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Intervista esclusiva a 15enne delle baby gang. “Abbiamo picchiato uno perchè aveva una brutta faccia”

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Intervista esclusiva a 15enne delle baby gang. "Abbiamo picchiato uno perchè aveva una brutta faccia"

Caro Andrea, oggi ti cambio il nome.
Intervista a un quindicenne sulle baby gang e riflessioni a margine.
A: Perché mi cambi il nome?

Io: Non lo so, forse per metterti a tuo agio, adesso vorrei farti qualche domanda, posso?
A: Fai come vuoi, tanto non m’interessa, mi chiedete tutti le stesse cose, sono stufo.
(Fresca della rilettura di Non siamo capaci di ascoltarli dello psichiatra Paolo Crepet, m’impegno a non annoiarlo, sapendo che il tempo della parola per i ragazzi e non solo, è faticoso. Infatti ogni tanto controlla l’orologio da polso e poi mi dice: e allora?)

Io: Non arrabbiarti, vorrei mi dicessi cosa mai ti è venuto in mente, perché tu e tuoi amici avete tirato i sassi contro il tram?!
A: Perché è divertente, ci è piaciuto. Poi siamo subito scappati, non siamo mica scemi!

Io: Non vi hanno preso quella volta ma quell’altra che avete picchiato un ragazzo, sì. Perché l’avete fatto?
( Il filosofo Umberto Galimberti l’ha scritto e riscritto, se chiediamo ai ragazzi il perché, dicono che non lo sanno e purtroppo è vero. . .)
A: È passato tanto tempo, non ricordo, però ci era antipatico, aveva una brutta faccia.

Io: Cioè?
A: Una di quelle facce che ti fanno schifo, tutto nero, con gli occhiali da vecchio e poi secchione a scuola. Sempre a prendere bei voti, meritava una lezione e gliel’abbiamo data.

Io: Scusa, in cinque contro uno a prenderlo a calci, a buttarlo per terra. A te piacerebbe?
A: Ma io non sono lui, i miei amici sono come me, lui non c’entra, è come se non esistesse!

Io: Non ti credo. E poi cos’hanno come te gli amici tuoi?
A: Noi vogliamo vincere e scartare (?!) quelli che ci disturbano. E poi noi siamo italiani, quelli là che se ne vadano via! Siamo noi i padroni, qui, e se non lo capiscono, glielo facciamo capire noi.
(Ci dice Crepet: ma è poi vero che la competizione è l’unica legge possibile per sopravvivere in questa nostra comunità? Le persone competitive e vincenti, sono anche le più felici? La scuola potrebbe tentare di essere anche un luogo mite capace di insegnare a sopravvivere anche a quei bimbi e ragazzi che non vogliono diventare gladiatori ma persone sensibili?)

Io: Non so perché, ma non mi convinci. So che sei stato in una comunità per qualche giorno e che hai riconosciuto di aver fatto una sciocchezza, anzi una cosa molto brutta. Quindi non capisco, ti sei pentito o no?
(Crepet: il cinismo e l’egoismo che spesso si riscontrano tra gli adolescenti, altro non sono che la risposta ad una ricerca frustrata. L’autorevolezza è necessaria a crescere quanto le regole. Di queste un bambino ha un bisogno assoluto, anche quando non gli vengono impartite, le richiede, anche a costo di provocare il genitore”)
A: Adesso non lo rifarei, troppe grane, troppe sgridate, i miei genitori mi hanno fatto nuovo, i professori poi, tutti a farci la predica, magari anche mi bocciano per farmela pagare.

Io: Speriamo di no, però anche tu un pensierino e qualche domanda dovresti portela. Dici che vuoi divertirti, quello della baby gang non è un gioco e se ci pensi bene è violento e inutile, anche per te!
A: Cosa c’entro, io? Ormai, è così, non voglio perdere i miei amici, con loro rido e prendiamo la vita così, come viene! Come fate voi grandi che fate sempre quel c…o che volete, o no?

Io: Ma non ti dispiace deludere i tuoi genitori?
A: Sì, un po’ sì, ma ci vediamo poco, i miei lavorano a tutte le ore, la sera siamo stanchi e parliamo poco.

Sono vicino alla resa, vorrei parlarti del tuo bisogno di essere ascoltato oltre le parole, del dialogo che non c’è, delle tue emozioni che nascondi, del tuo bisogno d’amore che non dici, dei sentimenti.
Ancora Umberto Galimberti «Il sentimento non è un dato naturale ma culturale. Va insegnato. Com’è sempre accaduto, dalle culture più primitive agli antichi greci con i loro miti. Oggi c’è la letteratura, dove si impara il dolore, l’amore, l’accidia, l’entusiasmo. Noi riempiamo le scuole di strumenti digitali mentre dovremmo riportare in classe la letteratura, ricordando che la scuola serve a formare. Le competenze si acquisiscono dopo».

Io: Vorrei dirti qualcosa di vero, di giusto, ma non lo so dire. Conto su di te, sulla tua riflessione. Grazie per l’intervista.
A: —.

Andreina Corso

(foto di archivio)

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