IL PRIMO GIORNALE ONLINE DI VENEZIA | ANNO XVIII

giovedì 25 Aprile 2024
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Venezia

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BAGNO DI FOLLA di Marina Luzi

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Raggiungere piazza San Marco è un’impresa. Pressato e spintonato da ogni
parte come un chicco di riso sotto vuoto. È il prezzo da pagare, lo so, ma
non c’è carnevale senza un liston la domenica in piazza. Certo, il carnevale non
è più quello di una volta, ma Venezia è sempre Venezia e maschere raffinate come
se ne vedono qui non ce n’è da nessuna parte. E l’apoteosi è al Florian. Io e
Nane, tirati a lucido nei nostri costumi 800, abbiamo centellinato il più a
lungo possibile il caffè con panna e la frittella, come da tradizione. Ma che
caro e caro! Una manciata di euro. Ma non è solo un caffè: è il biglietto
d’ingresso per assaporare uno spettacolo unico al mondo. Nel tavolino di fianco
una coppia superba: “la Bella e la Bestia”. Francesi. Ah, loro sì che sanno
apprezzare il lusso, sono loro i costumi più raffinati, uno sfarzo d’altri
tempi… Lei una signora sui quaranta, bionda, fine, ben fatta, strizzata in un
bustino che fa esplodere un seno al silicone, un trionfo della chirurgia
estetica. Lui, la Bestia, era quasi meglio con la maschera: un viso anonimo,
senza personalità, di quelli che dimentichi subito.
In fondo al salottino un giovane maragià con le sue splendide concubine. Di
lato due maranteghe tutte pizzi e trine con un barboncino vestito da principe,
un costume di ottima manifattura sartoriale.

Appiccicati alle vetrine, nugoli di
turisti curiosi a bocca aperta che si spintonavano per guardare e scattavano
foto su foto. Io e Nane, impettiti e tirati a lucido, facevamo la nostra
grassa figura, curati in ogni dettaglio con le parrucche bianche a boccoli che
esaltavano il portamento. Ah, che soddisfazione, che estasi. E che recita! Sì,
perché bisogna calarsi nella parte, fingere di non vederli, di non sentirli, mai
voltare la testa, incrociare gli sguardi. Bearsi della loro presenza
ignorandoli. Devono percepire che noi siamo altro, che siamo altrove, sospesi
nel tempo e nello spazio, in un mondo di sogno precluso ai mortali. Poi, a un
tratto, come in ogni fiaba che si rispetti arriva la frase che segna il finale e
interrompe la magia. Preferirei qualcosa tipo: e vissero felici e contenti ma la
mia fiaba di carnevale finisce allo stesso modo di sempre, con il solito
cameriere che si avvicina di soppiatto e pronuncia un affettato “Serve
qualcos’altro, signori?”
Tempo scaduto, è ora di liberare il tavolino. A malincuore mi alzo e,
appoggiato per vezzo al bastone con testa di tricorno, saluto Nane per guadare
la piazza nel percorso a ritroso. Trasportato dall’onda dei turisti che
sciamavano verso la stazione ho guadagnato a fatica le sconte per raggiungere
casa non senza una sosta da Rizzardini per il solito pacchetto di frittelle, le
migliori di tutta Venezia, soffici, gonfie un tripudio di delizie.

Assaporandole con uno goto di vino riguardo le immagini della giornata
nella tv locale e apprendo con stupore: carnevale chiuso, inizia il lockdown.
La situazione è grave, sono in pericolo, sembra che gli anziani siano le
vittime preferite di questo virus. Eh, no, amici. Venderò cara la pelle.
Informazione prima di tutto, poi azione. Per sopravvivere occorrono prudenza,
disciplina, programmazione.
Sono pronto. Ho provveduto a organizzare la mia vita e, a dire il vero, ho
fatto un buon lavoro. Non per vantarmi ma sono una macchina da guerra io, non ho
trascurato nessun dettaglio.
Subito, il lunedì mattina sono andato a fare la spesa con due carrelli.
Prodotti a lunga conservazione. Tuttavia non ero tranquillo, bisognava aumentare
le scorte in modo da evitare il più a lungo possibile la necessità di uscire.
Secondo giro, altri due carrelli. Terzo giro, altri due carrelli. È vero che,
per sicurezza, avrei potuto fare un quarto giro di spese, ma si erano già fatte
le nove e già iniziavano a girare troppe persone lì dentro. Era ora di
organizzare le provviste. Avevo svuotato i carrelli nell’ingresso, ora bisognava
sistemarli. Ho iniziato i rituali: prima di entrare in casa ho spruzzato di
nuovo con lo spray disinfettante lo zerbino e ho strofinato a più riprese le
suole delle scarpe, poi le ho tolte e poggiate su un cartone posizionato subito
dietro la porta d’ingresso. Una volta dentro ho appeso la mascherina al chiodo
piantato ad altezza occhi di fianco alla porta e ho buttato i guanti nel
cestino, quindi mi sono spogliato e ho messo i vestiti nel bidone di plastica
vicino al cartone delle scarpe. Infine, armato di amuchina, ho disinfettato uno
ad uno i prodotti e li ho riposti nella dispensa. Un lavoro lungo e meticoloso
ma necessario. Non intendo dire che ho risolto il problema del cibo una volta
per tutte ma, certo, ora potrò stare tranquillo nella mia tana per un bel po’ di
giorni.

Tuttavia dovrò fare i conti col fattorino del fruttivendolo, con quello del
macellaio e con quello del pescivendolo. Ho organizzato una consegna ogni tre
giorni: lunedì frutta e verdura, mercoledì carne, sabato pesce. Metto i soldi in
una busta, li lascio sotto lo zerbino: lì prendono i soldi e depositano la
spesa. Io aspetto di sentire la porta d’ingresso che si chiude, indosso guanti e
mascherina, tiro dentro il sacchetto e disinfetto tutto. Un mese di
perfetta solitudine quando, aprendo il cassetto della scrivania, ho infilato la
mano nella busta e, con stizza, ho constatato di aver finito i contanti. Diverse
volte in questi giorni ero stato assalito dal dubbio di non avere un pozzo senza
fondo, mi ero detto che avrei dovuto guardarci dentro a quella busta, capire
quanto fosse rimasto, ma l’idea di uscire mi era così ostica che continuavo a
rimandare ancora e ancora. Ed eccoci: busta vuota. Certamente i miei fornitori
mi faranno credito, ho pensato e ho chiamato fiducioso. Niente da fare, una
serie interminabile di scuse e spiegazioni e, alla fine, niente credito per
nessuno.
Ho sentito un brivido nella schiena: uscire, prelevare allo sportello
automatico. Oh, se penso che c’è chi fa tutto on line con la carta di credito,
ma io no, non ne ho mai voluto sapere di queste diavolerie moderne. Ma chi
poteva immaginarselo tutto questo? Mai mi era passato per la mente che fosse
ancora possibile. Che diamine! E il progresso? E la scienza? Trovarsi nel
2020 per scoprire che nulla è cambiato, che la vita è appesa a un filo e che il
mondo brancola nel buio. Che follia!

E sia, farò quello che va fatto. Ho studiato il momento migliore. Volevo
essere certo di non incontrare nessuno, le persone sono così insensate! Uno ti
vede per strada e subito giù a parlare e, chissà perché, tutti hanno
l’impressione di non riuscire a farsi capire con la mascherina e si avvicinano
quasi a volerti urlare nelle orecchie. Li vedo io dalla finestra nella calle
sotto casa: parlano e parlano, gesticolano, si salutano toccandosi i gomiti. Che
follia! Si dirà che sono esagerato ma le statistiche non mentono: i contagi
aumentano, i vecchi muoiono come mosche.
Alla fine sono uscito. La luce mi ha ferito gli occhi, l’aria sulla faccia
mi ha raggelato, mi sentivo strano e la mascherina mi soffocava. E la gente poi,
sembrano tutti più curvi, guardano in basso, rasentano i muri con aria sparuta.
Forse a quest’ora insolita escono solo i più fobici. Devo avere anch’io quella
postura e quell’aria smarrita.
Ed eccomi in fila per il bancomat, ne avrò per venti minuti buoni se
nessuno s’ impianta. Una coda silenziosa, disciplinata. Li guardo uno a uno. Da
quanto non ero per la strada, da quanto non sentivo gli odori della gente! La
signora davanti a me emana essenza di rosa, un profumo d’altri tempi, come lei
d’altronde. In altri momenti l’avrei trovato sgradevole, eccessivamente forte,
esageratamente dolce, ora, invece, lo aspiro con avidità dalla mascherina
impregnata di disinfettante acre. Come si cambia!

A un tratto mi accorgo di essere preda di un impulso inatteso. Il terrore
m’invade. Senza una ragione precisa sento l’impellente bisogno di toccare
qualcuno, anche solo sfiorandolo per un istante. Che follia! Che rischio
insensato. Davvero non riesco a spiegarmelo. Eppure, come se un demone mi fosse
entrato dentro e indossasse il mio corpo come uno stupido involucro, mi sento
spinto a oltrepassare la soglia, a violare le distanze: toccare, sentire un
contatto fisico sulla pelle. Così, in fila, ho atteso paziente il mio turno poi
ho finto di sbilanciarmi e, come per tenermi, ho appoggiato una mano sulla
spalla della signora di fronte a me. Quella si è girata di scatto rivolgendomi
uno sguardo allarmato. Subito ho spalancato gli occhi per simulare sorpresa e mi
sono profuso in un mare di scuse, balbettando come mortificato per
l’inspiegabile perdita di equilibrio. Lei, presa in contropiede ha ingoiato
l’insulto che stava per attraversargli la mascherina e ha abbozzato un borbottio
di ammonimento. A lungo, rientrato nella quiete sicura della mia tana ho
continuato a sentire la morbida consistenza di quella spalla impellicciata. Il
contatto con quel corpo vivo anziché placarla, aveva aumentato a dismisura la
mia ossessione. Come un lupo che si avvicina agli insediamenti umani spinto
dalla brama di cibo, sono diventato sempre più incauto, sempre più ardito.
All’arrivo del fruttivendolo mi sono appostato dietro lo spioncino e, quando
l’ho visto alzare lo zerbino in cerca della solita busta con i soldi della
spesa, ho aperto la porta come per prendere il sacchetto mente lui, confuso, mi
faceva notare che avevo dimenticato la busta. Fingendo sorpresa ho guardato sul
tavolino dell’ingresso: “Eccola, che sbadato!” e, porgendogliela, gli ho come
inavvertitamente sfiorato la mano. Quel tepore… mi sembra ancora di sentirlo.
Che follia! Ho come questa smania di uscire, vedere gente, toccare. Se penso che
solo un mese fa l’irritazione per quel bagno di folla del carnevale mi faceva
fremere d’impazienza e il chiasso, la musica, gli spintoni m’irritavano
lasciandomi una sgradevole sensazione d’invadenza, di violazione del mio spazio
vitale.

Come in preda a un delirio mi sono bardato di tutto punto e sono andato al
supermercato, ci sono andato all’ora di punta per rimanere in fila, per stare in
mezzo a gente viva, ascoltare, annusare, parlare. Ora vado tutti i giorni, più
volte al giorno, una volta nell’alimentari sotto casa, una volta al supermercato
vicino, un’altra in quello giù dal ponte. Cambio anche la giacca e il cappello
per non dare nell’occhio dopo che un commesso mi ha apostrofato con un “Signore,
non dovrebbe venire così spesso, non è prudente.”
E dunque, amici, che ne facciamo del nostro vecchietto? Potrebbe finire
così quest’avventura:

I° finale
File interminabili, un’ottima scusa per stare all’aria aperta, mi fa bene.
Tutti quei giorni chiuso in casa! La mia faccia aveva iniziato a prendere un
colorito giallastro. Mi guardo intorno, con calma, studio le persone le scruto;
quello ad esempio mi ricorda Nane, stessa statura, stessi capelli, se fosse di
queste parti direi che è lui, ma, diamine, abita a Cannaregio, non ha senso che
vanga qui a fare spesa. Eppure… “Nane! Ma sei tu? Che ci fai qui, vecchio
mio?” Un fremito gli muove leggermente le spalle, si gira di scatto, rapido mi
fa l’occhiolino, poi, con lo sguardo basso: “Eh, vallo a dire tu alla mia
vecchia, ha finito il lievito e la Bettina le ha assicurato che qui ce l’hanno.”
Devo aver fatto uno sguardo strano, Nane si è passato la mano davanti alla
mascherina come per farmi cenno di tacere. Ho retto il gioco. “Benedette donne!
La mia mi manda fuori cento volte al giorno e spiegaglielo tu che non è il caso!
E mi manca questo e ho finito quest’altro. Adesso pensa che si è fissata che
deve fare una ricetta con la fontina della val d’Aosta. E dove gliela trovo io?”
ho detto di rimando strizzando un occhio.

“Voglio salvarti la pelle, amico”
ribatte Nane con tono furbo. Vicino a casa mia c’è una bottega di formaggi che
ha qualunque cosa tu voglia, se mi aspetti dopo la spesa ti faccio strada!” “Sei
un amico! Supplicherò la mia signora di farti avere un po’ di lievito
madre.”
Ed eccoci mezz’ora dopo, procedere appaiati verso San Marco, a debita
distanza nelle calli larghe e vicini quasi a sfiorarci nelle sconte. “Allora
Nane? Anche tu esplodevi dentro casa? E dimmi, com’è questa tua signora?
Affascinante?” “Finiscila scapolone, la tua deve essere petulante quanto basta
con quella fontina della Val d’Aosta.” “Non so tu ma io mi trovo quasi a
invidiare quelli che hanno famiglia.” “Ma scherzi? Ci sono uomini disperati
chiusi in casa tutto il giorno con le mogli che farebbero carte false per essere
nei nostri panni.” “Già, è che questa solitudine è così innaturale, mi
sento strano, penso che verrò avrò voglia dei formaggi più introvabili nei
prossimi giorni.”
“Sarò il tuo cicerone, amico, ho un pacco di autocertificazioni con i nomi
delle botteghe sparse in tutta Venezia e che vendono prodotti esclusivi, ti
faccio un po’ di fotocopie. Domani alle 8,30?”
“Domani alle 8,30!”

Ma forse questi irriverenti Telma e Louise non danno un buon esempio.
Scegliete voi, se proprio vogliamo dare un monito, potremmo finire con un
lapidario:

II° finale
Oggi non esco, ho un po’ di febbre devo aver preso freddo mentre facevo la
fila fuori… Passerà.

 

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