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C’è ancora domani, Paola Cortellesi la Monica Vitti dei nostri tempi di “bianco o nero”

"C'è ancora domani" il successo di questa stagione cinematografica dove la bravura della Cortellesi è debordante.

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L’esordio alla regia della celebre attrice e fantasista (si usa ancora dire così?) Paola Cortellesi sta mietendo un successo clamoroso; secondo il sito Bad Taste si stanno sfiorando i 30 milioni d’incasso. Per il nostro cinema non può che essere un segnale positivo; specie per un film che non era stato selezionato tra i titoli proposti per i finanziamenti ministeriali.

Riguardo questo fatto c’è chi ha gridato al complotto contro un film in odore di femminismo ma né la produzione né Franceschini, ex ministro della cultura hanno avuto nulla da obbiettare. Si è trattato semplicemente di una valutazione magari non condivisibile idealmente ma basata su criteri legittimi di validità artistica, tant’è che i finanziamenti sono andati a “Rapito” di Bellocchio, “Comandante” di De Angelis e “Confidenza” di Lucchetti. Secondo la fonte dal sito “Cinematographe” cinematographe.it : ”C’è ancora domani è stato bocciato il 12 ottobre 2022 dalla sottocommissione 4 del Ministero della Cultura, nominata dall’allora ministro del governo Draghi, Dario Franceschini.

“La decisione della Commissione che ha bocciato il film di Paola Cortellesi porta la data del 12 ottobre 2022. Il ministro della Cultura allora in carica, che ha nominato la Commissione, non era Gennaro Sangiuliano che ha giurato da Ministro il 22 ottobre 2022“, si legge in una nota dell’ufficio stampa del Ministero della Cultura. “Le date, dunque, non mentono. La bocciatura di questo film di grande successo, diventato il simbolo della lotta delle donne contro la violenza di genere, non è imputabile a un organismo nominato dal ministro Sangiuliano né è avvenuto in data in cui lui era ministro. Spiace, infine, che questa polemica sia inserita nel discorso più generale legato a questo importante tema“, si continua a leggere nella nota.”

“C’è ancora domani” ha comunque goduto di benefici tax shelter per due milioni di euro e ha ottenuto qualcosa di più importante del finanziamento pubblico. Il successo è tale che questo esordio ha fatto tremare gli incassi di titoli come “Barbie” e “Oppenheimer”. Quando ci si trova davanti a un tale trionfo tutte le possibili riserve sul risultato artistico dovrebbero cedere il passo all’accoglienza della gente.

Indubbio che il film tocchi un nervo scoperto, inserendosi all’interno di un attuale discorso sulla violenza di genere che è tristemente presente nelle cronache dei nostri tempi, non ultimo il delitto di Giulia Cecchettin. Ma con questo non voglio dire che il film non avrebbe avuto successo a prescindere. C’è ovviamente una peculiarità narrativa che piace, rende partecipi, emoziona e coinvolge anche a livello civile ed etico per cui non si vogliono togliere meriti attribuendoli a circostanze fortuite.

Il film è sicuramente costruito con abilità ma la mia impressione è che questa abilità sia basata anche su scelte più istrioniche che concretamente artistiche. In primis il grande problema in cui mi sono imbattuto è proprio lei, Paola Cortellesi. Ho sempre ammirato questa artista, soprattutto per l’attività televisiva e teatrale. Cortellesi ha una tecnica e delle skills notevoli. A volte sin troppo notevoli, al punto che talvolta trabocca nell’effetto da prima della classe. E devo dire che il personaggio di Delia, questa donna vessata e picchiata da un marito ottuso, crudele e meschino, donna del basso popolo dell’Italia appena liberata dal fascismo e dal nazismo, che si appresta grazie al suffragio universale per la prima volta applicato nel nostro paese a partecipare a elezioni, risente del macchiettismo e della galleria di smorfie portate all’eccesso tipiche dell’attrice quando lavora nel cinema. Un modo di “piacere” alla Robin Williams-Roberto Benigni.

Molto efficace invece l’interpretazione di Romana Maggiora Vergano nella parte della di lei figlia, Marcella, la cui prova resta nei confini del personaggio che deve interpretare e lo fa con misura e consapevolezza. Altro discorso per la controparte maschile dove il suocero Ottorino è reso con classica salace romanità da Giorgio Colangeli. Mentre per il marito di Delia, Ivano, troviamo Valerio Mastandrea che fa Valerio Mastandrea. Funziona, non si può dir di no, ma allo stesso tempo percepisco per l’ennesima volta il limite del bouquet recitativo di un attore “da una sola parte”.

E sempre riguardo l’universo maschile, la sua rappresentazione sia pur in un film che “vuole semplificare”, legata a un atavica idea di superiorità verso il mondo delle donne, se da un lato vuole mettere in luce l’atavismo di questa considerazione, sembra però occultare molti parametri culturali e antropologici, come venti anni di culto della forza virile portati avanti dal fascismo, per darci il ritratto di uomini cattivi senza grosse sfumature. Oppure uomini buoni-buoni come il marito “fruttarolo” di Marisa (una Emanuela Fanelli che per l’ennesima volta fa Emanuela Fanelli e basta). Oppure il meccanico con cui Delia condivide un amore platonico Nino (Vinicio Marchioni).

Siamo dalle parti non tanto del neorealismo classico quanto nel cinema di melodramma; anche se il tanto citato Raffaello Matarazzo da parte di quasi tutti i critici non mi è sembrato un elemento così presente, forse siamo più dalle parti di Ettore Scola. Ma va bene, va benissimo, eh. Il film si fa vedere senza staccare gli occhi dalla materia in bianco e nero di cui è fatto, e questo sicuramente è un risultato da considerare positivamente.

Diverse sono le scene ora gustose ora toccanti; e anche la da molti esecrata scelta di convertire il primo pestaggio di Delia in un balletto in cui le ferite si rimarginano idealmente all’istante è un esempio di cosa sa creare il cinema e lo trovo riuscito. Ma non riesco a farmi convincere né dallo snodo narrativo in cui la protagonista fa esplodere il bar con l’aiuto del militare afroamericano e forse forse neanche dal cosiddetto mcguffin della lettera che ci porta a pensare a un finale che poi si rivelerà più o meno inaspettato. Ma quest’ultimo, preso da solo, funziona benissimo per ciò che vuole dire il film nella sua scelta ideologica, ovverosia la nascita di una repubblica dove le donne contano quanto gli uomini (alla buon’ora).

Molti si chiedono cosa succederà a Delia una volta tornata a casa dopo aver “commesso” un gesto di libertà e affrancamento dal marito. La trovo una domanda limitata, forse a causa di un film che alla fine non sa raccontare il nostro paese in una prospettiva globale. Comunque vada, Delia ha vinto. Io mi chiedo piuttosto cosa sia successo al nostro Paese dopo quel fulgido 2 giugno 1946. E la risposta mi rattrista.

Per concludere: ricordo solo un’altra attrice italiana che ha preso più botte di Paola Cortellesi nel cinema italiano. La compianta Monica Vitti, che io chiamavo “Monica Vittima”. Ma succedeva in film dove tutti i personaggi erano costruiti a tutto tondo, maschi e femmine. Qui no; ma viviamo in tempi in cui le sfumature sembrano essere sgradite da ogni “fazione”. Viviamo in tempi di “o bianco o nero”.

C’È ANCORA DOMANI
(Italia 2023)
Regia: Paola Cortellesi
Sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi
B/N, 118 minuti
Con: Paola Cortellesi, Romana Maggiora Vergano, Valerio Mastandrea, Giorgio Colangeli

Giovanni Natoli

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5 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Il classico film di propaganda valido per la pancia anziché per la mente di un pubblico che necessita di incredibili semplificazioni. Gli uomini? Tutti cattivi, soprattutto se bianchi e italiani. Le donne? tutte buone, belle e brave.

    • Gentile Gino, premesso che è un film e non un documentario,
      almeno è andato a vederlo! Per un giudizio come il suo ce ne sono centinaia o forse migliaia che vanno in senso opposto. Compreso il mio. Per fortuna, altrimenti saremmo ancora negli anni ’50. Putroppo, invece, c’è ancora molta strada da fare.
      Cordiali saluti

      • Gentilissimo AZ, so che in questo Paese le opinioni dissenzienti non sono tollerate ed i principali quotidiani hanno eliminato la possibilità di commentare i loro articoli. Se lei si sente offeso dal mio commento, mi scuso e sono felice che lei possa vivere riconoscendosi nel pensiero dominante senza mai coltivare dei dubbi. Le semplificazioni dei ruoli in questo film è ciò che richiede la maggior parte della gente, il cattivo da una parte ed il buono dall’ altra. Si ricorda quando i cattivi erano i nativi Sioux americani ed i buoni erano quelli che li sterminavano? In fondo li sterminavano, ma per il loro bene. E noi tutti a gridare: “Arrivano i nostri!” Mi raccomando, mai avere dubbi, perchè è pericoloso (soprattutto per chi ci governa).

        • Mi perdoni ma dissento sul suo paragone che trovo inappropriato. La diseguaglianza femminile, non solo sociale ma culturale delle donne ancora ai giirni nostri, è una grande pecca ancora da rusolere o meglio superare definitivamente.

          • ciò non significa che sia necessario semplificare il problema al punto da fare apparire ogni uomo come un elemento negativo del sistema. Mi dica, c’è un uomo in questo film che rappresenti una figura positiva? me ne elenchi uno, a parte il militare di colore (naturalmente se è buono, deve essere di colore, mai un bianco avrà il ruolo di buono nei film buonisti. C’è una donna che abbia un ruolo negativo nel film, a parte la madre del fidanzato della figlia della protagonista?

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