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Il miracolo dello schiavo di Tintoretto – Gallerie dell’Accademia, Venezia.

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Jacopo Robusti, soprannominato Tintoretto (Venezia, 1519 – 1594) per il mestiere del padre che era un tintore di tessuti, dipinse Il miracolo dello schiavo (Il miracolo di San Marco), un’opera di grandi dimensioni conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Firmato in basso a destra, risulta essere uno dei dipinti più emblematici, poiché in esso si rispecchiano le grandi qualità dell’artista, costituite dall’impiego di effetti scenografici a dir poco rivoluzionari.

Il pittore e scrittore Carlo Ridolfi (1594 – 1658), che scrisse una biografia sulla vita di Tintoretto, raccontò che il pittore iniziò il suo apprendistato nella bottega di Tiziano con il quale ebbe un rapporto conflittuale. Pare che il maestro lo avesse allontanato, poiché notando le qualità artistiche dell’allievo, temesse di essere superato. In effetti quando Tintoretto realizzò Il miracolo dello schiavo, ne stava approfittando del fatto che Tiziano non era in Italia, ma si trovava alla corte di Augusta per ritrarre Carlo V.

La tela in principio venne eseguita per la confraternita di carità Scuola Grande di San Marco e raffigura un miracolo del patrono di Venezia San Marco, che giunge allo scopo di salvare uno schiavo che sta per essere martirizzato da un signore di Provenza per aver venerato a Venezia le reliquie del santo. È dall’alto che San Marco, sorreggendo sottobraccio il libro da evangelista, interviene per distruggere gli strumenti di tortura, impedendo così agli aguzzini tedeschi e turchi di fratturare le gambe e accecare il pover’uomo.

La Loggetta sansoviniana collocata a sinistra ci suggerisce che la scena è ambientata nella piazza veneziana, luogo in cui i “foresti” (stranieri) erano una presenza costante per via del transito delle merci. Tintoretto lega il miracolo ai turchi e fa indossare ai personaggi il turbante.

Lo storico dell’arte, saggista ed esperto Augusto Gentili, un docente che insegnò nell’università Ca’ Foscari di Venezia, afferma che, secondo la tradizione iconografica, quando un santo è raffigurato a figura intera coi piedi in terra significa che il miracolo riguarda un episodio accaduto mentre il santo era in vita, bensì se appare in volo, come in questo caso, l’azione del santo è avvenuta dopo la sua morte.

Tintoretto si ispirò probabilmente vedendo un rilievo in bronzo intitolato Miracolo dello schiavo (1541-1544) (Fig.2) di Jacopo Sansovino situato nella seconda tribuna della basilica di San Marco, dove il santo venne rappresentato nella medesima postura. Nel dipinto di Tintoretto si nota che nessuno sta volgendo lo sguardo verso il santo e questo perché durante la sua comparsa si è reso invisibile agli occhi degli astanti.

La posa del santo è l’elemento più importante del dipinto, poiché tutta la prospettiva è orientata sulla sua mano, il gesto diventa la chiave dell’azione. Inconsciamente l’osservatore, travolto dalla dinamicità, si trova catapultato nella scena. L’uso della convergenza su un gesto fu proprio un’invenzione di Tintoretto che apportò dunque uno sconvolgimento artistico eccezionale, ottenendo risultati di grande intensità drammatica nei contrasti di luce e colore. La convergenza fu collocata in alto del quadro per dare un effetto di prospettiva ribaltata, in cui il piano dell’immagine non è dritto, ma inclinato. Tintoretto quindi eseguì opere scenografiche che si contraddistinguono per la pittura rapida, gli effetti luminosi e realistici. Grande estimatore di Michelangelo, meditò sulle sue opere per creare figure possenti in pose audaci.

Fig. 2 Jacopo Sansovino ''Miracolo dello schiavo'' [1541-1544]. Venezia San Marco, seconda tribuna. Foto da Art e Dossier, Gentili A., Tintoretto – I temi religiosi
Fig. 2 Jacopo Sansovino ”Miracolo dello schiavo” [1541-1544]. Venezia San Marco, seconda tribuna. Foto da Art e Dossier, Gentili A., Tintoretto – I temi religiosi

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