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CURARSI CON LE ERBE, PERCHE’ NO? di Anna Maffezzoli [concorso letterario]

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Quarantesimo giorno di quarantena e non ne posso più.
Non che mi pesi così tanto stare in casa.
Mi sono ritagliata i miei momenti di relax, leggo libri, guardo i film che ho sempre desiderato. Cucino. Ingrasso.

Tutto sommato non è una brutta vita. Lasciare là, fuori dalla porta, il traffico caotico di Milano. Stare tutti accalcati nel metrò la mattina, sempre di corsa fra casa e lavoro, non rimpiango certo quella vita.
Lo smartworking non mi dispiace, penso mentre ripongo il computer sulla mensola del soggiorno.
Quello che non sopporto è dover restare tutto il giorno con lui. Giro lo sguardo fra lo schifato e il disperato a Mario, sdraiato sul divano con una birretta in bottiglia in mano. Sta guardando Barbara D’Urso alla TV con un’espressione tra l’ebete e il deficiente.

Trent’anni di matrimonio alle spalle, forse all’inizio c’era amore fra di noi, poi è subentrata la routine, adesso il sentimento più forte che provo è l’odio. Non lo sopporto più. Certamente questa vita così a stretto contatto ha fatto precipitare un rapporto già barcollante.

-Giorgia vieni qui a berti una birretta –
– Non posso, devo pulire la casa – la pulizia maniacale di ogni centimetro della nostra casa, è diventato per me, una fuga da tutto e soprattutto da questo legame.
“Rispettate il pane, sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio”
Quanto tempo che non vedevo questo vecchio quaderno, ingiallito e sbiadito dal tempo.

L’ho trovato in fondo al mobile del soggiorno dove c’è un po’ di tutto: carte da regalo che “possono servire”, vecchi giornali, vecchi quaderni di scuola. In questo periodo sospeso, sto riordinando maniacalmente e buttando tante cose inutili. Mentre rovisto e accatasto sul pavimento, ecco questo vecchio quaderno dell’epoca fascista, c’è Benito Mussolini, disegnato sulla copertina, a torso nudo che miete il grano.

Prenderlo, aprirlo, è come far entrare nel mio naso un forte profumo di erbe, di campi, d’estate.
Non ricordavo più dove l’avevo messo, ma ricordo perfettamente di chi fosse: della zia Rosi, la sorella maggiore di papà.

-È la più intelligente di noi fratelli- diceva mio padre – avrebbe dovuto studiare lei non io!-
Invece i sacrifici per lo studio erano stati riservati a lui, unico maschio di cinque figli.
La zia Rosi era una donna curiosa, amava la natura e conosceva le proprietà delle erbe. Quando ero piccola, mi portava con sé nei campi e mi faceva vedere le erbe, buone per ogni cosa.

– Tutto ciò che cresce nei prati e nel bosco , può curare le malattie, ma bisogna conoscere bene quel che si raccoglie, dalla terra crescono anche veleni. – le ricordo bene queste parole, mi girano nella testa come un vortice in un fiume impetuoso.
– La natura ti offre tante medicine quante ce ne sono sugli scaffali del “spesial” Già perché ai suoi tempi il farmacista ero lo “speziale”. “Le erbe sono la farmacia del Signore”.

Andavamo per i campi col cestello di vimini intrecciato, un foulard legato sulla nuca, per coprire il capo dal sole.
La zia mi raccontava di quando da bambina andava a giocare da una compagna di classe che abitava fuori dal paese, in una casetta mezzo diroccata fra i campi.
Era là che aveva imparato a conoscere le proprietà delle erbe, dalla mamma della sua amica, una donna strana, in paese dicevano che fosse un po’ matta e un po’ strega. Sapeva fare dei massaggi con le mani che sprigionavano calore e conosceva il potere delle erbe.
Quando c’era bisogno, però, andavano tutti da lei, senza farsi vedere e le lasciavano qualcosa da mangiare: una bottiglia d’olio, un sacchetto di farina.

La zia Rosi era curiosa e attenta, seguiva la donna nel campo e scriveva sul suo quaderno il nome delle erbe e le loro proprietà, faceva anche il disegno per ricordarsi meglio.
Adesso che ho il suo quaderno tra le mani, osservo la sua bella scrittura a svolazzi e i disegni mezzo cancellati dal tempo.
“Achillea” tisana: mettere un cucchiaio di fiori in un 1/4 di litro d’acqua bollente, lasciar riposare 5 minuti. C’è il disegno dei capolini fioriti e mi sembra di vederle nel prato quelle belle nuvolette bianche e rosa.

-Fa bene per tutto, se hai mal di pancia, se non hai digerito. Se ti fai un taglio, pestala bene in una scodella con un cucchiaio e mettila sulla ferita. Ha proprietà E-MO-STA-TI-CHE.”
Ripeteva, scandendo le lettere, quella parola difficile, per lei che aveva studiato solo fino alla quinta elementare. Mi raccontava la storia di Achille. Di un guerriero valoroso che aveva curato le ferite dei suoi compagni durante l’assedio di Troia.

“È l’erba delle donne, fa bene per tutti i disturbi delle donne, capirai…” e assumeva un’aria misteriosa perché di certe cose, con me, non voleva parlare.
E infatti nel quaderno leggo: “cura le mestruazioni irregolari, lavare le parti intime con i fiori macerati in acqua per una notte, allontana il prurito vaginale”.
Come un fulmine mi attraversa la mente: erbe VE-LE-NO-SE. Mi sembra di sentire la voce della zia.

Eccole qui sottolineate con la matita rossa. Pericolo c’è scritto, usare nelle dosi strettamente indicate.

Aconito Napello : contiene sostanze tossiche in tutte le sue parti, radice e parte erbacea, per il sistema nervoso centrale. Provoca vertigini, parestesie, aritmie cardiache fino ad arrivare all’ARRESTO CARDIACO. A piccole dosi cura le nevralgie e abbassa la pressione. Non superare la dose di un cucchiaino da caffè in una tazza d’acqua calda.
Giro lo sguardo, sullo scaffale in cucina c’è un cestino coi fiori che ho raccolto in montagna, quelli viola, li conosco bene, è proprio Aconito Napello.
– Caro ti preparo una tisana vedrai come dormirai bene.
Prendo quattro fiori viola, li spezzetto nella teiera. Cosa dice il quaderno? Infusione per cinque minuti.

Guardo il tempo passare sull’orologio da muro, i rintocchi accelerano i battiti del mio cuore. I miei occhi luccicano come quelli di una strega. Li vedo riflessi nello specchio.
Morto di Covid, dirò, non fanno neanche l’autopsia.
Tempo scaduto, prendo la tisana e la…getto nel water.

Come si fa, non me la sento.
-Nella salute e nella malattia, finché morte non vi separi – sento risuonare nelle orecchie.
– Amoree, sta tisana?
Apro il quaderno e leggo: alloro, digestivo e più avanti Santoreggia, afrodisiaco.
Le ho queste erbe, le raccolgo d’estate nelle passeggiate.
Acqua bollente, un po’ di una e un po’ dell’altra.
Chissà che non gli si risvegli qualcosa, a quel bestione.

 

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