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La crisi dell’economia con gli occhi di Platone. Di Apostolos Apostolou

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La crisi dell’economia con gli occhi di Platone. Di Apostolos Apostolou

La filosofia della scienza economica è disciplina quasi giovane, ma di crescente successo. Molti capitoli fondamentali della filosofia della scienza economica sono la trattazione del falsificazionismo di Karl Popper, la teoria delle “rivoluzioni” scientifiche di Thomas Kuhn, i “programmi di ricerca” di Imre Lakatos, la visione della scienza come «problem solving» di Larry Laudan, anche lo strutturalismo dell’economia, la fine dell’ economia ecc.

La fine dell’economia politica non la sognavamo con Marx, nell’estinzione della divisione in classi e nella trasparenza del sociale, secondo la logica ineluttabile della crisi del Capitale, ma troviamo la fine dell’economia politica in Platone. Strano? No.

Platone non è solo un pensatore politico, non è il padre dell’ontologia, e della metafisica, ma anche un economista degli eventi imprevedibili dell’economia, uno studioso degli squilibri.

Platone non poteva immaginare l’economia virtuale come non poteva immaginare l’economia virtuale anche K. Marx, ma aveva una prontezza creativa per quando riguarda la bomba orbitale della speculazione.

Platone – come Aristotele – disprezzava la ricchezza, (Repubblica 550 e – 551a) criticava esplicitamente il profitto imprenditoriale, e condannava l’interesse (Repubblica 372d). Accettava un’economia distributiva (Repubblica 545 c-d), difende l’interesse dello stato, contro quello degli individui (Repubblica 472 a). Anche, Platone, non accetta il pezzo delle cose e la distinzione tra “valore d’uso” e valore di scambio” (Repubblica 378 e-370 a). E considerava l’interesse come creazione di moneta dalla moneta (Timeo 433 b).

Nella Repubblica Platone scrive: “Quello che manifestiamo, molte volte, come l’idea del bene (agathon) non è altro che la voracità. La velocità è quando i ricchi non sono diventati più ricchi ma molto più ricchi.”(Repubblica 555b). E’ la prima requisitoria di Platone contro i mezzi e gli scopi. Platone era nobile ateniese, con una grande proprietà. Il padre suo Aristone discendeva da Codro, mitico re di Atene, e la madre Perictione da una famiglia anticamente imparentata con Solone.

E Platone continua con l’interminabile processo di devastazione e ricostruzione con la sfera dei capitali fluttuanti e speculativi, si è talmente autonomizzata che le sue stesse convulsioni non lasciano tracce. “Gli speculatori con la forza della moneta, o con il veleno della moneta, avvelenarono lentamente il popolo con il prestito, e poi il popolo diventa un popolo di pigri.” (Repubblica 555a).

Chi può affermare di conoscere il futuro secondo Platone? Gli speculatori? Sicuramente no. E questo perché “I cittadini con il veleno che passa nella loro anima, e siccome hanno perduto i loro diritti politici e civili, con l’odio che scorreva di nuovo nelle vene, organizzano insurrezioni contro gli speculatori che hanno rubato la loro proprietà.” (Repubblica 553e).

Gli speculatori sotto questo cielo prevedibile del profitto preferiscono immaginare che il viale che si estende ai loro piedi porti da qualche parte, a qualche sistemazione definitiva della faccenda. Ma la verità non è cosi secondo Platone, la insurrezione scivolava sul telaio nero della storia.

Però la borghesia ha fatto l’economia di un Dio economizzando sulla vita degli uomini. Ha anche fatto dell’economico un imperativo sacro e della vita un sistema economico. E’ questo schema che i programmatori del futuro s’apprestano a razionalizzare, a pianificare a umanizzare, insomma.

Oggi siamo in un’epoca postkeynesiano e insieme in un’epoca postfriedmanesiano. Possiamo parlare ancora di economia? La domanda che ormai si pone a nostra insaputa, ha come destinatario la storia. Jean Baudrillard che descrive lo splendore della splendida trasparenza dell’assenza che è trasformato in forma pura scrive: Questa eclatante attualità non ha più lo stesso senso che aveva nell’ analisi classica o marxista (ma anche l’ economia Keynsiana e l’ economia di Friedman diciamo noi), giacché il suo motore non è più l’ infrastruttura della produzione materiale, nè la sovrastruttura, bensì la destrutturazione del valore, la destabilizzazione dei mercati e delle economie reali, è il trionfo di un’ economia che si è sbarazzata delle ideologie, delle scienze sociali, della storia, di un’ economia liberata dall’ Economia e consegnata alla pura speculazione di un’ economia virtuale liberata dalle economie reali – non in senso reale, certo : virtualmente, ma oggi, appunto, non è la realtà, bensì la virtualità che detiene il potere,- di un’ economia virale che si collega in questo con tutti gli altri processi virali.

Nello studio della metodologia dell’economia abbiamo bisogno un possibile orientamento a spingere la teoria economica verso nuove direzione, abbandonando l’ imitazione del meccanicismo naturalistico (o strumentalismo oggi) ormai obsoleto nelle stesse scienze nelle stesse scienze naturali. Occorre insomma abbandonare quello “scientismo” che conduce a trascurare l’incertezza e le aspettative. E come sosteneva un eretico dell’economia John Ruskin “negli ultimi anni abbiamo molto studiato e perfezionato quella grande invenzione della civiltà moderna che è la divisione del lavoro: soltanto le abbiamo dato un nome sbagliato. In realtà non è il lavoro ad essere diviso, ma l’ uomo”.

Apostolos Apostolou
Docente di Filosofia.

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