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Cosmosistema, Ecumenicità, Globalizzazione. Com’è cambiato il mondo

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Nella storia ci sono tre fasi.
La prima fase è stata quella che si chiama Cosmosistema.
Era il mondo della vita e di politica che esisteva nella storia greca e nella storia romana.
Cioè una formazione del concetto della polis quale centro di riferimento obbiettivo della vita etica di ogni cittadino.

Nella storia romana questo sistema si chiama anche Pancosmiotita, cioè l’uomo era nel cosmo mentre la visione greca era il cosmo nell’uomo: la differenza era il passaggio dal greco «otium», al romano «negotium».

La civiltà romana è in realtà greca. Roma era una città greca, e molti scrittori antichi romani scrivevano in greco o erano bilingui, e la lingua greca era una delle due lingue ufficiali del Senato, dove la posizione del traduttore fu abolita dal I secolo a C.

Il passaggio storico è dato dalla Politeia del pensiero greco antico (nella Grecia antica la coesione sociale era assicurata dalla fedeltà alla Città – Stato) al Pancosmiotita Romana (intesa a stabilire una solidarietà d’interessi tra chi, a qualunque titolo traeva profitto dall’estensione territoriale dell’impero). Gli elementi che caratterizzano l’epoca di Cosmosistema e di Pancosmiotita erano: Unità, impegno, relazione, divenire, costruttività, armonia, consapevolezza, positività, responsabilità, pace, comunicazione, giustizia, azione, sogno – realtà. (Il frullato energico del mondo antico, greco-romano).

E poi troviamo nella storia l’impero bizantino con l’Ecumenicità, (è il grado in cui la libertà dell’individuo, massima aspirazione dell’uomo era limitata dal dovere verso la sua provincia. Questo sistema fino a 1700 esisteva anche a Venezia.
Ecumenicità, e’ un altro modello che esiste nell’ impero bizantino. In realtà, però, non c’è mai stato un “Impero bizantino”. Il termine fu usato per la prima volta nel 1562 da Hieronymus Wolf nella sua pubblicazione di una raccolta di fonti storiche. 

Questo è il motivo per cui l’apostolo Paolo scrisse la sua lettera ai cristiani di Roma in greco. (Come sottolinea, il più grande storico e teologo ortodosso Ioannis Romanidis).
Anche il culto nella città di Roma era condotto in greco fino all’inizio del IV secolo a C. In tutto l’Impero, la maggioranza della popolazione parlava greco. La principale divisione culturale dell’Europa non è venuta dalla diversificazione greco-romana, ma per la diversificazione franco-romana, che si è verificata dopo la conquista della parte occidentale dell’impero da parte della tribù barbarica nota come i franchi.(Secondo il saggio di Anastasios Philipides professore di Yale). Franchi soggiogarono i romani e li trasformarono in servi della gleba, mentre essi rimanevano in una struttura feudale, chiusi in torri protette.

L’acquisizione fu completata da Carlo Magno e fu accompagnata dall’indipendenza teologica del sinodo di Francoforte nel 794 -che ha respinto il settimo concilio ecumenico-, dal Sinodo di Aquisgrana nell’809 -che ha introdotto il filioque nel Simbolo della Fede – e dall’occupazione graduale del trono papale tra il 983 e il 1046. (Sempre secondo Romanidis).
Tappe importanti in quest’opera sono il 1009 -la cacciata dell’ultimo papa ortodosso – e il 1014 (l’introduzione ufficiale del filioque nella Chiesa di Roma).
I discendenti dei romani in Occidente sono rimasti schiavi fino al 1789, quando si ribellarono e furono liberati in Francia, ignari tuttavia della Romiosini dei loro antenati e della loro identificazione con i romani d’Oriente. Poiché i romani della vecchia Roma avevano resistito per decenni alle aspirazioni dei franchi, fu richiesta dai franchi un’occupazione diretta del trono papale (completata nel 1046) e fu proclamata subito dopo lo scisma.

Nell’Impero Bizantino la società è come la matrice della cultura, di una cultura sempre nuova e partecipante, che risponde ai bisogni e altre domande che la realtà pone, che non sia un’entità per sé, ma che è fatta dagli uomini e per gli uomini.
Così la politica funziona con la forma di «démos». E il «demos» definisce la società costituita sul piano politico con un obiettivo preciso che equivale almeno alla qualità di mandante.

La politica bizantina è una politica auto-istitutiva. (Elementi auto-istitutivi esistono dopo il 1456 anche a Venezia). Cioè abbiamo esarcati (sono le provincie) e abbiamo la prefettura per l’Oriente, comprendente le province orientali e l’Egitto, con capitale Nicomedia; la prefettura per l’Illirico, comprendente le province balcaniche, con capitale Sirmio, la prefettura d’Africa, comprendente l’Africa, la Spagna e le isole del meditteranneo occidentale (esclusa la Sicilia), con capitale Cartagine; e la prefettura d’Italia, comprendente l’Italia, con capitale Ravenna. Negli esarcati esiste l’autoregola.

Le prefetture venivano amministrate dai prefetti del pretorio. Ogni prefettura venne divisa in diocesi.  
L’Impero era suddiviso in tredici diocesi, di cui una (Oriente) era governata da un Conte d’Oriente, un’altra (Egitto) da un Prefetto Augusteo, e le altre undici da altrettanti Vicari o sottoprefetti, i quali sottostavano all’autorità del prefetto del pretorio. Ogni diocesi era ulteriormente suddivisa in province.
L’amministrazione degli esarcati era corretta la loro politica nei riguardi degli indigeni improntata a equilibrio e buon senso. Si cercavano la collaborazione e si ricevevano spessissimo leale collaborazione. Gli Esarchi avevano un’indipendenza maggiore dal potere centrale rispetto ai prefetti, in quanto erano praticamente dei viceré che amministravano per conto dell’imperatore i territori loro affidati.

Oggi dicono che viviamo nell’epoca di globalizzazione.
Quali sono i principali processi che caratterizzano la globalizzazione? Con due parole possiamo dire: La disoccupazione, il precariato, il mancato incontrollabile aumento dei prezzi, l’aumento della ricchezza di chi è già ricco, e della povertà di chi è già povero.

Secondo Umberto Eco, viviamo con la globalizzazione una carnevalizzazione del mondo. E Giorgio Bocca dirà: “Le megamacchine globali non è un meccanismo di precisione e non è quell’intelligenza superiore che passa sotto il nome magico di mercato. Ma il capitale ne accetta anche le sorprese, anche i passi falsi, perché alla fine della giostra è sempre lui a tenere il banco. È lui il più forte. Può andare al disastro? Si ma un rischio che ha mai fermato le pecore matte.”

La globalizzazione è il turbocapitalismo, la fuga dal mondo politico al mondo bancario. Anche la globalizzazione è un colonialismo.

Tutto ciò che sappiamo con certezza, diceva lo storico Hobsbawn, è che “in un’epoca della nostra storia è finita la città” (variava abbondantemente da una provincia all’altra).

Il termine globalizzazione si riferisce alla relativa liberalizzazione ed omogenizzazione a livello mondiale, dovuta alle rivoluzioni tecnologiche.
La globalizzazione ha i suoi vincitori ed i suoi perdenti.

Con l’espansione del commercio e degli investimenti esteri, alcuni paesi in via di sviluppo hanno visto approfondirsi il divario con altri. Nel frattempo, in molti paesi industrializzati la disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti dagli anni Trenta ad oggi e l’eguaglianza dei redditi ha toccato livelli sconosciuti nell’ultimo secolo.( UNDP, Human Development Report, 1997, cit., p.82.).

Oggi viviamo anche un’antitesi fra globalizzazione e regionalizzazione. E come scrive Lucio Levi, «Globalization and International Democracy», in The Federalist Debate , X (1997), “La contraddizione più profonda della nostra epoca sta nel fatto che i problemi da cui dipende il destino delle persone, come il controllo della sicurezza e dell’economia, o la protezione dell’ambiente, hanno assunto dimensioni internazionali, un terreno dove non ci sono istituzioni democratiche, mentre la democrazia si ferma ancora ai confini degli Stati, le cui decisioni riguardano ormai aspetti secondari della vita politica”.

Possiamo dire che abbiamo un regime autoritario e insieme un sistema internazionale, con un’omogeneizzazione antropolocentrica della società, che esiste lo schema centro (sviluppo) e periferia (sottosviluppo), è il cosmo-sistema internazionale con un regime autoritario.

La libertà individuale, non ha un equivalente in politica, e l’individualità politica brilla per la sua assenza. Cosi la società continua ad essere considerata come soggetto di mediazione e non come fattore del sistema politico. Lo sviluppo di mediazione che la società civile promette, limita l’autonomia effettiva del potere politico e diminuisce in proporzione la possibilità delle forze politiche di invocare, nell’incontro con la società e i suoi bisogni, il laicismo.
Ecco il nuovo laicismo di globalizzazione.

Se volgiamo verso una democrazia, abbiamo bisogno da un potenziamento dai diritti politici ed economici attraverso l’uso dello strumento del «demos», come vediamo nell’epoca bizantina e nella struttura politica Veneziana. Cioè abbiamo bisogno trovare di nuovo l’Ecumenicità.
E l’Ecumenicità è il «demos» con le assemblee elettive.

Apostolos Apostolou
Docente di Filosofia

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