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Incidente offshore Venezia, la conferma del superstite, “La diga non si vedeva. Neanche con l’elettronica”

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 Incidente offshore Venezia, la conferma del superstite, "La diga non si vedeva neanche con l'elettronica"

“Fabio Buzzi era un papà per me e quando perdi il papà, sia pure un papà sportivo, è tanta roba. Soprattutto avendo visto tutto. Io c’ero, non ho mai perso conoscenza neppure un attimo. Una ferita che non si potrà mai rimarginare, a differenza di quelle sul mio corpo. Ci vorrà ancora un po’ ma alla fine i dolori passeranno”. A parlare al Gazzettino è Mario Invernizzi, unico superstite dell’incidente nautico di martedì sera dell’offshore che si è schiantato alla lunata di porto del Lido di Venezia.

Nell’incidente sono morte tre persone tra cui il campione e costruttore Fabio Buzzi. Tante ipotetiche cause sono state espresse, anche sotto il profilo delle responsabilità dell’incidente, ma il problema vero comincia a delinearsi sullo sfondo grazie alla testimonianza, anche se vige ancora il segreto d’ufficio per le indagini in corso.

Mario Invernizzi: “Sono stato a deporre per un’ora e mezza davanti agli inquirenti, ma è tutto coperto dal segreto istruttorio: credo che da raccontare ci sia poco – spiega Invernizzi -. Mi sento però di dare un consiglio alle autorità di Venezia: su quella lunata mettete catarifrangenti o luci solari, per far capire che c’è un ostacolo. Con un investimento piccolo si possono salvare vite umane”.

“La sera dell’incidente la diga non si vedeva, neanche nel visore notturno. E quelle luci, rossa e verde, ti fanno pensare e a una imboccatura di porto, ci vai dritto dentro. Cosa si potrà mai spendere per mettere catarifrangenti ogni dieci metri e qualche lucetta per far vedere che c’è un ostacolo di un chilometro? A farla grande, con 10mila euro, diventa un incremento della sicurezza”.

Continua Invernizzi: “Una situazione così com’è è un attentato potenziale a chiunque. Non è necessario correre, una diga del genere in certe condizioni non si vede. E se uno vede per vari motivi solo le luci, pensa che quella sia l’imboccatura del porto”.

Fabio Buzzi, che era alla guida, secondo Invernizzi pensava di entrare in porto. “Eravamo sempre collegati tra noi con le cuffie. Quando mi sono alzato dal sedile per verificare che le luci che vedevamo fossero quelle della giuria, non ho sentito nessuno urlare in cuffia, come succede quando ci si rende conto di essere in pericolo – racconta -. Hanno capito che andavano contro la diga solo quando ci siamo andati per davvero. Buzzi, ma anche tutti noi, ha certamente scambiato lo sfondo grigio del visore notturno con la lunata, dello stesso colore. È bassa e il radar non la vedeva. E non diciamo fesserie sull’elettronica. Avevamo così tanta strumentazione sofisticata a bordo che sembrava la plancia di una nave da guerra”.

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