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Apple contro Fbi. ‘Sbloccate quei telefoni’, ‘No, non lo facciamo’

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Apple contro Fbi. 'Sbloccate quei telefoni', 'No, non lo facciamo'

Apple contro Fbi. Da una parte il diritto-dovere di uno Stato di proteggere con tutti i mezzi i suoi cittadini. Dall’altra il diritto di questi stessi cittadini di sapere che mai e poi mai i propri dati personali possono essere resi pubblici o indagati dal governo o, potenzialmente, poi dopo da chiunque altro se si apre quel canale.
E’ il tema della privacy contro la sicurezza che torna, se vogliamo. Proprio il tema più attuale anche di recenti serie televisive, proprio perché ‘tema caldo’.
Voi da che parte state?
Privacy totale o libero accesso anche ai dati personali in ragione della sicurezza?

Apple ha scelto: porte chiuse a tutti, anche all’Fbi. I telefonini non si forzano, gli smartphone non si ‘aprono’. Nemmeno se appartengono a terroristi.
Il rischio percepito nell’azienda della mela morsicata è che la chiave appositamente approntata da Apple per consentire all’Fbi di indagare sui terroristi della strage di San Bernardino venga un giorno reclamata da regimi dittatoriali per farne un uso ben peggiore. Oppure, peggio, che la chiave venga ‘rubata’, ipotizzando scenari di spionaggio industriale, di intrighi internazionali, di corruzione di funzionari e via dicendo. A quel punto nulla si potrebbe più fare.

Apple nega agli inquirenti l’accesso a dati criptati preziosi per combattere terroristi e criminali comuni per difendere un principio, ma anche per proteggere un ricco business: quello della sicurezza dei suoi dati.
L’azienda ha così deciso di respingere l’ordinanza dei giudice federale di Los Angeles che la obbliga a fornire all’Fbi tutta l’assistenza necessaria per decriptare i dati contenuti nell’iPhone di uno degli attentatori della strage di San Bernardino.

Ora il caso potrebbe approdare alla Corte suprema Usa. Da un parte la magistratura americana, dall’altra la Apple, dopo che l’azienda di Cupertino ha respinto la richiesta di una corte federale di aiutare l’Fbi creando un software speciale per sbloccare l’iPhone5 usato da uno dei killer della strage di San Bernardino lo scorso dicembre (14 morti, 23 feriti).

L’ad di Apple Tim Cook (nella foto) ha dichiarato che potrebbe essere un “precedente pericoloso”, ma Josh Earnest, il portavoce della Casa Bianca, ha precisato che il Dipartimento della giustizia sta chiedendo ad Apple l’accesso ad un singolo apparecchio, non di ridisegnare i suoi prodotti o di “creare una nuova backdoor dei suoi prodotti”.

Una battaglia politico-tecnologica senza precedenti per la sua portata e per i suoi possibili effetti
sulla privacy a livello mondiale si sta profilando in uno scenario internazionale, con la Cina già alla finestra per vedere come finirà la disputa.
Gli attori coinvolti diventano infatti diversi. Negli Usa esiste già un dibattito molto acceso tra la Casa Bianca e i giganti di Internet dopo le rivelazioni di Edward Snowden, la ‘talpa’ del Datagate. Da un lato il governo, che vorrebbe libero accesso ai dati contenuti in telefoni, computer e tablet in caso di violazioni della legge, tali o presunte. Dall’altro Google, Apple, Facebook e tutti i guru della Silicon Valley che sono nettamente contrari, anche se di recente c’è stato un incontro per trovare un terreno comune che possa permettere agli investigatori di ottenere informazioni cruciali su possibili attacchi terroristici, senza però compromettere la riservatezza dei clienti delle compagnie informatiche.

L’Fbi e’ convinta che i dati contenuti nell’iPhone di Syed Rizwan Farook, il simpatizzante jihadista autore del massacro poi ucciso dalla polizia insieme alla moglie complice, possano fare finalmente chiarezza su alcuni aspetti della strage ancora molto misteriosi. Per questo il giudice federale Sheri Pym si è convinto ad emettere l’ordinanza nei confronti della Apple, che dal settembre 2014 ha installato sui propri apparecchi un sistema di sicurezza inviolabile, con la cancellazione dei dati dopo l’inserimento per dieci volte di codici di sblocco errati.

In sostanza Apple dovrebbe creare una versione ad hoc del sistema operativo iOS per sbloccare il telefonino, una sorta di chiave passepartout in grado di disattivare la funzione di protezione in modo da permettere agli investigatori di tentare l’accesso utilizzando infinite password (sino a 10 mila combinazioni) o provando a decriptare i contenuti: insomma, un “brute force” attack. Ma l’azienda di Cupertino, che vuole tutelare anche la sua reputazione in materia di criptaggio, si oppone, come ha
annunciato sul proprio sito web con una dura nota firmata dallo stesso Cook.

“Non abbiamo simpatia per i terroristi, stiamo sfidando la richiesta dell’Fbi con il più profondo rispetto per la democrazia americana e l’amore per il nostro Paese. Ci hanno chiesto di creare un accesso secondario all’iPhone”. “Nelle mani sbagliate, questo software – che ad oggi non esiste – avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone fisicamente in possesso di qualcuno”, scrive Cook. E aggiunge:
“costruire una versione di iOS che aggiri la sicurezza in questo modo creerebbe senza dubbio una ‘backdoor’. E mentre il governo può sostenere che il suo uso sarebbe limitato a questo caso, non c’è modo di garantire tale controllo”. Ma per la Casa Bianca si tratta di un caso singolo.

Mario Nascimbeni
18/02/2016

(cod applebackdoor)

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