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“Beau ha paura” di Ari Aster, l’autore che sta riscrivendo le regole dell’horror

Il film di Aster ha un senso, ha una trama, parte e arriva da una parte fino a un'altra. In realtà il film due punti di partenza belli grossi li ha: la nascita e la morte.

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È uscito nelle sale il nuovo film di Ari Aster, uno dei registi contemporanei più ammirati e blasonati; un autore che con due film, “Hereditary” e “Midsommar” sembra stia riscrivendo le regole del nuovo horror, ampliandone i confini e rinnovandone il linguaggio.
“Beau ha paura” vede come protagonista Joaquin Phoenix, uno che in fatto di personaggi borderline ne sa parecchio.
Da “Joker”a “Vizio di forma”, “The master” e altro, Phoenix sembra il prescelto per interpretare un certo tipo di personalità dissociata. Quindi sembra naturale che il personaggio di Beau Wassermann sia tagliato per il suo modo attoriale.

“Beau ha paura” è il racconto dalla nascita alla morte, non si sa se oggettivo o soggettivo, eventi reali o semplicemente elaborazioni inconsci, ai margini del sogno, di un uomo di mezza età, che abita in un quartiere pieno di criminali e pazzi. Vive in costante allarme. Inoltre ha una madre, una manager di successo, che lo ricatta emotivamente. Ad un certo punto, per via di un incidente Beau si troverà costretto a compiere un viaggio suo malgrado che lo porterà in diverse circostanze….
Altro non posso dire, per evitare di incappare nello spoiler di una pellicola di due ore e cinquantanove, dove c’è davvero di tutto e di più, tra il senso della vita in genere, castrazione sessuale, influenza della donna nella vita di un certo tipo di maschio, teatro, cartoon, etc etc.

Mentre stavo cercando di fare un punto sul film di Ari Aster come sempre leggevo cosa ne pensano in giro, critici e semplici spettatori (il “semplici” non è riduttivo, anzi), “Beau ha paura”. Le recensioni sono divise, si dice che quando un film divide è già un valore per il film. Mah, io sinceramente non sono così sicuro. La divisione può dare dei frutti a chi si sofferma a leggere le due fazioni e cerca di farsi una sua idea, cercando di afferrare un senso. Però, se un critico scrive “non dovete capire, dovete lasciarvi trasportare” e invece che considerare il flusso inconscio che il film fa scaturire come via per la decifrazione ti sta dicendo che il film è un nonsense, secondo me dovrebbe smettere di scrivere di qualsivoglia cosa.

Il film di Aster ha un senso, ha una trama, parte e arriva da una parte fino a un’altra. In realtà il film due punti di partenza belli grossi li ha: la nascita e la morte. Nascita come evento traumatico, dato che prima del parto il regista ci mostra dei bagliori di luce che sembrano bombardamenti, vita come continuum dell’imprinting prenatale da parte del protagonista. Un rapporto con una madre che sin dalle prime parole sentite al momento della nascita instaura un conflitto, ha una delusione. Tra questi due punti Aster fa intraprendere al protagonista un viaggio, non si sa se tutto quello che vede è “oggettivo” o è una sua rappresentazione o un lungo sogno dal primo all’ultimo fotogramma.

Aster ce ne mette di abilità a costruire questa metafora conflittuale che si conclude con un’ennesima irresolutezza da parte del personaggio e di fallimento anche delle premesse liberatorie. Regista abile e creativo, si avvale di collaboratori di livello, tra cui il fedele direttore della fotografia Pawel Pogorzelski, capace di creare luci e ombreche ben illustrano le inquietudini dell’autore
Ma a mio parere non sa sempre controllare il materiale che ci getta addosso in quantità industriali. E così tra momenti di beatitudine, ridondanze simboliche e un certo narcisismo, mi è sembrato che “Beau ha paura” sia un film non risolto, con lampi di genio e tanta mercanzia non di prima qualità. Si potrebbe parlare di nuove vie narrative, il film è della A24, non so se definire benemerita o famigerata, si potrebbero notare tutti i frutti di un processo postmoderno che oggi si esprimono in questa nuova, differente, panopticale messinscena, in cui tutto è relativo ma questo relativismo a volte appare il più tosto dei dogmi.

Non so, che sia un interessante fallimento questo film? Non se ne esce a tasche vuote ma un po’ sballottati di qua e di là sì. È intenzione del film, certo. Ma a volte i giri del motore della barca vanno un po’ ad cazzum, ecco. Con una certa punta di misoginia e antimammismo non così di prima scelta che già Woody Allen e le sue mamme volanti o la soffocante relazione di Portnoy…insomma, letteratura sul caso ce n’è in abbondanza. Per cui il geniale finale (che a me ha fatto pensare, molto arbitrariamente, a un processo “opposto” a quello di Fellini su “La città delle donne”) chiude una vicenda fatta di alti e bassi, calibrate rese del sogno di Beau ed eccessi manieristici che forse si potevano risolvere in maniera meno tonitruante.
Giovanni Natoli

BEAU HA PAURA
(Beau is afraid)
(U.S.A., Canada, Finlandia 2023)
Regia: Ari Aster
Con: Joaquin Phoenix, Patti LuPone, Parker Posey

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