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LA BICI CON LE CAMPANELLE di Veronica Bracchi [concorso letterario]

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Concorso Letterario de “La Voce di Venezia”. Prima edizione: “Racconti in Quarantena”

A Milano, lungo via Paolo Sarpi, l’arteria principale del quartiere cinese, c’è da anni un signore che va in bicicletta; e fin qui niente di strano.

Ma sul manubrio della bicicletta questo signore ha una collezione di campanelle e campanacci, di ogni tono e di ogni foggia. Insomma, è impossibile non sentirlo e non notarlo, ma è un suono tutto sommato piacevole, rassicurante. Rassicurante anche perché non ha mai smesso: anche nei giorni della quarantena totale un paio di volte al giorno lui passava. Passava tra l’altro, vestito, con una specie di cappa nera, bizzarra ma molto elegante. Passava nel silenzio della strada quasi vuota dove si allungavano soltanto le file di chi faceva la spesa. Mascherine, ognuno curvo sul suo telefoni, ombre parallele e ben distanziate anche loro sul lastricato grigio chiaro della via pedonale. Lui passava tranquillo, regolare, concentrato – potrei dire – in mezzo a quel mondo diventato in poco tempo così diverso. Sembrava quasi che avesse una missione.

Anche di domenica passava, quando le file non c’erano, e c’erano solo radi passeggiatori di cani. Poi – quando sono arrivate – ci sono state le rondini. E nero come una grossa rondine anche lui passava. Quando le finestre si sono aperte per gli applausi, o per la musica; quando sopra la sua testa ci scambiavamo saluti, timidi, con vicini mai visti prima e rivelati dalla clausura, lui, il signore delle campanelle passava. Una volta è capitato che passasse sotto la mia finestra mentre – mestamente al computer – facevo lezione, di storia se non sbaglio. Non ho potuto fare a meno di condividere la cosa coi miei ragazzi. E lì lo scoop: un’alunnetta soave mi dice, ma sì, prof, mia mamma lo conosce, quel signore, lavora alla Scala. Come lavora alla Scala? E io che pensavo fosse non dico un barbone ma uno un po’ ai margini della società. Insomma un simpatico, meraviglioso fuori di zucca… Lo pensavo forse anche perché l’avevo visto, questo inconfondibile signore, in un’altra delle sue incarnazioni.

Era mattina presto ed ero in bicicletta anch’io. Lungo via Paolo Sarpi a quell’ora non c’era quasi nessuno. Lui, oltre alle immancabili campanelle, aveva una lunga barba grigia. La barba ce l’ha ancora ma allora era vestito come un montanaro dei boschi e sulle spalle aveva una gerla. Ed era dicembre! Insomma, era proprio Babbo Natale! Anzi, meglio: Santa Klaus o come cavolo si chiamava quel Nonno Buono prima della mutazione genetica che ne ha fatto l’araldo della Coca Cola e dell’Occidente. Anche in quel caso ricordo che ho condiviso la gioia di questo incontro non solo coi miei figli, allora bambini, ma con gli alunni dell’epoca.

Quando sono entrata in classe quel mattino proprio scoppiavo dalla voglia di dirglielo: ragazziiii, ho visto Babbo Natale!! Esiste, certo e va in bicicletta ormai, altro che renne! E loro con gli occhioni… In prima media c’è ancora un breve momento meraviglioso in cui a una storia raccontata bene i ragazzi VOGLIONO credere. Per questo stesso motivo generazioni di alunni mi hanno raccontato (me l’hanno confidato in realtà più tardi, tipo in terza, e con la voce carica di nostalgia) di aver aspettato con un ansia speciale il loro undicesimo compleanno. Senza dirlo ovviamente a nessuno un angolino del loro cuore sperava di ricevere, come Harry Potter, una lettera – anzi un gufo – che li invitasse a frequentare la Scuola di Magia di Hogwarts.

Che tenerezza… Allo stesso modo i miei ragazzi di allora erano rimasti, per un attimo, sospesi. “Prof., ma è vero??” Certo che è vero. Almeno è vero che c’è un signore diverso dagli altri che né il virus né la polizia hanno avuto cuore di fermare. E che va in bicicletta in mezzo ai riders leggero, un po’ beffardo, con la cappa nera svolazzante e le campanelle.
Mi torna in mente che un tempo proprio i lebbrosi andavano in giro con una campanella, perché la gente si spostasse al loro passaggio, lasciando però ai poveretti almeno qualcosa da mangiare. E in effetti me lo immagino un po’ scorbutico, questo originale signore. Non credo voglia farsi avvicinare, e non mi pare abbia sorriso nemmeno quando l’ho visto in versione Santa Klaus e per l’emozione stavo finendo contro un semaforo. Non è un piacione, insomma, anzi ha qualcosa di austero. Ma nella mia reclusione, la sua presenza e le sue mille campanelle mi hanno donato tanta allegria.

 

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