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Zhang Zhan condannata a 4 anni: raccontava il virus e diceva che la Cina lo nascondeva

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Zhang Zhan potrebbe essere innalzata a modello da tutti i complottisti che leggono nella pandemia un disegno sovraordinato mondiale per il controllo delle masse inconsapevoli. Il primo ruolo lo avrebbe giocato – in questa chiave – la Cina che avrebbe tenuto nascosta la diffusione di quello che era stato definito il “virus cinese” in modo che il mondo venisse preso alla sprovvista.
Zhang Zhan raccontò il virus a Wuhan con le lacune e le omertà di Pechino e per questo adesso viene condannata.
E’ passato quasi un anno dallo scoppio della crisi del Covid-19. Zhang Zhan, ex avvocato diventata giornalista-cittadina, è stata condannata a 4 anni di carcere per la copertura in diretta fatta da Wuhan all’epoca, cioè proprio dall’epicentro dell’epidemia in Cina trasformatasi in pochi mesi in pandemia.
Inascoltati anche gli appelli di altri qualificati, come quelli del dott. Li Wenliang che parlò per primo di un numero troppo grande, anomalo, di polmoniti atipiche. Il medico oculista fu prima incarcerato per le sue teorie “sovversive” salvo poi vedere restituita la propria dignità quando a sua volta si ammalò di Covid e morì a 34 anni.
Zhang Zhan assiste oggi al pronunciamento della sua sentenza da parte del tribunale di Shanghai, maturata dopo una breve udienza, che motiva la colpevolezza

per aver “raccolto litigi e provocato problemi” in scia alla segnalazione dei fatti iniziali dell’emergenza quando, nella città dove il letale coronavirus è stato individuato per la prima volta, si parlava di “polmonite misteriosa”.
I resoconti di Zhang, 37 anni, furono a febbraio seguitissimi e diventarono virali sui social media, attirando inevitabilmente l’attenzione delle autorità.
Il controllo del flusso di informazioni durante la crisi sanitaria è stato fondamentale per consentire alle autorità cinesi di definire la narrativa degli eventi a proprio favore, malgrado le incertezze iniziali la cui denuncia ha provocato conseguenze per i loro autori.
Su tutti, la sorte proprio di Li Wenliang, il giovane medico che per primo lanciò inascoltato l’allarme sul virus che gli ricordava la Sars: fu fermato dalla polizia, minacciato, screditato prima di essere riabilitato e fatto tornare al lavoro, morendo poi a soli 34 anni per il contagio del virus.
“Zhang Zhan sembrava devastata alla lettura della sentenza”, ha riferito Ren Quanniu, uno dei legali della difesa della gionalista-cittadina, secondo i media locali, confermando la pena detentiva di quattro anni fuori dal Tribunale popolare di Shanghai Pudong.
La donna, in arresto da maggio, è in condizioni di salute preoccupanti

a causa dello sciopero della fame iniziato a giugno e che ha portato all’alimentazione forzata tramite un sondino nasale. “Quando sono andata a trovarla la scorsa settimana ha detto: ‘Se mi danno una condanna pesante, rifiuterò il cibo fino alla fine’… Pensa che morirà in prigione”, ha aggiunto Ren.
“È un metodo estremo per protestare contro questa società e questo ambiente”.
La condanna è maturata a poche settimane dall’arrivo in Cina del team internazionale di esperti dell’Oms per indagare sulle origini del Covid-19.
Zhang è stata critica nei confronti della risposta messa in campo a Wuhan dal governo centrale, scrivendo a febbraio che il governo “non ha fornito alla gente tutte le informazioni sufficienti, quindi ha semplicemente bloccato la città (il lockdown di fine gennaio, ndr).
Questa è una grande violazione dei diritti umani”.
Zhang è stata la prima ad avere avuto un processo nel gruppo dei 4 giornalisti

cittadini – Chen Qiushi, Fang Bin e Li Zehua -, detenuti dalle autorità all’inizio dell’anno per aver scritto degli eventi di Wuhan.
Anche i gruppi per i diritti umani hanno richiamato l’attenzione sul caso di Zhang. Le autorità “vogliono usare il suo caso come esempio per spaventare altri dissidenti dal sollevare domande sulla situazione pandemica a Wuhan all’inizio di quest’anno”, ha commentato Leo Lan, consulente di ricerca e difesa della Ong cinese per i difensori dei diritti umani, denunciando un gioco altamente rischioso.

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