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Pandemia e Senzafissadimora. Eppure Aldo di Mestre non bussa nessuna porta. Di Andreina Corso

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Aldo non lo sa di essere stato ‘censito’.
Non gli importa di essere uno dei sessantamila senzafissadimora, ma sì scriviamolo tutto attaccato questo nome così diverso dalla vita dei più.
Aldo non sa e non vuole conoscere i primi risultati dell’indagine: L’impatto della pandemia sui servizi per le persone senza fissa dimora, condotta dall’Istituto di Ricerca Iref insieme alla Federazione Italiana degli organismi per le Persone senza Fissa Dimora (FioPSD) e alla Caritas.
Le informazioni sono il risultato delle interviste predisposte a conoscere il punto di vista degli operatori dei servizi, le loro preziose e insostituibili impressioni, in quanto scaturite dall’esperienza, dai problemi e dagli ostacoli che le persone alle quali Enzo Iannacci ha infilato ai piedi le ‘scarpe da tennis’, hanno vissuto e vivono in questi tempi difficili.
Francesco Pilli, direttore della Fondazione di partecipazione Casa dell’Ospitalità di Mestre, spiega sia stato fatto il possibile per rendere accogliente e protetta la struttura.
“Fin dall’anno scorso, dal ‘tutti in casa’, abbiamo creato un ambiente casa vero e proprio, ci siamo organizzati e anche grazie ai lavori di ristrutturazione gli ospiti hanno dormito ognuno nella propria stanza, un posto tutto per loro che li ha tutelati”.
“Fortunatamente nessuna delle persone accolte è stata contagiata

e questo ci è sembrato davvero un miracolo. Abbiamo garantiti i pasti e nell’insieme pensiamo di aver protetto 260 persone”.
L’associazione Amiche e Amici della casa dell’ospitalità Panchina Calda, ha cercato di contribuire, come altre associazioni e il mondo del volontariato, ad aiutare le persone senza casa.
“Abbiamo fatto quel che abbiamo potuto”, afferma la presidente Francesca Corso, “ raccogliendo e portando coperte e vestiario, acquistando le colombe pasquali il cui ricavato è stato devoluto a loro favore. Tanto vorremo fare di più sul piano dei diritti e del rispetto delle persone, sperando in una situazione sanitaria che ci consenta di riprendere quelle attività utili a svolgere un lavoro di accostamento e insieme di sensibilizzazione all’esterno”.
Ora sappiamo che sono circa sessantamila i ‘barboni’ che il nostro Paese, ospita, per così dire, ai margini delle nostre città.
Vivono di elemosina, dormono dove possono, I più fortunati riescono a trovare un letto e un pasto caldo alla Caritas, o nelle Case dell’ospitalità che si prodigano per consentire a un essere umano di sopravvivere.
Aldo è uno di loro, non frequenta nessuno, dorme dove gli capita, mangia quel che raccoglie. Dice di voler vivere così, perché lui conosce il peso della segregazione.
Ha conosciuto il carcere e i posti chiusi non li vuole vedere più.
È difficile rilevare

i numeri dei senza fissa dimora e impegnativo è offrire loro assistenza.
I ricercatori propongono delle stime: in Italia se ne contano tra i 55 e i 60mila. Forse sono le vittime meno considerate di questo tempo dove convergono crisi economica e crisi sanitaria.
Se prima della pandemia era difficile trovare qualcuno che si avvicinasse a un uomo che dormiva in una panchina e offrirgli una parola d’aiuto, da un anno a questa parte, è diventato impossibile.
Queste persone che appartenevano e appartengono al mondo invisibile dei sommersi, faticano a trovare un passante che li aiuti in un tempo dove a tutti è chiesto di distanziarsi, di limitare gli spostamenti, di circoscrivere gli incontri.
Certo, la doverosa distanza, che è anche una distanza scelta e praticata.
Da un lato le persone più scomode da incontrare sono anche le prime a essere evitate. Dall’altro gli stessi servizi che sono deputati a offrire un sostegno hanno dovuto affrontare un ulteriore ostacolo durante questa crisi straordinaria.
Eppure Aldo, senza fissa dimora di Mestre, non bussa nessuna porta, gira tutto il giorno per la città, fa lunghe passeggiate e gli piace fermarsi fuori dalle scuole e veder uscire i bambini che vanno incontro ai loro genitori.
Sorridono loro e sorride lui, mentre riprende il suo girovagare.

Andreina Corso

(foto da archivio)

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  1. Grazie A.ndreina per questa tua sensibilità e attenzione ai grandi dimenticati da tutto e da tutti, ma per fortuna ci sono persone come te che lo ricordano,, ognuno cerca di fare quel che può!!

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