a terra.

“ duchessa, duchessa!” era la voce di Gigione che terminata la sua recita si era chinato per soccorrerla.

Il volto sereno e finalmente libera da tutti i turbamenti interni degli ultimi anni prima di chiudere gli occhi alla vita esclamò le sue volontà:

“ Gigione grazie di tutto…mi raccomando questa ultima, la più bella…

non me la mettere in conto o o o o “

Pochi istanti e tutti i presenti erano attorno al corpo senza vita della duchessa.

“ una gran donna “ “ una gran dama “ “ una signora “

Da quel momento per Gigione iniziava una nuova vita.

Nel testamento la duchessa gli lasciava una fortuna.

Grazie alle conoscenze nella capitale divenne prima assessore, poi sindaco ed è tutt’ora senatore della nostra repubblica!

“ Ora i tempi son cambiati

ora è in voga a tutti quanti

di scoprirsi sia di dietro che davanti

le duchesse cambian nome

ma di Gigioni sono piene le poltrone “

 

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