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La violenza sulle donne e la violenza che c’è. Di Andreina Corso

Cosa sappiamo dei giovani? Sfioriamo appena quelli che sono oggi gli amici dei ragazzi, gli smartphone alimentati da cattivo ed eccessivo uso

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Eppur qualcosa bisogna dire, eppur qualcosa bisogna fare.
“Eppur si muove” in questa Terra che è la nostra, la tua, la mia, quella delle nostre madri, dei nostri padri nella storia del nostro tempo. E arretra giù e ancora più giù per arrivare ai primordi della presenza umana, per risalire all’oggi, al sentimento di indignazione, di ribellione, di smarrimento che i femminicidi ci consegnano e obbligano ad interrogarci sull’imbarbarimento della società.

Vien la pelle d’oca a chi scrive mentre cerca di comunicare un qualcosa, un pensiero che sostituisca il silenzio. Sì, perché questo silenzio non è muto, è invaso, formato e deformato dal dolore e ognuno di noi si osserva dentro, come genitori osserviamo le nostre figlie e il nostro figli, come figlie e figli, riflettiamo sul come li abbiamo educati, pensiamo ai nostri genitori, ai nonni, rivediamo i loro comportamenti (talvolta stilettate al cuore che credevamo di aver dimenticato), che hanno inciso sulla nostra crescita per poi diventare, adolescenti, adulti, e poi i vecchi, che siamo o saremo.

La fatica di crescere, di resistere, tra gioie e dolori e l’amara constatazione che la donna è ancora vittima privilegiata della violenza maschile.
In queste giornate, di commenti, riflessioni, manifestazioni che richiamano al nostro senso di responsabilità, al nostro agire ed abitare la vita, alla nostra capacità di amare, al nostro educare o diseducare, al ruolo formativo della scuola, ai canoni giusti o sbagliati della società, comprendiamo a questo punto che non è più giustificata l’ignavia che attraversa i mondi che ci circondano, le abitudini, gli esempi che riproducono scarso rispetto e addirittura inaudita atrocità nei confronti della donna. E non solo. Ci chiediamo come genitori, insegnanti, nonni e cittadini in crisi, cosa sappiamo dei giovani, delle loro certezze e delle loro insicurezze attraversate da un mondo in guerra che fa da corollario minaccioso al loro stile di vita. Sfioriamo appena quelli che sono diventati gli amici quasi insostituibili delle ragazze e dei ragazzi, sì gli smartphone e affini, oggi alimentati da un cattivo ed eccessivo uso di questi strumenti e ci aggiungiamo pure l’intelligenza artificiale.

Banale e superficiale osservazione, lo so. Non inutile, si potrebbe dire, perché quei luoghi ‘artificiali’ si sono sostituiti alla parola, alla parola che dice, che ascolta, che spiega, che rassicura, che potrebbe prevenire, forse, quel senso di solitudine e di smarrimento che i bambini, i ragazzi, vivono in compagnia di quei luoghi informatici che abbiamo appena detto e che costituiscono un mondo ‘altro’, in certo senso disabitato.

Eppur non basta, ci dovremmo chiedere cosa respirano i giovani e quali esempi gli adulti hanno impresso nella loro vita. Si insiste oggi più che mai sulla parola patriarcato (legge del padre), attraverso la quale troppi uomini, si sono sentiti autorizzati a prevalere sulle donne, fino a dominarle, fino ad ucciderle.

Basterebbe pensare alla fatica delle donne, al lavoro di cura a loro relegato, alla mancanza di diritti nel lavoro, alla fatica fisica psicologica che le donne di tutte le generazioni hanno vissuto sul loro corpo e sulla loro mente. È vero che sono stati fatti dei passi in avanti per il riconoscimento dei loro diritti, non tanto sul piano della parità, ma in nome dell’equità, che meglio si accosta alla parola virtù.

Ma veniamo, in punta di piedi a pensare a due famiglie, quella di Giulia e quella di Filippo. Nel loro strazio stanno vivendo un dolore terribile e certamente si chiederanno, come sia potuto accadere, come si poteva evitare che una figlia perdesse violentemente la vita e che un suo coetaneo sia potuto arrivare a tanto? Da dove parte la violenza, come riconoscerla, prevenirla e ammansirla nel futuro?

Giulia Cecchettin e Filippo Turetta
Giulia Cecchettin e Filippo Turetta i due protagonisti, con valenza opposta, dell’ultimo dramma italiano

Già si parla di corsi di educazione sentimentale, sessuale nelle scuole, di prevenzione anche per gli adulti. Azzardo a dire che il primo mattoncino del cambiamento, dobbiamo metterlo noi (che spesso, anche per difesa e imbarazzo) pensiamo di essere fuori dai terreni minati, in buonafede e talvolta per pigrizia, per paura o per ignavia, evitiamo o rimandiamo il ripensamento. E perpetuiamo le nostre buone o cattive abitudini.

L’Uomo, non quello della poesia di Primo Levi “Se questo è un uomo”, quando si riferiva alle barbarie naziste, l’Uomo, sa che deve compiere un percorso di ripensamento con altri uomini per rielaborare un pensiero sul dominio, per colmare quel vuoto culturale pur tramandato dalle distorsioni delle appartenenze, e farlo ora, con un’umanità sospesa sempre più in guerra e sempre più spettatrice esanime e vinta, sarebbe molto giusto, perché il vuoto da colmare è enorme.

Andreina Corso

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21 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Se deve essere predicozzo allora ecco il mio : Grazie per la sua lettera. Mi sembra che lei abbia espresso con chiarezza e sensibilità il suo punto di vista sulla tragica vicenda che ha coinvolto Giulia e Filippo. Lei ha saputo cogliere le diverse sfaccettature del problema, che non si riduce a una questione di genere, ma anche di disagio giovanile, di incomunicabilità generazionale e umana, di solitudine e di sofferenza psichica. Lei ha anche citato due autorevoli esperti, Paolo Crepet e Massimo Recalcati, che hanno offerto delle interessanti interpretazioni psicologiche dei due protagonisti. Lei ha infine posto un interrogativo sulle possibili soluzioni educative da adottare per prevenire simili episodi di violenza. Mi sembra un interrogativo molto pertinente e stimolante, che merita una riflessione approfondita. Io non ho la presunzione di avere una risposta definitiva, ma posso provare a condividere con lei alcune mie considerazioni.

    Innanzitutto, credo che sia importante riconoscere che la violenza non è un fenomeno isolato, ma il sintomo di una società malata, che produce individui fragili, insicuri, frustrati, incapaci di gestire le proprie emozioni e di relazionarsi con gli altri in modo sano e rispettoso. La violenza è anche il frutto di una cultura dominante che esalta il successo, il potere, il consumo, la competizione, la superficialità, l’egoismo, il narcisismo, il machismo, il sessismo, il razzismo, e che marginalizza i valori della solidarietà, della cooperazione, della diversità, della profondità, dell’altruismo, dell’empatia, del femminismo, dell’antirazzismo. La violenza è infine il risultato di una mancanza di educazione, di formazione, di informazione, di sensibilizzazione, di prevenzione, di protezione, di assistenza, di cura, di giustizia, di responsabilizzazione, di partecipazione, di coinvolgimento, di dialogo, di ascolto, di confronto, di mediazione, di risoluzione pacifica dei conflitti.

    Per questo, credo che sia necessario intervenire su più livelli e con più strumenti, coinvolgendo tutti gli attori sociali: le istituzioni, le scuole, le famiglie, i media, le associazioni, le comunità, i singoli individui. Credo che sia indispensabile promuovere una cultura della pace, della nonviolenza, dei diritti umani, della cittadinanza attiva, della convivenza civile, della democrazia partecipativa, della solidarietà internazionale. Credo che sia fondamentale educare le nuove generazioni a una visione critica e consapevole della realtà, a una valorizzazione delle differenze, a una relazione paritaria e affettiva tra i sessi, a una gestione positiva delle emozioni, a una comunicazione efficace e assertiva, a una collaborazione costruttiva e creativa, a una risposta nonviolenta ai conflitti. Credo che sia essenziale formare gli educatori, i genitori, i giornalisti, i giudici, i politici, i leader, i testimoni, gli operatori, i volontari, i professionisti, a una competenza interculturale, a una sensibilità di genere, a una responsabilità sociale, a una capacità di ascolto, di empatia, di sostegno, di orientamento, di accompagnamento, di intervento, di monitoraggio, di valutazione.

    So che queste sono solo parole, e che le parole non bastano a cambiare la realtà. Ma le parole possono essere il primo passo per iniziare un percorso di cambiamento, se sono seguite dai fatti, se sono sostenute da una volontà politica, se sono condivise da una coscienza collettiva, se sono trasformate in azioni concrete, se sono diffuse da una rete di relazioni, se sono alimentate da una speranza di futuro. Questo è il mio modesto contributo al dibattito che lei ha sollecitato con la sua lettera. La ringrazio per avermi dato l’opportunità di esprimere il mio pensiero. Spero di averla interessata e di averla stimolata a continuare la riflessione.
    Shylock the first

  2. Confesso essermi rifiutata di contare le parole dell'”accorato” commento del lettore (o lettrice?) che si cela dietro lo pseudonimo di “Ghino di Tacco”, uno pseudonimo già molto parlante circa l’autovalutazione che tale persona evidentemente fa di sé. L’altro lato parlante della sua personalità è il ben poco cavalleresco (forse si tratta appunto di una donna), nonché un tantino maleducato vezzo di appellare la signora Andreina Corso con uno sbrigativo “la Corso”. Mi sono rifiutata di perder tempo a contarne le parole, come Ghino (o Ghina?) ha invece fatto poiché, fra i tanti difetti che mi riconosco, non ho pure quello di avere tendenze ossessivo-compulsive. Punto. Non è su questo signore (o si-ignora?) che siamo chiamati a dire la nostra dall’articolo della giornalista Andreina Corso, bensì circa un ennesimo episodio di violenza che, vista l’età e la condizione sociale dei due giovani coinvolti, l’una in veste di vittima, l’altro in quella del suo assassino, chiama in campo non soltanto la violenza di genere, bensì anche il disagio giovanile e una certa diffusa incomunicabilità generazionale, se non umana tout court. Qualcuno di noi, forse un po’ tutti coloro i quali hanno maturato una certa attenzione per il sociale, si sente pur genericamente responsabile, altri si rifiuta di esserlo forse per l’eccesso di peso di cui, altrimenti, si sentirebbe di diventare portatore suo malgrado. Ovvio che simili accaduti lascino sgomenti e persino impauriti, come ad esempio coloro i quali ne approfittano per intavolare un discorso apertamente politico, quindi fazioso e tendenzioso, laddove, a mio modestissimo parere, la questione dovrebbe appunto interrogarci tutti quanti al di qua delle facili soluzioni, poco più che battute, come quella di buttar vie le chiavi della cella del reo confesso (un buon fabbro e perfino la buona condotta posso riaprila … ), o citando false indicazioni mai da nessuno ufficialmente date. Sulle tanti voci, più o meno autorevoli interpellate dai media, ho scelto di dar ascolto a quella di Paolo Crepet e di Massimo Recalcati. Il primo, a proposito di Giulia, parla apertamente di solitudine, una drammatica condizione in cui molti ragazzi e ragazze di quell’età si ritrovano a vivere malgrado l’apparente presenza dei genitori (Giulia, ricordiamolo, era già orfana di madre). Il secondo, circa la condizione psicologica di Filippo, ha parlato espressamente di “regressione”: non occorre essere degli psicoanalisti, infatti, per sospettare che un giovane uomo che si corica ancora con l’orsacchiotto stia manifestando una situazione psichica squilibrata e di certo sofferente. Servirà indire in fretta e furia (scelta politica) dei corsi di “educazione sentimentale” piuttosto che un’ancor pruriginosa “educazione sessuale”? Dipende. Dipende molto dalla competenza e sensibilità di coloro i quali si troveranno a rivolgersi, in un tempo scandalosamente limitato, a ragazze e ragazzi di estrazioni sociali (culturali) e sensibilità anche molto diverse. A questi incaricati vanno i nostri migliori auguri di un buon lavoro, un lavoro di cui, con evidenza, s’è reso drammaticamente urgente il bisogno.

    • L’intervento della lettrice è di ben 483 parole e non serve neppure essere compulsivi per saperlo, me lo dice il word processor che sto usando.
      In 483 parole abbiamo un linguaggio e simbolismo ormai desueti, troviamo:
      “l’età e la condizione sociale dei due giovani coinvolti”, l’idea di legare ceto sociale alla tendenza criminale è ottocentesca, ancora in voga nei corsi di laurea in socio-psico-logia, ma statisticamente, in proporzione, la distribuzione dei crimini contro la persona a sfondo sessuale o passionale è distribuita quasi equamente tra le “classi”. Bisognerebbe pure meditare sul perché parlare id classi, ho il sospetto che sia da ricercare in una “sovraconsiderazione “ di quel tizio che le citava per superarle e di cui a me sta simpatico il cognonimo con il sigaro.
      “disagio giovanile”, bhè qui si cita il “social desease”, idea talmente ritrita da essere citata persino in “West Side Story” (“Hey! I got a social desease”), autore Leonard Berstein, prima uscita 1950 (l’autore è uno dei due protagonisti del saggio “Radical Chic”, di Tom Wolfe per motivi troppo lunghi da spiegare qui)
      “incomunicabilità generazionale” è roba di quando la Carrà cantava in bianco e nero, usato e riusato in ogni romanzo di appendice ed opera pseudo/socialisticheggiante da “Cristo si è fermato ad Eboli” in poi. Rientra nel concetto “Mau-mauing the Flak Catchers”. E’ una costante dell’evoluzione umana, roba scontata, non può giustificare omicidi.
      “buttar vie le chiavi della cella del reo confesso” e il fabbro che viene appresso, ecco, questo è un cavallo di battaglia della parte politica dell’ineffabile Corso, la relatività della pena. Questo è uno dei problemi, da Cesare Beccaria in poi è evidente che la società si fonda sull’ineluttabilità della pena per chi compie reati contro la persona. Parlare di “colpa del maschio” serve a deresponsabilizzare il colpevole, facendo gioco di chi, come la parte politica di cui sopra, ha sempre considerato i colpevoli dichiarati come vittime. La taglio sottile, così capiscono tutti: è sbagliato non si fa, carcerare il violento, e si recuperi solo se possibile.
      Canticchiando “Tonight” di West Side Story arriviamo al conquibus dell’intervento (405 parole dall’inizio, by Jove) “Servirà indire in fretta e furia (scelta politica)” Ecco una frasetta veloce veloce ma intrisa di significati:

      1- Facciamo un nuovo progetto (inutile) nel progettificio che è diventata la scuola
      2- Visto che mi interesso di sociale, ne sono ghiotta ed esperta, chiamatemi che vengo
      3- E’ responsabilità della dx di governo pagare questi (inutili) corsi, se non lo fa sono fa…, antide…, ( e poi com’era l’altra? Ah sì “Patriarcali”)
      Insomma, 483 che confermano le mie 307- E adesso basta che sono anch’io a 433….

      • Credo che lei non abbia voluto cogliere il senso delle parole di Adriana. E le dirò che colgo una crudeltà verbale, che spero usi (verbo usare, questo sì), solo battendo i tasti del computer. Sarebbe triste che tanto rancore ‘inutile’ nei confronti di chi non le ha fatto niente di male, lo riproponesse con i suoi simili.

        • Crudeltà? Ma quale crudeltà.
          Come spiega Jordan Peterson occorre parlare chiaro, anche se si rischia di mettere a disagio l’interlocutore. Questo anche di persona.
          La sua frase sul rancore non solo è inacettabile, ma pure illogica e stupefacente in bocca ad un adulto.
          Personalmente chiamo pane il pane e vino il vino.
          E’ il momento di affrontare la realtà, vi siete nascosti/e dietro al politically correct troppo tempo, ora basta.
          Del resto, le vostre idee sono in crisi in tuto il mondo, ci sarà pur una ragione.

          • Le nostre, le vostre, le loro di idee, hanno a che vedere con la civiltà. E se le idee sono in crisi, che fare? Se ci fosse un sogno da praticare, non sarebbe quello dell’incontro, del confronto.. .
            Non sarebbe l’antidoto all’odio, alle guerre, alla sopraffazione, non sarebbe acqua limpida che scorre sul fiume ad abbeverare i bisogni, a non lasciare nessuno con la sete? Nulla possono le parole di fronte alla forza delle armi, ma molto possono, come il pane per chi ha fame.

  3. Aspettavo il pezzo della Corso dalla notizia dell’omicidio.
    Sono 760 parole, bisogna arrivare alla 606-esima per trovare il sodo: l’accusa all’uomo fallocrate ed impotente, forse un po’ di imbarazzo c’era (ed a ragione).
    Premesso, la colpa dell’omicidio e di chi lo commette, il resto è un abbaiare strumentale alla luna, però sono d’accordo con due frasi della Corso: “sa che deve compiere un percorso di ripensamento” e “colmare quel vuoto culturale”
    Ecco, io, invitato, ho ripensato e più che battermi il petto, sono giunto a farmi una domanda, ma se il “vuoto culturale” fosse diretta conseguenza dell’abbandono dei valori cristiani promossa dalla parte politica cui appartiene la scrivente?
    Dopo anni e anni in cui le scuole seguono i diktat del sindacato e promuovono la mediocrità a dispetto dell’autorità e della meritocrazia, dopo anni e anni in cui è proibito dire di no, magari mezzi uomini come l’omicida si sono fatti più frequenti.
    A furia di permettere la qualunque dopo occorre blaterale di “educazione sentimentale”, cosa assolutamente inutile perché afferente a quanto preteso prima. Magari si poteva evitare di dire ai ragazzi “copulate copiosamente, che dopo tanto c’è l’aborto”, oppure “ubriacatevi pure , che è vostro diritto, semmai c’è il numero viola delle sorelle di buona creanza”, o anche “ fumate pure quel che vi va fino a non ricordarvi chi siete, che è giusto così” o il recente “siete quello che vi sentite, vi sentite donna e siete uomo, uomo e siete donna, essere umano e vi sentite cane? Va bene lo stesso, anzi, se vi chiamano con un pronome sbagliato li mettiamo in galera”.
    Ecco, tutto questo ciarpane, ineffabile Corso, potrebbe essere la causa di questo “vuoto culturale”?
    Secondo me la rieducazione occorre, ma non a un genere sessuale, a un genere di persone.
    Per ultimo. Avete strumentalizzato l’uccisone di una povera ragazza….posso chiedervi di vergognarvi?

    • Per quel ‘vi’ in quanto plurale, vergognarvi (voi), diranno gli altri (chi?) io non mi vergogno affatto perché ho scritto con dolore e buoni intenti, concordo che l’educazione riguardi tutti, in quanto alle mie appartenenze etiche e religiose, le posso dire che sono una persona di fede, sempre, anche nei confronti di chi mi confonde con ciarpame, vergogna e mi aggettivizza con ineffabile . . . e altro ancora.

      • Quel “vi” è ovviamente riferito alla sua parte politica.
        La dico breve e facile: usare un delitto per promuovere le proprie convinzioni politiche è sbagliato a prescindere dall’essere buddisti, confuciani muslim o cattolici, non citavo religioni, citavo i valori…..ma come poeta (o potesessa) lei la differenza la dovrebbe pur capire….o sbaglio?

        • I valori hanno una loro religiosità, quella interiore e vivono con innocenza il loro desiderio di manifestarsi. Così come molte persone non sanno confrontarsi senza offendere e inventare e manipolare il pensiero altrui, il sentimento dell’innocenza resiste perché nulla usa, il verbo usare è estraneo e fa male come uno schiaffo in faccia.

          • E allora, la prossima volta, evitate di usare.
            Magari davvero risultereste innocenti

    • E io invece personalmente aspettavo la sua reazione
      Infarcita anche stavolta dei soliti luoghi comuni, i suoi della destra
      Anche lei sempre uguale a se stesso
      Prevedibile da vincere ogni scommessa sul contenuto del suo commento
      E da non avere più alcun interesse a leggerla anche in futuro

      • Se credere in valori vuol dire essere di destra, allora va bene, sono di destra con orgoglio.
        Invece lei non mi ha saputo rispondere sui temi, non è “sul pezzo”, si affida al risentimento, deve quindi essere di sinistra.

  4. Cara Andreina, grazie per quello che scrive, si capisce che ci sono tante belle intenzioni, ma io sono sempre più pessimista, siamo andati troppo oltre il lecito e è impossibile tornare indietro. Mi spiace per i giovani.

  5. Qualcuno ci dica cosa ne pensa anche delle donne che commettono infanticidi, sono molti casi. Io da Padre di quattro figli e otto nipoti non mi sento per niente in colpa per quello che succede, e non credo sia colpa della società o della scuola, temo purtroppo che si dia troppa visibilità a questi assassini, per me vanno messi in galera e buttate via le chiavi ( se giudicati da un Tribunale e considerati colpevoli ). Niente voli di Stato, niente TV e quotidiani, ci manca solo che facciano un Film, ma soprattutto niente compassione.
    Shylock the first

    • Caro lettore le Sue accuse generalizzate contro Corso mi sembrano decisamente fuori luogo. Si attenga al merito della questione e delle considerazioni, più che condivisibili, dell’articolo.
      Ne potremmo ricavare tutti, forse, qualcosa di utile in un confronto con suggerimenti appropriati.

      • Cara lettrice, per persone come lei e come l’autrice, l’assassino rischia di fare solo 12 anni di galera, che con premi vari si ridurrà a quattro, e poi sarà affidato ai servizi sociali, magari vicino alla casa dove vivono i genitori della ragazza, i quali non mi sembrano tanto distrutti ( e qui si scateneranno i soliti noti ).
        Shylock the first

  6. Che dire cara Andreina?
    Si cerca di dare significato a ciò che è accaduto parlandone soprattutto coi giovani…
    E questa volta Giulia e Filippo sono più che mai i figli di tutti noi.
    E noi come famiglia ci sentiamo in difetto quasi come se tutte le attenzioni per i nostri figli abbiamo alimentato dei sentimenti negativi.
    Quei sentimenti come frustrazione, delusione inadeguatezza loro li sanno superare senza dar sfogo a episodi tragici come questo?
    Da madre continuo a farmi tante domande….

  7. Il patriarcato è trasversale, attraversa uomini e donne. Ci vuole attenzione costante ad esempio nel linguaggio, nominando anche il femminile. Come madre spero di aver formato una donna e un uomo-la mia figliolanza- ad avere rispetto di ogni essere umano. Come insegnante ugualmente con la scolaresca. Noto che nella preghiera “Salve o Regina” Maria è invocata come “avvocata”.

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