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IO E LEI di Alba Mazzarella [concorso letterario]

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Seduto sul divano, guardo la tv: le scene, viste e riviste, di infermieri troppo affannati e affaticati in ospedali sempre troppo pieni di persone che soffrono, mi agitano ancora e ancora una volta non posso fare a meno di esclamare: “Ma tu guarda che situazione! Se ci si ferma a riflettere, è allucinante…un incubo ad occhi aperti. E non finisce, non finisce!”
Lei, accanto a me, mi guarda con i suoi occhioni neri, innamorati, e annuisce.
“Io vorrei solo poter andare al mio paese, dai miei parenti… anche se non possiamo abbracciarci è sempre come stare a “casa”, quando sono lì…. Ora che ci penso tu non ci sei mai venuta, al mio paesello… sempre qualche complicazione…. Ma te la ricordi Rossana? E Lucia? E il figlio di Nunzia, Mario? Quello con cui giocavi sempre, te lo ricordi? E’ da tanto che non ci vediamo. Sono anni che non vengono a trovarci. Stiamo invecchiando tutti, ormai, muoversi diventa difficile. Non mancano un poco anche a te?”
Per tutta risposta mi si avvicina, vorrebbe abbracciarmi ma sa che non può. Le sorrido, cercando di tranquillizzarla: “Ma vedrai, finirà prima o poi questa sciagura del Covid e ricominceremo ad incontrarci ed abbracciarci tutti”, le dico, accarezzandole lievemente la testa.

“Hai fame? Preparo qualcosa, dai”.
Resta davanti alla tv, mentre io, in cucina, provo a scuotermi da questa dolorosa apatia e a inventarmi gourmet: filetto al vino rosso, sono certo che le piace, ed è comunque sempre meglio dei tristi panini al prosciutto e minestrine in brodo di dado con cui punisco la vita da quando siamo rimasti soli in casa io e lei.
Ci mettiamo a tavola e la luce che illumina i suoi occhi mi rivela tutta la sua gratitudine per la cena che le ho preparato. Mangiamo, silenziosi e vicini, io perso nei miei pensieri, lei a spiare le mie emozioni. Finita la cena sparecchio, rassetto, un altro po’ di tv, un altro po’ di noia e noci da sgranocchiare, da condividere con lei in questo tempo dilatato fatto di silenzi.
“Andiamo a nanna?”. Mi segue docile e un po’ svogliata si avvia al letto. Di notte – queste notti lunghe, senza sonno a lenire la mia angoscia – la sento che si agita e si lamenta. Sicuramente i ragazzi mancano anche a lei: il loro chiasso, il loro disordine, il loro prenderla in giro, i loro inaspettati regali. Durante il giorno vaghiamo da una stanza all’altra, due cacciatori alla ricerca di tracce, odori, ricordi. Segni di vita. Di tanto in tanto ci incrociamo, nel nostro vagare in questo carcere che è diventata la nostra casa, in questo silenzio interrotto solo dalla musica e dalla tv.
Lei vorrebbe sempre uscire, io sto sempre a ricordarle che no, più di tanto non si può. Anche questo la rende triste.
Ho deciso: domani ti porto al mare.
********************************

“Sveglia, dormigliona!” le urlo ridendo. Lei si tira su, a fatica, ancora mezza addormentata. “Stamattina andiamo a fare una passeggiata a mare!” le comunico. L’entusiasmo per il programma mattutino toglie dal suo volto qualsiasi traccia di sonno.
Arriviamo sulla spiaggia, il sole ci bacia la fronte e sparge milioni di luccichii sull’azzurro del mare. Passeggiamo lentamente, vicini, nel nostro consueto silenzio.
“Che dici, facciamo una corsetta?”
Annuisce e cominciamo a correre, felici come bambini, un po’ arrancando sulle nostre ossa vecchie e non allenate – non siamo mai stati troppo sportivi in questa vita insieme – e presto la mancanza di respiro per l’inusuale corsa ci fa pendere la lingua. Ci fermiamo a riprendere fiato, io più di lei: io grasso e pesante, lei snella e sinuosa potrebbe correre ancora. O forse no, perché non mi incita a continuare. Riprendiamo a passeggiare lentamente, godendoci la carezza dei raggi di sole novembrino. All’improvviso si ferma e si distende sulla sabbia con la sua naturale eleganza, anche in questo gesto un po’ selvaggio. Capisco che è stanca, mi siedo accanto a lei, appoggio la mano sulla sua testa morbida e insieme restiamo lì a guardare il mare.
“Ti voglio bene, sai?” le dico. Mi guarda intensamente negli occhi e sorride. E, dopo tanto tempo insieme, quasi mi sembra che arrossisca alla mia dichiarazione d’amore.

Mi intenerisce vederla invecchiare. Per me resta sempre la mia bambina e dimentico che ha una certa età anche lei. Anzi, è anche un po’ più vecchia di me. Me ne accorgo la mattina, quando fatica ad alzarsi dal suo materasso. Quando le offro da mangiare e gira la sua bella testa bianca in un rifiuto, guardandomi triste, quasi a scusarsi. Quando la prendo in giro e lei, che è stata sempre giocosa, mi si rivolge con un’espressione stizzita, quasi a dirmi: “ma che vuoi da me?”.
E temo e tremo al pensiero che un giorno dovrà lasciarmi.
Non adesso, ti prego, Tatanka, mia “cana”, mia compagna e compagnia. Non adesso. Non lasciarmi solo anche tu, in questo vuoto cosmico in cui sono caduto per questa pandemia. Non potrei sopportarlo.
Resta accanto a me: tu non puoi, ma io sì, a te posso regalare il mio abbraccio.

 

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