In fondo vogliono solo pregare gli aderenti alla comunità bengalese di Mestre. E il Sindaco Luigi Brugnaro si è impegnato a trovare una soluzione al più presto, alternativa alla sede di via Fogazzaro (senza concedere spazi pubblici), ormai preclusa dagli esposti dei comitati cittadini che si sono attivati affinché i bengalesi andassero a pregare altrove.
In quel luogo di preghiera, a porte chiuse da lunedì, i rappresentanti il comitato hanno individuato attività e degrado di cui i bengalesi non si sentono appartenenti né responsabili. Lo dichiara con dispiacere il referente Mohammed Alì a nome dei bengalesi che frequentavano la moschea, che si sono sentiti colpiti da una punizione ingiusta, e che sono disposti a scrivere al Papa per ottenere ascolto e condivisione.
Un gesto di solidarietà e partecipazione è arrivato dal Partito comunista italiano, che ha offerto alla comunità l’uso della sua sede in Via Canova, nei pressi di Viale San Marco. Per quei cittadini “attivi” di cui fa parte Luigi Corò, che con le loro proteste hanno ottenuto la chiusura della moschea, ce ne sono altri che non hanno condiviso la durezza della decisione, ritenendo che la preghiera di per sé non offende e mettono l’accento sui tanti lavoratori del Bangladesh che lavorano nel territorio, nel commercio, nel turismo e nelle nostre abitazioni.
Confonderli con gli sbandati, gli spacciatori, o addirittura con i terroristi, lo ritengono sbagliato e fuorviante, come colpire alla cieca un gruppo di persone che non fanno male a nessuno. Mohammed Alì a questo punto sarebbe contento di poter ottenere dal Comune uno spazio di via Torino, uno edificio lontano dalle abitazioni, per non disturbare i vicini e precisa, che qualora all’interno del gruppo di preghiera si fosse immischiato qualcuno di indesiderabile, sarebbe stata la comunità bengalese stessa a non riceverlo, a non permettere di inserirsi tra loro.
La preghiera del venerdì è l’unico obiettivo della comunità bengalese che si sente vittima sacrificale di un clima di “giustificata” paura, dati i tempi, ma che ribadisce la sua estraneità ad ogni forma di violenza e adesione alla malavita, invitando Luigi Corò e gli altri, a cercare altrove i loro nemici.
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Andreina Corso
(foto di repertorio)