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Infermieri e medici no vax al Tar: class action contro obbligo a vaccinarsi

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→ Vaccini anti Covid → Vaccinazioni obbligatorie → Personale sanitario → Obbligo di vaccinarsi per infermieri e medici
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Infermieri no vax al Tar: class action in 500, fanno ricorso al Tar contro l’obbligo della vaccinazione.
L’appuntamento in aula è per il 14 luglio.
Davanti al TAR di Brescia si discuterà un ricorso firmato da trecento persone.
Sono operatori sanitari e medici di Brescia, Cremona, Bergamo e Mantova.
Operatori dei territori più colpiti dalla pandemia riuniti per chieder al tribunale amministrativo di sospendere e poi annullare l’obbligo vaccinale per il personale.
Altri 200 hanno presentato un ricorso analogo al tribunale di Milano.
“Nessuno dei ricorrenti si è ancora sottoposto alla vaccinazione per la prevenzione dall’infezione da SARS-CoV-2”. Però, “non è una battaglia no vax, ma una battaglia democratica. Qui si obbliga una persona a correre un rischio e se non lo corre gli viene impedito di svolgere la professione” spiega l’avvocato Daniele Granara, professore ligure, che ha presentato il ricorso a Brescia contro AST Bergamo, ATS Brescia, ATS Val Padana e ATS Montagna dopo che nelle scorse settimane aveva fatto lo stesso in Liguria, e lo stesso ha fatto a Milano.
“L’Italia – si legge nelle 52 pagine di ricorso bresciano – è l’unico Paese dell’Unione Europea a prevedere l’obbligatorietà per determinate categorie di soggetti della vaccinazione per la prevenzione della Sars-CoV-2“.
Il ricorso presentato lo scorso 22 giugno e che sarà discusso davanti alla prima sezione del TAR di Brescia “si fonda sulla illegittimità costituzionale, sotto plurimi profili, di diritto interno e diritto europeo, di un obbligo riferito ad un vaccino di cui non è garantita né la sicurezza né l’efficacia, essendo la comunità scientifica unanime nel ritenere insufficiente, sia dal punto di vista oggettivo sia dal punto di vista temporale, la sperimentazione eseguita” viene spiegato nel ricorso.

“Si rivendica la libertà di scelta della cura e la libertà della ricerca scientifica sancite dalla Costituzione, diritti inviolabili e parte integrante del patrimonio costituzionale comune dei paesi dell’Unione Europea”.
I medici e gli infermieri, ma anche i farmacisti e il personale ospedaliero, che hanno presentato ricorso sostengono che “il Legislatore italiano ha inteso prevedere un singolare obbligo vaccinale in danno degli operatori sanitari e sociosanitari, costretti a sottoporsi ad uno dei quattro vaccini autorizzati in Italia, senza avere certezza circa la loro efficacia e sicurezza e, peraltro, senza nemmeno avere la possibilità di scegliere a quale tra i quattro sottoporsi”.
Per l’avvocato Granara “non sono ancora note le potenzialità dei vaccini sotto il profilo della loro capacità di impedire la trasmissione del virus, la capacità di impedire la contrazione della malattia e la durata temporale dell’efficacia preventiva, dall’altro, che non sono ancora note le conseguenze, soprattutto a lungo termine, derivanti dalla somministrazione dei vaccini”.

Non è dunque terminato il braccio di ferro per l’obbligatorietà di vaccinarsi che grava sugli operatori sanitari anche se se ne sente poco parlare.
E’ vero che alcuni “si sono arresi” dietro pressioni di colleghi, di superiori o delle aziende datrici di lavoro, ma lo schieramento dei contrari è sempre molto nutrito.
A fine maggio, ad esempio, erano stati circa centocinquanta gli operatori sanitari contrari al vaccino a schierarsi davanti all’ospedale dell’Angelo di Mestre, adducendo motivazioni che pur meritando rispetto, come dovuto a qualsiasi scelta e opinione, hanno aperto il varco dell’incertezza e smontato le poche e bramate sicurezze che il vaccino ci ha consegnato.
Il personale del sindacato Cub, davanti all’Ospedale all’Angelo, lo ha dichiarato a chiare lettere che non intende vaccinarsi, né ora, né domani, né mai.
Che cosa temono i manifestanti, che non amano essere definiti no vax?
Motivi ne hanno tanti, alcuni macabri e inquietanti, come ‘i feti nella fiala, humus tumorali, virus che provocherebbero la fertilità’.
Arrabbiati e decisi nella loro lotta, i lavoratori che avevano aderito allo sciopero del primo aprile per protestare contro il decreto che obbligava il personale sanitario a sottoporsi al vaccino, mantengono la rotta dell’opposizione e non sembrano temere sanzioni, sospensione dello stipendio o multe, molti hanno già incaricato i loro avvocati per eventuali diffide e per dimostrare l’oculatezza delle loro ragioni.

Ed è così in molte città del Veneto: a Vicenza, Bassano, Padova, Belluno e altre ancora dove la protesta assume toni aspri nei confronti di un vaccino che giudicano sperimentale e quindi non sicuro e poco contano le statistiche, il calo della pandemia è avvenuto grazie all’aumento delle vaccinazioni.
Il personale lamenta una specie di gogna cui sarebbero sottoposti quando si sentono costretti a indossare una doppia mascherina, doppi guanti e calzari durante l’orario di lavoro.
Si sentono additati e criticati e non intendono accettare la situazione.
Lo definiscono senza mezzi termini una dittatura sanitaria l’obbligo di vaccinazione che ‘non impedisce la trasmissione del virus, che crea incognite e paure”. Non ci stanno, hanno detto, a far da cavie, sono convinti e determinati.
Alessandro Busetto, responsabile Sanità dei Cub, che non ha mancato di criticare la progressiva privatizzazione della sanità, insiste sul valore della libera scelta e chiede che i provvedimenti a danno dei lavoratori siano ritirati. Lo hanno sostenuto infermieri, tecnici di laboratorio, operatori sociosanitari e addetti alle pulizie.

All’oggi sono più di duemila senza vaccino in Veneto, cinquecento sono dipendenti dell’Ulss 3 Serenissima, altri si snodano tra liberi professionisti, operatori delle aziende private, delle residenze per gli anziani della regione.
Per la maggior parte degli operatori, medici, infermieri e farmacisti.
In linea generale ovunque il ciclo vaccinale è stato compiuto, ma sono davvero tanti quelli che non l’hanno neppure avviato, nonostante la legge che ‘obbligherebbe’, in questo caso, all’obbedienza.
I nodi stanno per arrivare al pettine dunque.
La Direzione Generale della nostra Ulss ha dato un mese di tempo per sondare e interrogare i “reticenti”.
Vaccinarsi è ritenuto un diritto e insieme un dovere, ricorda la Direzione generale, che non vorrebbe arrivare a provvedimenti disciplinari, come la sospensione dal posto di lavoro, gli spostamenti, il distanziamento dall’esercizio della professione sanitaria.
A metà luglio un Tar dirà una parola importantissima sulla vicenda.

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