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Il Natale, Josif Brodskij e Venezia in dono

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Una nebbia complice, filtrata da una sottile pioggia lunare, sarebbe piaciuta al poeta Josif Brodskij che a Natale amava trovarsi a Venezia, immergersi nei suoi odori. Arrivava in laguna di sera e respirare il mistero aspro e amaro delle alghe, a gustare il sapore della salsedine che punge e insieme unge la punta del naso, tocca e accarezza il cuore. Lo vediamo salire su una gondola, chiudere gli occhi mentre il gondoliere lo trasporta in quel mondo dove si assapora la meraviglia di sentirsi cullati da lei, da Venezia, che si fa piccola e s’infila nelle vene che pulsano intermittenze di dolore e di gioia. È felice il poeta quando apre gli occhi e un mare nero calma le pupille che faticano a reggere a tanta bellezza ed enigmatici presagi che anticipano le parole che Josif Broskij ha già tutte inciso nella mente. E che trasformerà in poesia.

“Era una notte di vento, e prima che la mia retina avesse il tempo di registrare alcunché fui investito in pieno da quella sensazione di suprema beatitudine: le mie narici furono toccate da quello che per me è sempre stato sinonimo di felicità, l’odore di alghe marine sotto zero”.

La passione del poeta per Venezia è totale. Così come ama l’acqua, le alghe, ama le sue pietre; “ È di una bellezza sorprendente. E poi è una città fatta per camminare. Anche l’architettura è a misura di pedone”. Come scriveva Brodskij, a Venezia le gambe portano a spasso gli occhi”.

Brodskij arrivava a Venezia d’inverno e soprattutto a Natale, in quel connubio inusitato di sacralità sovrapposte, di bellezze interiori che viaggiano parallele nei secoli, senza mai scontrarsi. Quell’odore di alghe congelate, l’incresparsi dell’acqua nei canali, l’intricato groviglio di canali e viuzze, i ponti e i ponticelli, tutto ciò ricordava a Brodskij l’amata Leningrado da cui lo scrittore era stato espulso.

Da Fondamenta degli incurabili esordisce con il suo arrivo a Venezia, “una gelida sera di dicembre”. Uscito dal cubo di pietra illuminato di Santa Lucia, nel buio che nasconde la città, lo colpisce già “sui gradini della Stazione” l’odore di Venezia d’inverno.

“Venezia per molti aspetti assomiglia a San Pietroburgo, la mia città natale. Ma più di tutto è un posto così bello che puoi viverci anche senza essere innamorato. È una città la cui bellezza ti fa subito capire che qualsiasi cosa riuscirai (…) a produrre nella tua vita (…) non sarà mai altrettanto bella. Venezia è inarrivabile. Se mi fosse concesso di reincarnarmi sotto un’altra forma, sceglierei di essere un gatto a Venezia, o qualsiasi altra cosa, purché sia a Venezia. Persino un ratto andrebbe bene. Questa idea fissa di andare a Venezia a tutti i costi, l’avevo già maturata intorno al 1970. Il mio progetto era di trasferirmi lì e di prendere in affitto un appartamento al piano terreno di un palazzo, uno qualsiasi, purché affacciato su un canale, e di sedermi lì a scrivere. . .” (Conversazioni, L’arte della poesia)

Nel suo saggio Fondamenta degli incurabili, dedicato a Venezia, elabora anche l’idea fondamentale dell’equivalenza acqua-tempo-divino: “Ho sempre pensato che se lo spirito di Dio aleggiava sopra la faccia dell’acqua, l’acqua non poteva non rifletterlo. Da qui il mio debole per l’acqua, per le sue pieghe, rughe, increspature e – poiché sono un nordico – per il suo grigiore. Penso, molto semplicemente, che l’acqua sia l’immagine del tempo. . .”.

Nell’acqua della laguna, pastori vaganti creano un presepe vitreo di ghiaccio e di neve e attendono la venuta di un tempo marino che richiami l’uomo, che lo rimetta in barca ad ascoltare la voce del poeta per la riconciliazione con questa città così sola, così sofferente e ferita.

“In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni. Posto che la bellezza sia una particolare distribuzione della luce, quella più congeniale alla retina, la lacrima è il modo con cui la retina – come la lacrima stessa – ammette la propria incapacità di trattenere la bellezza.”.

Venezia ha mani grandi e trattiene il Natale che c’è e che riesce a nascondere nel sacco, trattiene uomini e donne che devono lasciarla, li incatena ai piedi per dar loro speranza e nel saperli fratelli e sorelle li inonda di doni, li nutre di nebbia e li trascina nelle case vuote che si affacciano sui canali. Restate, è il mio dono di Natale. Abbandonate la tristezza e il pianto, andate alle Zattere, baciate le pietre della Fondamenta degli Incurabili. Vi osserverà lieto il Canale della Giudecca, quando di notte, seduto sul ponte, accarezzerete il gatto bianco che vi attendeva.

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11 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Brodskij riesce ad esprimere i sentimenti che ci pulsano dentro quando siamo a Venezia, noi che non possediamo la sua arte. ma ci sentiamo agitare dentro da tutte quelle sensazioni e vibrazioni ineffabili che accompagnano l’amore.
    Vado a Venezia ogni volta che posso, e quando ci sono sono lì nel presente con tutta me stessa , in un perfetto stato buddista. Vivo ogni dettaglio con una intensità magica, e quando ritorno tra i rumori delle auto e le architetture del nostro secolo mi sento per molti giorni un’estranea.

  2. Grazie per i commenti sulla nostra città e Brodskij e grazie a Lyuda per essersi accorta del refuso che si era perso la lettera d.nel cognome del poeta.
    Mi scuso con la redazione e con le lettrici e i lettori del nostro giornale.
    Andreina Corso

  3. Sottoscrivo le stupende riflessioni di Brodskij, con questo mio umile pensierino della notte…..:
    “Un filo di luce argentato
    Conchiude e sigilla in un attimo
    La sabbia di nero basalto
    E l’onda morente….”
    Per Josif, per Venezia e, in particolare, per le persone che hanno commentato, con parole commoventi, queste considerazioni del poeta russo.

  4. Vivere Venezia in ogni suo istante. Luogo unico, magico e meraviglioso. La mia più importante scelta di vivere in un luogo straordinario in ogni suo aspetto. Con Venezia nel cuor.

  5. Ringrazio Andreina Corso per i suoi articoli, che sempre apprezzo. Questo su Venezia mi ha fatto piangere. Ho ripensato alla mia città che ho dovuto lasciare. Pensavo di essermi abituata a Mestre ma non è così. Leggendo, ho pianto tanto e non so cosa farei per poter ritornare e rivedere la mia casa, il campo San Polo, dove giocavo da piccola. Non riesco a rassegnarmi. E invece devo.

  6. Sono i miei pensieri e le mie emozioni,da milanese che ha appena affittato un appartamento a Venezia nell’attesa di viverci fino alla fine dei miei giorni(ovviamente con un gatto).

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