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“Gli spiriti dell’isola”: buon film con protagonisti eccellenti in lizza per l’Oscar

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Presentato in concorso alla 79ma mostra del cinema di Venezia, nove candidature all’Oscar e otto ai Golden Globe, il nuovo film del regista di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” è una metafora sotto forma di commedia grottesca. Ambientato nel 1923, durante la guerra civile irlandese, in un’immaginaria isola dove tutti si conoscono e dove tutti sanno i fatti di tutti, attraverso una relazione conflittuale si mette in scena il vero conflitto tra le due anime del Paese durante quel periodo.

Rumori di guerra giungono da lontano a lambire le acque che circondano Inisherin. Due amici, Pàdraic e Colm, uno bonaccione e un po’ tonto, che come animale domestico ha un piccolo asino che sin da Bresson possiamo identificare come ssimbolo di umiltà e portatore cristologico di pena; l’altro, di nome Colm, che decide di punto in bianco di interrompere la relazione tra i due. Pàdraic non riesce a farsene una ragione e incalza Colm se non a riprendere l’amicizia almeno ad avere la spiegazione di questa repentina e apparentemente ingiustificata frattura. Colm è reticente anche solo a stare vicino a Pàdraic; è violinista, compositore di ballate e si ritrova a partecipare a concerti nell’osteria che è il centro d’incontro di tutta l’isola.

La spiegazione di Colm è di cominciare a voler usare il suo tempo per elevarsi e realizzarsi come compositore. Dato che Pàdraic non è pago di questa spiegazione, incalza Colm a ritornare amici come prima. Per tutta risposta Colm fa un giuramento; compiere un gesto folle ogniqualvolta commetterà l’errore di relazionarsi con l’ex amico. Oltre a loro abbiamo la sorella di Pàdraic, Siobahn, zitella repressa che considera folle la situazione tra i due e sogna una via di fuga da quel microcosmo arido ed egoista; e Dominic, figlio del crudele poliziotto del luogo. Un ragazzo invadente e sboccato a cui però toccano le ingiustificate punizioni del padre. Dominic vuole diventare il nuovo amico di Pàdraic ma quest’ultimo non ne vuol sapere, ossessionato dal comportamento di Colm.

“Gli spiriti dell’isola” è a mio parere un buon film con almeno due protagonisti eccellenti. Se su Gleeson non ci potevano essere dubbi, è Farrell la vera sorpresa, donando un’interpretazione attenta e puntuale che da lui personalmente non mi sarei aspettato.

Immerso in una bella fotografia molto “tipica” per i panorami irlandesi a cura di Ben Davis, e con una soundtrack altrettanto tipica ma centrale del compagno di strada dei Coen, Carter Burwell, il film segna un progresso del regista che, seppur capace e abile, mostrava in “Tre manifesti” un eccesso di pro grammaticità nella scrittura dei personaggi e una certa dipendenza proprio dai fratelli autori de “Il grande Lebowski”, senza però le ambiguità e l’humor caustico di quest’ultimi.

Se un problema c’è in “Gli spiriti dell’isola” questo sta proprio nella troppo palese metafora sottendente al narrato. Non ci è dato di intuirla, sappiamo sin da subito che il riferimento è la guerra civile e l’apertura e ancor più la chiusura cadono come macigni a spiegare, seppur con un minimo di allusione, il senso del racconto. Che però al suo interno propone momenti molto felici; vale la pena sottolineare le due figure che accompagnano la follia controllata dei due protagonisti; la sorella di Pàdraic che alla fine, con la via di fuga di un impiego fuori da Inisherin, si dissocia da quella assurda dinamica fratricida, connotando un’idea di femminile alieno da conflitti tipicamente maschili, quella di Dominic che troverà un altro modo di uscire di scena.

Film di un certo fascino, vuoi per motivi più “facili” (le suggestioni paesaggistiche), vuoi per altri più forti (attori e sceneggiatura di livello molto buono), “Gli spiriti dell’isola” sa accattivarsi l’attenzione degli spettatori coinvolgendoli in una vicenda paradossale, bilanciandosi tra humor e parossismi in una sorta di kammerspielt a cielo aperto ma a confini chiusi dalla vastità delle acque e dalle ristrettezze mentali degli abitanti, schiavi di una routine che li rende sordi alle tensioni di guerra.

Come a dire che anche in un luogo dimenticato la Storia si presenta ugualmente, in veste di Banshee incarnata dalla vecchia del villaggio accanita fumatrice di pipa che appare nei momenti cruciali, dividendosi con la presenza della statua della Madonna che sembra vegliare inerte sulle dinamiche di Pàtraic e Colm.

In sostanza “Gli spiriti dell’isola” è da vedere, anche per constatare il salto qualitativo del regista che in futuro potrebbe centrare il film “definitivo”. Peccato per la presenza ingombrante della metafora che veglia sopra la storia. Un po’ di allusività avrebbe giovato.

Giovanni Natoli

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