IL PRIMO GIORNALE ONLINE DI VENEZIA | ANNO XVIII

venerdì 19 Aprile 2024
11.2 C
Venezia

data pubblicazione:

ultimo aggiornamento:

LEGGI ANCHE:

HOME PAGEBeneficenza dei supermercati sotto Natale: reale altruismo o operazioni di immagine?
Questa notizia si trova quiBeneficenza dei supermercati sotto Natale: reale altruismo o operazioni di immagine?

Beneficenza dei supermercati sotto Natale: reale altruismo o operazioni di immagine?

pubblicità

Sempre più spesso, soprattutto nel periodo natalizio, la grande distribuzione svolge campagne a sostegno dei più deboli promuovendo azioni a favore di questo o quell’ente benefico. Ma si tratta di gesti “genuini” o in qualche caso di operazioni di facciata per costruirsi un’immagine “ripulita”? 
Il dubbio ci è venuto dopo che ci ha contattato una veneziana invalida – che chiameremo con il nome di fantasia Diana – per raccontarci la sua esperienza in una di queste catene.
“Dopo una vita logorante nel settore turistico – esordisce – ho sviluppato una serie di patologie che l’INPS ha valutato assegnandomi un’invalidità del 70%”.

Non potendo proseguire con lavori usuranti, Diana si iscrive al Centro per l’impiego che le propone tre mesi di contratto in “categoria protetta” all’interno di un supermarket di Venezia.
“Per la prima volta ho sentito valere i miei diritti – prosegue – immaginando, finalmente, di svolgere mansioni in linea con la mia condizione”. 
La legge 68/1999, infatti, parla di “valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto” stabilendo le quote minime per ogni azienda: una persona con invalidità se i dipendenti sono più di 15, due se sono compresi tra 26 e 50, il 7% se superano le 50 unità.

Durante il colloquio di assunzione, un responsabile le annuncia che sarà visitata dal medico aziendale. “Nel frattempo, però, sebbene avessi illustrato il mio stato di salute – spiega – sono stata spedita all’ ‘ortofrutta’ a caricare e scaricare casse”.
Come se non bastasse, Diana viene convocata in ufficio. “Un superiore mi ha accusata di ‘battere la fiacca’ sostenendo che, vista la mia giovane età, avrei dovuto ‘dare di più”.

I turni proseguono tra dolori sempre più forti finché, dopo una settimana, il medico aziendale non solo conferma la diagnosi dell’INPS ma dirama un documento che la esenta da movimentare carichi. 
“Una copia mi è stata data a mano, un’altra inviata in direzione – continua – tuttavia la mia mansione è rimasta invariata. Mi sono offerta di riassortire i prodotti più leggeri, ma per quel compito erano già impiegati gli ‘amici dei capi’, tutti abili al 100%”.

Dopo un controllo dell’INPS, finalmente, Diana viene trasferita in cassa. “Pensavo che le mie tribolazioni fossero finite – racconta – ma dopo tre giorni, con la scusante che ‘tutti devono saper fare tutto’, mi hanno relegata a spostare insaccati nonostante ripetessi di non farcela. Anzi, le mie rimostranze mi sono costate un’altra convocazione in ufficio dove una figura direttiva ha sminuito la mia invalidità ricordandomi che ‘tutti abbiamo i nostri problemi’”.

I giorni proseguono con Diana che, nonostante i dolori, è costretta a disdire i controlli medici. “I turni venivano dati di settimana in settimana – spiega – rendendomi impossibile prenotare le visite: come avrei potuto sapere se il 3 del mese successivo sarei stata di riposo? Appena ho nominato l’ospedale il mio responsabile si è adombrato chiedendomi ‘cosa ci andassi a fare’, preoccupato più della copertura dei turni che del mio stato di salute. Mi sentivo umiliata e sbeffeggiata: ogni volta che si riferivano alla mia invalidità la chiamavano ‘quel foglio’, sminuendola e scavalcando sia la valutazione dell’INPS che dello stesso medico aziendale”.

I dolori si acutizzano finché Diana, immobilizzata a letto, si rivolge al medico di base che le impone dapprima una e in seguito due settimane di riposo. In tutta risposta, riceve una raccomandata dalla quale apprende che il suo contratto non verrà rinnovato.

“Mi sono sforzata – confessa Diana – ho fatto tutto ciò che potevo, ma alla fine sono crollata. Avevo sviluppato un buon rapporto con i clienti, ma in un posto in cui le mansioni si assegnano in base all’amicizia non c’è spazio né per la professionalità né tantomeno per le ‘categorie protette’, impiegate come usa-e-getta solo per evitare le multe. Per ogni disabile non assunto, infatti, è prevista una sanzione giornaliera”.

Nel frattempo la salute di Diana peggiora e la sua invalidità raggiunge il 100%. “Sono stata giudicata inabile al lavoro e percepisco una pensione d’invalidità – conclude – ma mi sento a posto con me stessa perché, nonostante i miei problemi, ho sempre dato il massimo per non gravare sullo Stato. Chi dovrebbe vergognarsi è quella catena di supermercati, che si lava la coscienza pubblicizzando attività benefiche quando in realtà non riconosce, vessa e umilia gli invalidi. Perché nessuna donazione, per quanto encomiabile, può cancellare la mancanza di rispetto verso categorie fragili che dovrebbero essere tutelate, non sminuite né tantomeno sfruttate” conclude Diana.

LEGGI TUTTO >>

RIPRODUZIONE VIETATA. SONO VIETATI ANCHE LA RIPRODUZIONE PARZIALE DI TITOLI, TESTI E FOTO ATTRAVERSO SISTEMI AUTOMATICI (CD AGGREGATORI) SU ALTRI SITI

Notizia interessante? Scrivi cosa ne pensi...

Scrivi qui la tua opinione
Il tuo nome o uno pseudonimo

notizie che hanno interessato i lettori

spot_img