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Terapie Intensive: posti letto spariti, medici senza dpi ed è caos tracciamento, Arcuri: Così non va

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coronavirus primo morto chioggia morti in veneto

Terapie Intensive: posti letto spariti, che esistono solo sulla carta, che avrebbero dovuto essere attivati dopo la prima fase dell’emergenza e che invece non esistono. Anche da questo tipo di errori di ieri nascono forse le difficoltà di oggi. Forse, a partire della “Fase 2”, qualcuno ha pensato che tutti i problemi si stessero risolvendo da soli e chi il virus stesse sparendo, ma così non è. Se poi ci aggiungiamo che ci sono oggi ancora medici senza dpi ed è caos tracciamento, il commissario straordinario per il potenziamento delle infrastrutture ospedaliere necessarie a far fronte all’emergenza Covid arriva a dire: “Così non va”.

I contagi, però, sono al record storico e il Paese si scopre a corto di munizioni nella battaglia contro il Covid. Crolla sotto i colpi dei nuovi numeri a cinque zeri la strategia delle cosiddette ‘tre T’ (tracciabilità, test e trattamento) in Italia annunciata e percorsa in questi mesi dai leader del sistema sanitario nazionale.
L’ultima falla emerge dal confronto tra le Regioni e lo stesso Commissario per l’Emergenza: il numero delle effettive terapie intensive nei vari ospedali, uno degli indicatori principali delle criticità legate all’emergenza, rischia di essere ‘falsato’ a causa della mancata attivazione dei posti in rianimazione.

“In questi mesi alle Regioni abbiamo inviato 3.059 ventilatori polmonari per le terapie intensive, 1.429 per le subintensive. Prima del Covid le terapie intensive erano 5.179 e ora ne risultano attive 6.628 ma, in base ai dispositivi forniti, dovevamo averne altre 1.600 che sono già nelle disponibilità delle singole regioni ma non sono ancora attive – spiega Arcuri, chiedendo ora a gran voce alle regioni di attivarle – Abbiamo altri 1.500 ventilatori disponibili, ma prima di distribuirli vorremmo vedere attivati i 1.600 posti letto di terapia intensiva per cui abbiamo già inviato i ventilatori”.

Uno degli esempi riguarderebbe la Campania, che ha disposto le ordinanze più restrittive: prima del Covid aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, ma dovrebbero invece essere 566.

Al di sotto delle aspettative anche il funzionamento della ‘T’ dei tamponi. In diverse città si assiste a file di auto in coda ai ‘drive through’, a volte anche per più di otto ore.
Diversi laboratori non sono preparati a contenere le migliaia di richieste degli utenti, molti dei quali si presentano senza prenotazione pur non essendo obbligati a fare il test perché non sospetti.

“Sui tamponi – suggerisce il ministero Boccia – sarebbe opportuno utilizzare lo schema utilizzato da alcune regioni che indicano chiaramente sul proprio sito i luoghi e i laboratori in cui è possibile effettuare tamponi, molecolari, antigenici e quelli rapidi validati dalle autorità sanitarie del G7 autorizzati la settimana scorsa”.

Finora sono stati somministrati oltre 13 milioni di test ed è stata inoltre inviata due giorni fa una lettera alle stesse Regioni in cui si chiedeva di comunicare il fabbisogno di tamponi e reagenti per poter chiudere la nuova offerta. Arcuri ora attende dai governatori indicazioni per poter procedere ulteriormente, mentre altri 5 milioni di tamponi sono già acquistati.

Si riaffaccia anche l’incubo della mancanza di mascherine tra i sanitari, che incide sulla prevenzione dei pazienti: le dosi di vaccino antinfluenzale “sono nella disponibilità della maggioranza dei medici di famiglia (che hanno chiesto agli italiani di mettersi in autolockdown) e sono arrivate nelle Asl, ma molti medici non le stanno acquisendo e dunque non stanno procedendo alla vaccinazione delle fasce di popolazione a rischio poiché stanno scarseggiando i dispositivi di protezione individuale dpi come mascherine, guanti e

camici monouso”, denuncia Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg.

Tra i combattenti anti-Covid più in difficoltà c’è anche la ‘T’ dei cosiddetti ‘tracciatori’, circa 9mila igienisti delle Asl che hanno il compito di scovare, testare e isolare le persone contagiose e che oggi si trovano di fronte ad un oceano di positivi attualmente in circolazione, oltre 107mila. Troppi malati per pochi cacciatori di coronavirus. Il Governo ne aveva previsti all’inizio dell’emergenza almeno uno ogni 10mila abitanti, ma oggi quella cifra è irrisoria di fronte ai dati degli ultimi bollettini: per ogni nuovo contagiato bisogna rintracciare in media 20 suoi contatti stretti, quindi ogni giorno c’è da inseguire oltre 170 mila persone a rischio. E se

in Basilicata (7,6 tracciatori ogni 10mila abitanti) Veneto (2,8), Trento (2,7) Lazio (1,8), Lombardia (1,3), Emilia (1,3) e Campania 623 (1,1) si rispetta ancora quel minimo, in Abruzzo, Calabria e Friuli si scende sotto quella soglia, già di per sé insufficiente.
A confermare la situazione è anche Walter Ricciardi, consigliere del ministro della salute per l’emergenza Covid: “le Asl non sono più in grado di tracciare i contagi, quindi la strategia di contenimento del virus non va. Il contact tracing non sta funzionando nè manualmente, con le interviste ai positivi al virus sui loro contatti, nè tecnologicamente con Immuni”.

Nonostante la massiva campagna pubblicitaria, stenta a decollare infatti anche la app: si segnala un aumento di oltre un milione e centomila download nella settimana dal 6 al 13 ottobre (+15%). Finora si tratta però ‘solo’ di nove milioni registrazioni rispetto alla possibile platea di 50 milioni di italiani che usano abitualmente il telefonino.

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