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ALEXA di Laura Vianello

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“Scusa Alexa non ho capito!”
Sento la voce del mio compagno in salotto che si rivolge a quella scatolina nera identificata come Alexa, da quando siamo stati rilegati in casa e’ diventata sua confidente.
Mi viene un sospetto: Si sono invertiti i ruoli?
Fino a l’altro ieri era lei che diceva questa frase, quando non capiva la richiesta.
Faccio capolino insospettita e lo vedo che la guarda amorevolmente, aspetta trepidante che accenda la sua aureola blu a conferma che ha sentito. Lui insiste: “Scusa, Alexa puoi ripetere?”
Non è mai stato un esperto del digitale, da anni, ogni volta che entrava in casa qualcosa di elettronico, affidava a me il libretto delle istruzioni. Con Alexa è stato due giorni a provare e riprovare, esultando alla fine: Ora lei lo chiama per nome.
Questo succede a noi che abbiamo una certa età. Ora che le ore sono dilatate settimana in settimana, dietro all’andamento di un virus, riscopriamo cio’ che in tanti anni abbiamo tralasciato.
E’ strano svegliarsi alla mattina senza nessun rumore.
Rialto, con il mercato era una zona molto popolata. Ricordo trent’anni fa, quando un mattino mi svegliai percependo uno scalpiccio nuovo, sommesso, come se tanti piedini ci stessero invadendo a sorpresa, guardai incuriosita fuori e riconobbi un gruppo di turisti che identificai dell’est, dai fazzoletti in testa alle donne e dai grossi giacconi degli uomini. Arrivavano sempre alle 5 e mezza del mattino, a gruppi con la loro guida, con i loro sacchetti per il pranzo, li potevi immaginare stipati in bus da come erano strapazzati e davano l’impressione di non aver dormito da giorni.

Erano, i nostri primi “ turisti per caso”.
Poi ci hanno invaso le rotelle. Rumore delle valigie con le rotelle, sul selciato di pietra, notte, mattino, giorno e sera, hanno invaso senza pudore, le nostre calli, campi, i nostri ricordi.
Il Covid ha fermato anche loro.
Ora, la nostra citta’ sembra respirare a larghi polmoni, finalmente.
Prima della chiusura, questo respiro lo potevo sentire solo all’alba. alle 5 e 40 , quando andavo a correre fino a S.Elena. Tornavo a casa con gli occhi colmi di panorami stupendi : Piazza San Marco, l’isola di San Giorgio, la Riva dei Sette Martiri, il verde di San Elena. Solo per me.
Poco prima che ci chiudessero in una situazione cristallizzata nel tempo, ho ammirato una, per una, le colonne di Palazzo Ducale, senza nessuno intorno, sola, qualche spazzino a una distanza di 20 metri, nessuna coppia cinese o russa vestita da sposi. Io, sola con il passato, una veneziana che dopo tanti annI, deve ancora salire sul campanile di San Marco.
Noi siamo fatti cosi’, nati in una città bellissima, ma un po’ pigri per ammirare i suo tesori. Viverla, ci basta.
Per gli stranieri siamo degli superstiti, non e’ la prima volta che usciti da casa, incontriamo una troupe televisiva che ci ferma: “Scusi lei e’ veneziano? Ma veneziano doc?”
Siamo comparse in uno scenario da favola, come se abitare qui ci favorisse a valide interpretazioni, ispirazioni poetiche, oniriche, ricche di fantasmi del passato. Perche’, se e’ vero che l’ambiente assorbe cio’ che e’ accaduto, le impronte delle vite passate, non c’e pietra qui a Venezia che non possa avere memoria e che non possa parlare.

Oggi siamo increduli di questo tempo che ci viene dato a frammenti seguendo l’onda dei numeri dei decessi.
Evitiamo di guardare i telegiornali piu’ di una volta al giorno, rendono reale e concreta, quella tensione che riusciamo a tener fuori dalla porta di casa nostra.
Durante la giornata sembra che il mondo sia sospeso e noi da questa bolla guardiamo giu’: le code di persone con mascherine davanti alla farmacia, e su, le poche luci accese nelle case abitate, la sera , quando sopravviene la notte.
Dalla parte della calle solo un secondo piano in due caseggiati di tre.
In ruga, il terzo e il secondo dei palazzi difronte. Comprendi che essere famiglia a Venezia significa RESISTERE, noi Veneziani sappiamo da anni cosa significa. I figli ormai grandi sono sposati e abitano tutti a Mestre e ogni anno che passa, lotti con la tentazione di vendere casa ai cinesi o francesi lotti con una vecchiaia che sopravviene e ti spaventa, dove avere comodità , ascensore, giardino, auto , ti permetterebbe di godere ancora dei tuoi i affetti e un po’ di vita.
Non a caso tra la lotta al virus e il sopravvivere, in questi giorni ALEXA ha selezionato su richiesta del mio compagno, la canzone VINCERO’, cantata da Pavarotti e da Giovanotti, insieme, come se la generazione attuale dovesse lasciare questa patata bollente di fatiche, a quella futura.

Mi sono lasciata convincere a girare dei piccoli cortometraggi , a camuffarmi con cappello di paglia, occhiali da sole e fazzoletto al collo, in una immancabile tuta da ginnastica, ormai compagna di vita. Li abbiamo inviati agli amici su WhatsApp per far sorridere , per aiutare all’ottimismo, chi sentiamo tristi e soli.
Abbiamo registrato al ritmo di valzer un “BUONGIORNO E’ UN NUOVO GIORNO” , in tono lirico un VINCERO’, alla fine abbiamo ballato uno sgangherato” twist again”, per sollecitare gli animi alla gioia, per staccarci con un po’ di follia dalle foto di piatti prelibati, pane e dolci fatti in casa che imperversano su WhatsApp.
Per farci sentire tutti piu’ leggeri e sollevare dalle nostre spalle , per un po’, questa spada di Damocle.
Non voglio parlare di lui, ne parlano già tanto gli altri. E’ l’eroe del giorno, non voglio riempire l’etere di questo personaggio che si attacca per terra, sui muri , sulle cose. Sarebbe come incoraggiarlo, dargli forza
Non voglio pensare che può appropriarsi del mio destino. Lo voglio tenere psicologicamente a bada, non voglio darli confidenza, non voglio parlargli. Per me deve rimanere un estraneo.
Voglio pensare a questo tempo, come una lunga, lunga inaspettata vacanza, ma che ci sia un ritorno al lavoro.
Perche’ pensandoci non ne abbiamo mai avuta l’occasione.




Ci è venuta spontanea una riflessione: “Molte persone non hanno mai lavorato in vita loro!”
“E cosa fanno tutto il giorno?” “godono della cultura, cinema, teatro, viaggi, conferenze, libri”
“Ma tutti i giorni?, tutta la vita,? senza uno scopo.?”
Per noi che riusciamo a leggere un buon libro solo in ferie, sembra impensabile, non possiamo farlo alla sera, siamo sempre troppo stanchi”.
Ma non siamo noi dalla parte sbagliata? Che siamo costretti a rincorrere un guadagno passo dopo passo, a costruire una carriera, un certo benessere e intanto gli anni passano? E poi il tempo da passare con i figli, con noi stessi, e’ volato.
Arriva un virus, ti porta via quello che pensavi di aver messo da parte: anni, ore, minuti, secondi.
Ecco, lo sapevo, lo reso partecipe, non voglio che prenda parte ai miei pensieri, alle mie riflessioni.
Non voglio riesca ad entrare cosi’ nella mia intimità, non voglio sia l’artefice di una antica domanda che l’uomo si pone sulla sua esistenza.
Sbarro la porta della mia anima e continuo a lasciarlo fuori.

 

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