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“Fatima è caduta dal 4° piano perché non sono stato attento” la spiegazione del compagno della madre

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“Per me quella bambina era come una figlia. Mi sento in colpa, non sono stato attento”. Azhar Mohssine, 32enne di origini marocchine, piange e si dispera davanti agli inquirenti che lo accusano della morte della piccola Fatima, la figlia di tre anni della compagna, precipitata ieri sera dal balcone al quarto piano di un palazzo del centro di Torino, a pochi passi dal mercato di Porta Palazzo e del Municipio.

Omicidio volontario con dolo eventuale il reato ipotizzato nei suoi confronti, ma la procura non ha ancora formulato l’imputazione per l’udienza di convalida. “Ciao piccola, ora gioca felice con gli altri angeli. Rimarrai sempre nei nostri cuori”, recita il biglietto attaccato al mazzo di fiori che i vicini di casa hanno depositato sul luogo della tragedia.

Per gli investigatori della Squadra Mobile, guidata da Luigi Mitola e coordinati dalla pm Valentina Sellaroli, gli elementi e le testimonianze raccolte nelle prime fasi investigative hanno consentito una prima ricostruzione di quanto accaduto ieri sera poco prima delle 22. “Avevo appena finito il mio turno, stavo svuotando il secchio d’acqua per le pulizie fuori, come faccio ogni sera – racconta Stefania, una dipendente della panetteria che condivide il cortile con lo stabile di via Milano, una casa di ringhiera accanto alla Basilica Mauriziana -. Ho sentito un uomo parlare una lingua straniera e una donna che gli rispondeva in italiano; sembrava una discussione, non un litigio. Poi sono rientrata e ho sentito come un boato, come il tonfo di una cassa d’acqua che cade dall’alto. Sono uscita per dire loro di abbassare la voce e quando ho aperto la porta ho visto la bambina a terra, che respirava a fatica e ho subito chiamato i soccorsi”.

E’ una serata fredda e la ragazza copre la piccola con una giacca mentre attende l’arrivo dell’ambulanza del 118. La mamma, continua Stefania, “è scesa e si è buttata per terra, nel frattempo il ragazzo (Azhar Mohssine, ndr) è sceso anche lui. Ripeteva ‘la mia bambina, la mia bambina’. E’ stato terribile. E’ una scena che non avrei mai voluto vedere e che ora non riesco a togliermi dalla testa”.

Trasportata al Regina Margherita, Fatima ha riportato lesioni multiple al torace e al cranico. Nella notte i sanitari dell’ospedale Infantile la sottopongono a un delicato intervento neurologico ma, nonostante i loro sforzi, la bambina muore. “Le volevo tanto bene e anche lei ne voleva a me”, dice disperandosi Azhar Mohssine, portato dagli agenti in manette in procura per essere interrogato dal pm Sellaroli con indosso una felpa a quadri rossoneri.

Assistito dall’avvocato Alessandro Sena, l’uomo che abita sopra la compagna, con cui ha detto di avere iniziato da poco una relazione, ha detto di avere scoperto che la bimba era morta quando è stato portato in procura. E ha anche spiegato che ieri sera non aveva bevuto più di tanto e che ha “perso la lucidità” solo quando si è reso conto che la piccola era caduta. L’atteggiamento del fermato sembra invece dimostrare il contrario.

Azhar Mohssine urla e sputa contro i poliziotti. Batte i pugni contro il finestrino della volante, grida di farlo uscire “altrimenti ve la spacco”, dice che è già stato in carcere e che “le leggi italiane fanno schifo”. Soltanto qualche ora più tardi riescono a calmarlo e, quando arriva davanti al magistrato, piange. “Mi sento in colpa, non sono stato attento”, ripete l’uomo come un ritornello. Per far luce sulla morte della bambina, nelle prossime ore sarà disposta l’autopsia. E servirà anche un accertamento tecnico per stabilire come sia caduta dalla finestra nel cortile.

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