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Io, insegnante “fragile” senza tutela ma si legifera sui monopattini. Lettere al giornale

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Coronavirus, come ripartirà la scuola? Da settembre metà alunni in classe

Sono un insegnante immunodepressa che da un giorno all’altra è stata allontanata dal suo lavoro E OBBLIGATA A UNA MALATTIA D’UFFICIO (SENZA TUTELA DATO CHE DOPO 180 GIORNI COMINCERANNO A TOGLIERMI SEMPRE PIU’ SOLDI DALLO STIPENDIO).
L’UNICA ALTRA POSSIBILITA’ è svolgere chissà quale altra mansione con un orario di lavoro raddoppiato, da 18 a 36 ore E ANCHE IN PRESENZA, PROBABILMENTE, perché così dice un CCNL per gli inidonei della scuola.

MA IO NON SONO INIDONEA, SOLO FRAGILE. E’ L’AMBIENTE LAVORATIVO CHE NON E’ STATO RESO IDONEO E SICURO NE’ PER ME NE’ PER NESSUN ALTRO LAVORATORE DELLA SCUOLA.
Questa è la storia di tanti di noi, a detta del governo, “tutelati fino a fine emergenza Covid”.
Siamo i più fragili, i più esposti, ed in effetti, i più penalizzati!
Ci troviamo ogni giorno a combattere la nostra lotta contro le nostre malattie,

e come se non bastasse siamo costretti a subire, in questo periodo così difficile, scelte sbagliate da parte del governo, che aumentano in maniera esponenziale le difficoltà di ottenere un diritto sacrosanto.
Oltre questo, ci sentiamo profondamente offesi, per le continue dimenticanze dei nostri diritti, nei vari decreti o modifiche attuate e confrontandoci ci ritroviamo a capire, che esistono malati di serie A e malati di serie B.
Il governo è riuscito perfino a creare discriminazione tra di noi, malati. Assurdo!

In questi mesi molti lavoratori con disabilità, con esiti da patologie oncologiche, con immunodepressioni si sono interrogati su eventuali tutele che consentissero loro di conservare al contempo, posto di lavoro, la retribuzione e il più possibile integro lo stato di salute.
Le maggiori aspettative sono state riposte sul noto articolo 26 del decreto cura Italia di marzo scorso (per la precisione nell’articolo 26 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27).

Esso, in modo pur confuso e con scrittura piuttosto incerta, delineava la possibilità, dietro mal rifinita presentazione di dovuta certificazione, di equiparare le assenze di quei lavoratori, al ricovero ospedaliero.
Ci sono voluti mesi – dopo quel marzo 2020 – per capire quale fosse l’iter corretto per ottenere quella “agevolazione”.
Il beneficio, che è ammesso sia per i lavoratori pubblici che privati, previsto

inizialmente fino a fine aprile, è comunque cessato a fine luglio scorso. Rimane, nonostante le decine di richieste espresse in tutte le sedi e in tutti i modi, un dubbio di notevole rilevanza:
Quei periodi di assenza sono computati nel periodo di comporto, cioè nel periodo massimo di conservazione del posto di lavoro dopo lunghi periodi di malattia?
Nessuno ha formalizzato una risposta lasciando nel dubbio migliaia di lavoratori in un momento già particolarmente difficile.

In piena estate il Governo emana il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 che inizia il suo percorso di conversione in legge dal Senato. Questo ne conclude l’esame il 6 ottobre scorso approvando una serie di modificazioni, passando il testo risultante all’altro ramo del Parlamento. A Montecitorio verrà posta la fiducia senza ulteriori spazi di discussione.

Ma quali sono le novità approvate dal Senato e servite alla Camera?
L’articolo 26 viene riscritto correggendo evidenti refusi giuridici ma nella sostanza spostando solo il termine dei benefici da fine luglio al 15 ottobre (ottobre di quest’anno).
L’interruzione dal 1 Agosto del codice nosologico V07, ha fatto sì, che lavoratori fragili siano stati costretti a consumare giorni di ferie/permessi

(per non parlare del rischio d’infettarsi in corso, per essere costretti a presentarsi al lavoro, per paura di essere licenziati).
Qualunque sia stata la decisione presa dal governo, non si è mai distinta come preventiva, ma consuntiva, con conseguenti danni per i malati.

URGE quindi la reintroduzione di questo codice, e di tutte le tutele che il lavoratore fragile merita.
Dal 16 ottobre e fino al 31 dicembre 2020 quegli stessi lavoratori “svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.”

Nella sostanza il Senato ha “riapprovato” l’articolo 39 dello stesso decreto “cura Italia” – che già prevede il lavoro agile (fra l’altro fino a fine emergenza e non fino al 31 dicembre) – senza peraltro modificare un inquietante passaggio: “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.” In più, chi non ha la possibilità di svolgere lo smart working, allo stesso tempo, non può più usufruire della malattia con codice V07 (mai come adesso, utile).
Per giunta non vi è alcuna traccia di precisazioni sul comporto delle assenze equiparate a ricovero ospedaliero da marzo al 15 ottobre.

Certo è che dal 16 ottobre quella equiparazione non sarà più possibile per nessuno (o quasi).
Sì, perché il Senato ha modificato anche l’articolo 87

del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (cura Italia) che però riguarda solo i dipendenti pubblici (per essere precisi neanche interamente).
Il nuovo testo del primo comma recita “Il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dai dipendenti delle amministrazioni (…) , dovuta al COVID-19, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero E NON È COMPUTABILE AI FINI DEL PERIODO DI COMPORTO.” (In MAIUSCOLO l’ultima frase ché è la novità).

Nella sostanza in ambito privato si rimane nell’incertezza (comporto sì, comporto no?).
Il governo ha stanziato fondi per manovre di discutibile valenza (vedi biciclette o monopattini), lasciando i lavoratori fragili senza stipendio, nel momento in cui l’Inps interrompe la copertura economica allo scadere dei 180 giorni canonici di malattia annuale.

Ci sentiamo in dovere di chiedere che i decreti siano chiari, limpidi, e che vadano elencate chiaramente le patologie interessate. Le circolari e le comunicazioni che ci riguardano, dovrebbero essere girate a lettere cubitali ai medici di base, che il più delle volte non si interessano di quanto recepiscono. Il risultato è la perdita di benefici importanti e fondamentali, per noi malati.

Alla luce di quanto esposto finora chiediamo, con la mano sul cuore e con il massimo rispetto e fiducia verso chi ci governa, che vengano presi provvedimenti immediati per non abbandonare uomini, donne, ragazzi e ragazze già segnati mentalmente e fisicamente da un destino che li ha visti affrontare qualcosa più grande di loro, sempre e comunque a testa alta.
PROF.SSA
MARIA LA PAGLIA

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