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Gondolieri di Venezia in crisi eppure derisi. Le probabili cause di un’antipatia storica

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I gondolieri di Venezia denunciano “condizioni di lavoro” che “continuano ad essere pessime”. Queste parole, contenute in un comunicato-stampa della categoria, hanno scatenato sui social accuse e insinuazioni che a volte hanno superato l’insulto.
“C’è chi non riaprirà più l’attività e a loro nessuno fa l’articolo” ha scritto un utente; “con tutti i soldi che si sono intascati possono campare quattro generazioni” ha risposto un altro. E a chi menziona guadagni folli e evasione fiscale gli interessati parlano di “invidia” e di “diffamazione”.
Ma quali sono le radici di questa diatriba?
Per fare luce sulla questione bisogna tornare agli anni ’50 e ’60, quando grazie al “boom” economico Venezia godette di un enorme sviluppo turistico.
Fino ad allora, i gondolieri erano modesti lavoratori divisi tra pope “da parada” e “da casada”: i primi occupati nei traghetti, i secondi al servizio delle famiglie più ricche. Ma fu con l’esplosione del turismo che la categoria fece il cosiddetto “giro del paletto”.
Tutti venivano a Venezia, tutti volevano salire in gondola. Fu così che i “pope” passarono da semplici “trasportatori” a vere e proprie “guide” alla scoperta dei canali più suggestivi.
Non furono solo – ovviamente – i gondolieri a cavalcare quest’onda, ma anche i ristoratori, gli albergatori, i commercianti, gli artigiani. Erano gli anni della “lira debole”, del mondo diviso in due blocchi, e qualunque attività rivolta al turismo garantiva una “facile” quanto “inesauribile” fonte di reddito.
Ma le cose cambiarono, dapprima con l’apertura a nuovi mercati, successivamente con l’adozione di una moneta più forte. I prezzi si adeguarono alla domanda, i margini si ridussero e con loro la qualità dell’offerta.
Chi sembrò un po’ più immune a questo processo furono proprio i gondolieri, che bloccarono le tariffe puntando sull’imprescindibilità del giro in gondola.
Così, mentre i ristoratori facevano i conti con la liberalizzazione delle licenze, gli albergatori con l’avvento dei “b&b” e i commercianti con la concorrenza dei negozi al ribasso, i “pope” blindarono la “contaminazione” della categoria con “concorsi” spesso bersagli di polemiche.
“Tra i candidati dichiarati idonei a diventare sostituti, quasi tutti sono figli, nipoti, fratelli, in qualche caso figliocci – denunciò nel 2018 il consigliere comunale del M5S Davide Scano parlando di “selezione surreale” con “termini poco conosciuti” e di “una prova pratica troppo breve”.
Ma l’aspetto che colpisce e fa discutere di più l’opinione pubblica riguarda l’esenzione dal rilascio di fatture e scontrini fiscali.
Dal 1993 l’onere fu in effetti posto ai “pope”, con il ministro delle Finanze Rino Formica che considerò il giro turistico effettuato o con auto o con imbarcazioni “un contratto di locazione di bene mobile assoggettato all’obbligo della ricevuta fiscale”.
Ma la categoria insorse e il 29 luglio 1994 fu firmato un decreto che assimilava “le prestazioni rese dai gondolieri della Laguna di Venezia” a quelle “di traghetto rese con barche a remi”, “di trasporto con mezzi a trazione animale” e “a mezzo servizio di taxi”, esonerandole dalla certificazione dei corrispettivi.
Lo status di “guadagni liberi”

a volte attirò la curiosità della Guardia di Finanza. Ad esempio nel 2009 le fiamme gialle avviarono un’indagine sulle proprietà dei “pope”.
Secondo il “Corriere del Veneto” quattordici gondolieri risultarono titolari di mutui con “rate che superavano di gran lunga il loro stipendio mensile dichiarato” mentre un altro finì “nei guai in seguito alla denuncia dell’ex moglie, arrabbiata per l’assegno familiare troppo basso rispetto alle reali possibilità economiche del marito”.
Nello specifico si parla di dichiarazioni che corrispondevano ad almeno “meno della metà” delle cifre supposte, mentre in un caso “il contribuente lagunare aveva sostenuto di avere un reddito pari a 12mila euro, un quinto rispetto ai 61mila accertati e contestati”.
Altri episodi colpirono poi l’immaginario collettivo. Nel 2012 ci fu, per esempio, il caso della coppia di russi che pagò 400 euro per un giro di 50 minuti che arrivò alle cronache.
“Chi indossa la divisa da gondoliere ha delle precise responsabilità nei confronti della categoria e dell’immagine della città – commentò il presidente dei Bancali Aldo Reato, oggi consigliere comunale nella lista Brugnaro – se troviamo chi ha sbagliato non la passerà liscia”.
Seguì un servizio di “Striscia la notizia” che documentò tariffe superiori a quelle ufficiali in cinque episodi su cinque. “Non si può più tollerare che Venezia sia infangata da qualche furbetto” tuonò Simone Venturini, allora capogruppo Udc in Consiglio comunale.
Tutte cose che restano nella memoria delle persone, ma che dovrebbero sempre essere ricondotte al comportamento del singolo, ricordando che è sempre sbagliato generalizzare su una categoria.
Successivamente, mentre la “bolla” del turismo “esplodeva” con flussi insostenibili ma margini sempre più ridotti, la categoria dei gondolieri iniziava ed essere invisa anche da chi, preso dentro ad affitti in rialzo e ad oneri fiscali, giudicava i loro “benefit” anacronistici e scorretti.
E non aiutò la conferma dell’ ”ereditarietà” della licenza da gondoliere che arrivò improvvisamente il 6 luglio 2020, quando il Consiglio comunale, poco prima delle consultazioni comunali, approvò una modifica al Regolamento che esentava “i parenti dei titolari” dal sostenere l’esame sulle lingue straniere e sulla storia di Venezia.
Poi l’imponderabile: l’inatteso protrarsi della pandemia che ha azzerato anche le disparità, equiparando “ricchi”, “poveri”, “agiati” e “disagiati” in una situazione in cui arriverà sostentamento in base alle dichiarazioni dei redditi dell’anno prima.
Ora a Venezia tutti gli operatori che lavoravano col turismo sono sulla stessa “barca”.
Non si vedono, in pratica, guadagni da un anno e la categoria dei gondolieri non è immune dalla crisi.
Ciò nonostante qualcuno ne approfitta per fare sfottò verso un rango su cui si fanno racconti mitici per vite sfarzose e dissolute fatte di anni di viaggi e abiti firmati.
Ma la categoria, con il suo articolo, non intendeva certo evocare fantasmi di “Rolex”, “Suv”, “case a Cortina” e “vacanze in Thailandia”, bensì confermare che la crisi è reale e concreta, e si è abbattuta su tutti.
E spesso c’è una famiglia da mantenere.

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