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Omaggio a Dante. Venerdì santo. Di Andreina Corso

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Omaggio a Dante
Venerdì santo

Acqua e poi luce nella terra grigia
illuminano la volta stellare
tanto e quanto pretese l’ingordigia.

Le nuvole disposte specchio mare
danzavano felici sulle punte
in supplica di parole amare.

Del campanile ergevan raggiunte
le mura abitate dai gabbiani
storie di secoli di vite consunte

Venerdì santo di un giorno lontano
finiva la mia vita di bimba
nasceva una donna nel pantano.

Mio padre con la mente in tomba
sapeva la sua fuga in volo
corsa prioma che la vita incomba.

Tremò al grido di paura il dolo
a sì guardar la morte che si scaglia
sulla tristezza di quell’uomo solo.

Piangeva il pesco sulla muraglia
perdeva il sole la luce del raggio
gettandolo a terra sulla paglia.

Si dice fosse di un fine maggio
il vento dell’alba fino a sera
soffio sul volto smarrito coraggio.

Morivan sì la fiamma e la cera
su mani infilate fra le tempie
per oscurar quella vita che c’era.

Dorme la terra fra le cose ampie
luna già appesa a basse voci
invade ancora lagune empie.

Brucia l’abrasione degli audaci
costor già sanno il gusto del male
sulla gola di uomini rapaci.

La pietà nel silenzio abissale
nutre il vuoto del rancore nato
dal terrore che la vita assale.

Chiedeva ancora a Dio aiuto
quell’uomo che moriva nella notte
di quel giorno sì tanto combattuto.

Suoni di traverso a voci rotte
sul rigo musicale del dolore
un si bemolle su note corrotte.

Possa la vita trar linfa migliore
dal volto ripiegato sulla spalla
posa a tracciar l’esilio del cuore.

Apre il bocciolo la rosa gialla
sul bianco e nero della sorte
a offrir dell’orrore la falla.

Senza fanfare e voci di corte
Venerdì già santo si spegneva
per lui si sbarravano le porte.

La forza del dolore già coglieva
i suoni trafugati dalla sorte
ch’el rumore del buio nascondeva.

Venne il tempo di un vento forte
a strappar foglie dai muti rami
radici ambrate di ciglia storte.

Nacquero occhi e altro fogliame
a dissetare la forza dell’oblio
per salvare il sogno dalle brame.

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