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LA SETTIMANA COVID di Alberto Favaro [concorso letterario]

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Buonasera signora. Mi scusi se la disturbo, ma saprebbe dirmi se è passato il 9? Come dice? Ah, lei è un uomo? No, la prego non si offenda. Con questa mascherina mi si appannano gli occhiali e non vedo nulla.
Sa che a volte mi capita pure di parlare ai pali?

Oppure l’altro giorno, fuori da un ristorante, ho addirittura chiesto informazioni alla sagoma di un cameriere. No, non sto scherzando, proprio alla sagoma.
Mi son quasi sentito come un conduttore televisivo durante il lockdown.
Ma, mi dica, quanto erano tristi quelle trasmissioni televisive senza pubblico?
E quando è bello, invece, essere qui adesso?

Qui o in qualunque altro posto,
Ora che non dico sia tutto finito, ma che almeno la paura del contagio è lievemente diminuita, non ci sentiamo un pochino tutti migliori? Non apprezziamo ogni piccola cosa?

È proprio vero. Quanto ci sono serviti questi mesi per riflettere su cosa stavamo facendo a noi stessi, alla nostra società, alla nostra Terra, al nostro Universo?
Si ricorda, signore, come eravamo prima? Rancorosi, egoisti, stressati.
E adesso? Siamo tutti delle persone più belle. No?

Ne parlavo giusto con Marco pochi minuti fa. Anche lui era d’accordo con me. Questo periodo ci ha cambiati.
Qualche mese chiusi in casa e abbiamo riscoperto il piacere di produrre il pane, di cucinare cibi sani, di vivere senza il calcio, di leggere tutti quei libri che avevamo lì da anni, di fare ginnastica, di vedere tutte le migliori serie televisive.

Ci voleva proprio una pausa nelle nostre vite, un momento di crescita personale, un modo per rinsaldare i nostri vincoli affettivi e familiari.
Secondo me bisognerebbe chiedere una settimana all’anno di chiusura.
Ma che dico una all’anno, una ogni tre mesi!
Me lo vedo già il nostro Sergione e il suo messaggio alla nazione.

La voce fuori campo “Presidente, guardi che ha le treccine che le vanno sugli occhi”. E lui che risponde “Lo so, lo so, ma mi han detto che mi stanno bene e mi rendono più giovanile” e poi, con un tono più serioso, dichiarare l’istituzione della settimana Covid: ogni trimestre tutti dovrebbero essere obbligati a stare a casa una settimana per rinfrancare lo spirito.

E mi vedo anche Giuseppe nostro che, circondato da un gruppo di signore adoranti vincitrici del concorso “Un tè Conte”, i capelli come Joey Tempest degli Europe a inizio carriera, ci illustra il nuovo modello di autocertificazione. “Potranno uscire solo i single o le persone autorizzate dai rispettivi partner e solo per recarsi nelle dimore degli accompagnatori o accompagnatrici ufficiali pagati dallo Stato. E lì dovranno dimostrare di aver consumato e goduto in modo esagerato”.

Già me la vedo mia zia che a quasi ottant’anni si prenota uno spogliarellista cubano e si fa firmare la dichiarazione da mio zio mentre lui è impegnato a guardare, per la centesima volta, un vecchio film western. E la signora Lenzi del terzo piano, tutta intenta a guardare la D’Urso pregare e flagellarsi insieme a un noto statista italiano, che autorizza il marito ad andare da Pom Pin la massaggiatrice cinese nota a tutti per la sua bravura.

Marco, invece, mi diceva che lui preferisce andare da una specialista vietnamita Tron Bi Am. Gusti son gusti. Io ripongo più fiducia nelle professioniste cinesi. Hanno avuto scuole decisamente migliori.

Ma, mi dica signore, come avrà fatto la povera Pom Pin a tirare avanti per così tanto tempo? Perché anche lei, come tutti i cinesi, ha chiuso bottega prima. E perché hanno chiuso prima? Forse ha ragione Trump. Forse sapevano tutto. Era un complotto per conquistare il mondo. Ecco perché la famiglia Cin Cin del primo piano aveva fatto scorte di candeggina e brindava alla faccia nostra. La bevevano per proteggersi dal contagio durante il lockdown.

Che poi, lockdown. Ma che cosa vuol dire? Perché non possiamo usare le parole italiane? Forse perché non esiste un modo per definire cosa è successo alle nostre vite.

Bah, non importa. Non pensiamoci più. Ora è tutto passato. Siamo diversi. E con l’istituzione della settimana Covid di aggiornamento o della updating Covid week, come la definiranno i giornali, non perderemo gli effetti benefici.
Non vedo l’ora. Sarà tutto bellissimo.

Come sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato veramente solo una settimana, massimo due. La gente che cantava sui balconi, l’armonia, la pace, Deborah di Tim, Irina di Eni, Jessica di Tre che non chiamavano più, i Testimoni di Geova che non citofonavano.

E poi? Poi col passare del tempo tutti abbiamo tirato fuori il peggio di noi. Gente che spiava quante volte una persona usciva a far defecare il cane. Gente che fingeva di avercelo il cane e portava a spasso un peluche. Vicini di casa che cronometravano i tempi dei corridori anzi, scusate, dei runner, nel giro del condominio. A proposito non ha idea di quanto mi bruci ancora che quel maledetto Lenzi mi abbia tolto il record proprio alla fine. Eppure, ero convinto di aver fatto un tempo imbattibile. Sarà stata Pom Pin a dargli qualche pasticca orientale.

E, una volta che siamo usciti di casa, gente con la mascherina, gente senza mascherina, gente con la mascherina solo sulla bocca, altri con la mascherina solo sul naso. Ma che caspita, sul naso? Cosa devi mostrare? Che ti sei rifatta le labbra? E allora togliti anche il reggiseno! Almeno ammiriamo il lavoro del chirurgo! E io che mi son operato di varicocele, posso uscire senza mutande? Mi scusi, signore, a volte mi faccio prendere dalla rabbia e perdo il filo del discorso.

Cosa le stavo dicendo? Ah, sì. Ormai sta andando meglio, il contagio sembra quasi sotto controllo e, come c’era scritto ovunque nei mesi del lockdown, è andato tutto bene.

E si figuri se andava male. Diciamo che ora speriamo andrà sempre meglio. Io me lo auguro proprio. Me lo ha assicurato anche Marco. Glielo chiederò per sicurezza anche domani. Che bravo Marco, ci tiene a sentirmi ogni giorno. Non ho mai incontrato un professionista come lui. Un ottimo medico. Dopo che ho bevuto la candeggina mi ha dato il suo numero personale. Posso chiamarlo ogni volta che ne ho bisogno. E io lo chiamo sempre più spesso. Perché la candeggina non l’ho bevuta per sfuggire al contagio, ma perché Lucia, la mia Lucia, mi ha abbandonato. Mi ero sempre chiesto perché avesse deciso di sposarmi e, durante il “lockdown” se lo è chiesto anche lei. E io, senza di lei, non vivo più. Mi sento un uomo inutile.

Signore, non è che per caso vuole chiamarla? Ho qui il suo numero. Magari se parla con lei si convincerà a tornare con me.

Come dice? Ah, deve andare. Sta arrivando il suo autobus? Peccato. Grazie lo stesso. Io aspetto il mio e, intanto, spero che Lucia mi dia una nuova occasione.
Io aspetto e attendo la proclamazione della prima settimana Covid, anzi, mi scusi, della first updating Covid week.
Sergione, per favore, sbrigati a proclamarla.

Giuseppe, io te l’ho già scritto su Instagram, ma te lo ripeto anche qui. Per favore, non dimenticare nel decreto di mettere che Lucia deve tornare da me per quella settimana.

Sarò una persona diversa, Lucia. Te lo giuro.

 

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