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CORONAVIRUS: OSSESSIONE GLOBALE E LIMITI DELL’INGEGNO UMANO di Virginia Murru

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L’informazione, da circa un anno a questa parte, vive in una sorta di trincea, occupa gli avamposti della guerra del millennio, quella contro il più invisibile dei nemici, il Covid-19.
La vita normale sembra finita in catalessi, gli assalti e il rocambolesco imperversare del virus si prendono buona parte degli spazi, perché ormai ci ha fregato anche il pensiero, oltre a rubarci la vita con la luce accesa.
Pensavamo che non vi potesse essere posto per altri interessi in quest’epoca assediata da una pandemia che ha messo in ginocchio l’intero pianeta.
E invece no, ci sbagliavamo, le presidenziali americane hanno calamitato l’attenzione del mondo, che si ritrova mezzo rimbecillito davanti ai TG, ai report continui sulle testate giornalistiche, tutti immersi in un’altra battaglia, quasi fossimo parte in causa, anche se americani non lo siamo nemmeno di striscio.
Sarà l’arroganza, o confessiamolo, il fascino sinistro del ‘the Donald’, quel suo piglio autoritario poco autorevole, il suo modo originale di lanciare le sfide, o mettere al bersaglio l’avversario, qualunque accidenti sia, mai le presidenziali americane avevano ‘chiamato’ a raduno il mondo intero sull’esito dell’’election day’.

Tutti col fiato sospeso, come sottolinea il Washington Post, e non solo gli States, c’è tutto questo pianeta sferzato duramente dal Covid in attesa. A seguire i risvolti, tutti americani, delle schermaglie quotidiane in cui si misurano i virtuosismi in termini di public relation dei candidati, a sondare su chi ha il morso più tagliente, talvolta velenoso.
Si aspetta il risultato definitivo quasi con trepidazione, come se queste elezioni dovessero decidere il destino dell’Umanità intera, o fossero lo spartiacque tra il bene e il male, insomma una sorta di ‘daily obsession’, peggio dei numeri serali che riportano l’entità dei contagi registrati in giornata, compiuti dall’invisibile assassino seriale.
Si pensava dunque che il Covid, con le sue tragedie al seguito, a dimensione globale, fosse il catalizzatore dei media e dell’interesse della gente, il tormentone del terzo millennio, quel denominatore comune che ha caratterizzato la vita di tutti in ogni angolo del pianeta. Il richiamo alla ‘livella’ di Totò, è quasi naturale, se si riflettesse su questo aspetto del dramma.
Il virus infatti un ‘pregio’, se tale si potesse definire, lo ha avuto finora: non ha guardato in faccia nessuno, non ha fatto distinzioni tra Paesi ricchi e poveri, i blasonati della Cultura e quelli privi d’istruzione, miliardari e gente comune, pregiudizi razziali e religiosi..
Niente, un mulo che va avanti al buio e non gli importa del portafogli delle sue vittime, del colore della sua pelle.
Proprio niente, è andato avanti imperterrito, nonostante gli esseri umani, che pensavano fino ad ora d’essere i più sapienti, i più scaltri, e che nessuno l’avrebbe fatta in barba alla loro (micidiale) intelligenza.

Una beffa, dura da metabolizzare, dura da digerire la sfida di quel microrganismo con caratteristiche biologiche insignificanti, non certo paragonabili alle cellule umane.
Il Covid, qualora avessimo qualche spicciolo di pensiero libero dalla congestione dei problemi quotidiani, ci ha fatto riflettere su un aspetto poco edificante dell’Umanità, ossia la tendenza a creare distanze tra gli esseri umani, a seconda del potere, prestigio, benessere economico, livello d’istruzione, ruolo sociale.
Tutti muri che in definitiva avviliscono la dignità dei non privilegiati, e che invece dovrebbero essere le pietre miliari della vergogna, perché l’unica funzione è quella di etichettare la Vita.
Il virus, questo silenzioso microrganismo che nel volgere di un anno ha compiuto devastazioni a danno dell’organismo umano, e tali e tanti casini da cambiare il volto della storia, è un ‘tipo’ che in termini di ‘giustizia’ ha fatto le ‘cose per bene’.
Ha usato le stesse misure con tutti senza distinzioni, la medesima ‘livella’. La Scienza gli ha fatto solo il solletico, anche se resta vulnerabile alle sue conquiste, e tuttavia fino ad ora, nonostante le sue strade siano state tempestate di ‘mine’, ha continuato a scatenare i suoi assalti, tanto che dopo un anno di battaglie perse in retrovia, non ne siamo venuti a capo.
E così tutto il mondo, a partire dallo scorso febbraio, ha seguito con angoscia le vicissitudini dei contagi, contato le vittime, fatto i conti con una qualità di vita che prevede il coprifuoco, il lockdown, al quale ognuno ha reagito con insofferenza, intolleranza, non di rado con la rivolta. E ancora si aspetta la fine. Che sembra lontana, in prospettiva.

Tutti spiaccicati davanti ai comunicati stampa della Protezione Civile, o le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché dobbiamo ripetercelo, anche se sembra inverosimile: ci riguarda tutti, proprio tutti, in questo mondo che si è scoperto fragile come una canna nel vento.
Un mondo grande e grosso, ma col rischio di essere fatto fuori da un virus visibile solo al microscopio elettronico, che si cerca di esorcizzare in tutti i modi, ma è sempre tra i piedi, ad insidiarci la strada, a bloccarci i percorsi.
E poi, arrivano le elezioni presidenziali americane, un appuntamento fissato per il 3 novembre scorso, al quale si erano però rivolte attenzioni di circostanza, non si immaginava che ci scaraventassero in una bolgia, o spirale di news e accadimenti, in fondo tipici dello svolgimento di questa maratona elettorale.
Difficile spiegare la ragione che ha deragliato l’interesse della gente, lo ha dirottato in una direzione diversa dalle traversie dei dati sui contagi causati dal Covid, che fino ad ora deteneva il monopolio dei media, faceva slalom tra notizie, rassegne stampa, comunicati, conferenze stampa dei capi di Governo.
Ovunque nel mondo, uomini politici che avevano avuto finora il compito di occuparsi ‘al meglio’ della gestione di uno Stato, quale organo esecutivo, invece a partire dal 2020 sono diventati dei Mandrake, una sorta di uomini bionici, che tengono le redini di una guerra impietosa, tramite l’uso di armi non convenzionali.

Questa ‘febbre elettorale’ negli States si è rivelata più contagiosa del Covid, in termini di interesse comune verso un avvenimento che già i sondaggi davano quasi per scontato, circa l’esito.
Eppure c’è tutto il pathos che non è stato considerato, la tendenza alla contrapposizione degli ideali da parte delle persone, realtà che ha segnato una linea di demarcazione anche in queste circostanze elettorali negli Usa. Che potrebbe trovare affinità in ogni angolo della terra, dato che si tratta di tendenza e logica puramente umane.
Non si è trattato di votare inferno o cielo, l’Angelo o il demone, in fondo i due candidati, in percentuale varia, potrebbero avere dentro di loro, e al loro seguito, un po’ dell’uno e dell’altro.
E allora qual è la reale ragione che porta l’elettore a schierarsi con l’uno piuttosto che con l’altro?
Un’attrazione irrazionale, forse, o un transfert in termini di modello nel quale riconoscersi, o qualcosa che va oltre e che non è accessibile alle nostre diottrie cerebrali, e per estensione ai nostri intendimenti e concezioni morali, psicologici e sociali. Difficile dire.

Roba per sociologi, forse antropologi.

 

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