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Adelinda e Stefano. Travolti dallo stesso tragico destino?

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Andando dal Centro Storico di Chioggia verso Sottomarina, alla fine di Calle San Giacomo si arriva al ponte girevole, che, in orari fissati viene aperto per permettere alle imbarcazioni di entrare in Canale San Domenico, accedendo alla zona di carico e scarico del Mercato Ittico e all’ormeggio. Un canale, questo, alle cui fondamenta approda una parte delle barche di stazza maggiore della flotta chioggiotta, dedicate alla pesca d’altura.
Un panorama tipico, caratteristico, un paesaggio da cartolina. Ed infatti molti sono i turisti che si vedono mentre, con un selfie, catturano questo pezzo di Chioggia.
Dal 7 settembre dello scorso anno lo scenario è leggermente cambiato. Proprio a ridosso del ponte un peschereccio, l’Adelinda, che da tempo era fermo all’ormeggio imbarcando acqua, è affondato, adagiandosi dal lato di dritta sul fondo del Canale ed emergendo da questo in una sorta di agonia rassegnata.
Con il senno di poi si sarebbe potuti intervenire in molti modi diversi, dal portarlo in qualche squero per la demolizione, al trainarlo in un luogo meno trafficato; lontano dalle imbarcazioni che escono e rientrano dal mare; lontano dagli sguardi degli abitanti, ma soprattutto lontano dagli sguardi dei turisti. Ma nulla è stato fatto. Ci si è limitati a guardare questa carcassa già in disarmo, che relitto già era mentre ancora galleggiava, affondare un poco per volta.
Ma, se prima qualsiasi intervento sarebbe stato accettabile, con le dovute attenzioni, e con costi contenuti, nei limiti del possibile, ora le cose sono drasticamente cambiate.
Per poter recuperare il natante servono ora non solo le attrezzature adatte, dai costi nettamente superiori, ma si rende indispensabile individuare un luogo dove lo scafo

possa essere tirato in secca.
Già il giorno successivo i vigili del fuoco avevano cercato di recuperare il motopeschereccio issandolo con una gru posizionata su un pontone, ma la falla sullo scafo si è rivelata troppo ampia per poter procedere e, in tale occasione non è stato possibile neppure trascinare lo scafo in un fondale meno profondo. Al tentativo di recupero era presente al fianco dei Vigili del Fuoco anche la Guardia Costiera, oltre alle Guardie ai Fuochi di Venezia, un corpo specializzato nel gestire gli incendi nei porti, chiamato in questa occasione per arginare eventuali perdite di olii inquinanti che sarebbero potuti fuoriuscire dai serbatoi e dagli apparati meccanici dell’imbarcazione.
Dopo altri tentativi annunciati, ma non messi in opera, a un mese e mezzo circa dal naufragio, tra le motivazioni del mancato recupero hanno cominciato a subentrare anche le condizioni economiche dell’armatore che, già due anni prima, per l’Adelinda aveva vinto un bando per la demolizione, mai portata a compimento. D’altronde l’imbarcazione aveva cominciato ad avere problemi durante la navigazione, e la proprietà aveva deciso di venderla, separatamente dalla licenza per la pesca. Ma se quest’ultima ha trovato subito un nuovo proprietario, per la barca, che in condizioni ottime non sembrava fosse, non si è presentato nessun acquirente. Il resto è storia.
Il peschereccio così arenato, in uno degli scorci più caratteristici di Chioggia,

non è solo esteticamente brutto, non offre solamente una visione di degrado e di poca cura, ma intralcia, ingombra, impedisce l’ormeggio ad altri natanti, può essere causa di pericolo per le altre imbarcazioni sia nella fase di transito che all’attracco. Toglierlo dal posto in cui si trova offrirebbe un beneficio multiplo: ne godrebbe la viabilità del canale e l’estetica dello stesso.
Se il primo tentativo di recupero è stato frenato dalla mancanza di mezzi adeguati, il secondo dalle circostanze meteorologiche avverse, a bloccare il terzo, e ultimo per il momento, sembra esserci un pignoramento in atto, gravante sull’imbarcazione, a fronte di un credito di poco valore.
Per velocizzare la situazione è intervenuta anche la direzione del Mercato Ittico, che con il relitto ormai da mesi convive fianco a fianco. Ma al momento progressi non se ne vedono e,
 mentre molte voci si levano per spingere un intervento di rimozione per l’Adelinda, in Canale Lombardo la storia si sta ripetendo.
Stavolta non si tratta di un peschereccio ma di una vongolara, tenuta in tanta cura dall’ex proprietario, ora deceduto, e venduto a una società i cui membri sono stati coinvolti in un’inchiesta per droga chiamata Tsunami dagli inquirenti. Lo Stefano, questo il nome della vongolara, è stato quindi posto sotto sequestro.
Messo agli ormeggi in Canal Lombardo in questi ultimi giorni è stato slegato due volte.

Andando alla deriva, in entrambe le occasioni è finito ad incastrarsi sotto il ponte ciclo pedonale che collega Isola Saloni al centro storico, ostruendo il canale alla navigazione e costringendo all’intervento la squadra dei Vigili del Fuoco, che, non avendo i mezzi per trainarlo, ma neppure l’autorità per farlo, si è dovuta limitare a legarlo dove sembrava intralciasse meno.
Lo si sarebbe dovuto riportare all’ormeggio
originale, come impongono le norme dei codici, ma ora è legato temporaneamente a un’altra imbarcazione, in un tratto di canale dove sembra causare meno fastidio e pericolo per la circolazione e dove apparentemente si stanno radunando pescherecci e vongolare nelle stesse condizioni di abbandono, a formare una sorta di cimitero degli elefanti in versione nautica.
La vongolara in questo momento non è sottoposta al controllo da parte dei proprietari ma neppure è stato nominato un curatore che ne possa valutare le condizioni di sicurezza decidendo i provvedimenti necessari. Lasciata in balia di sé stessa e delle condizioni meteo, sembra stia imbarcando acqua, da quanto rivela la linea di galleggiamento, ben al di sotto del livello in cui dovrebbe trovarsi.
Il timore che comincia a serpeggiare è che possa diventare una brutta copia di ciò che sta succedendo nel Canale San Domenico con l’Adelinda, ma con un’aggravante:




la vongolara Stefano, al contrario dell’Adelinda, non è in disarmo.
Tutt’altro, è ben attrezzata, carica di tutti gli equipaggiamenti di cui necessitava per svolgere il suo lavoro, incluso il ferro a poppa, il cui compito è raccogliere le vongole e issarle a bordo, che già da solo contribuisce notevolmente ad aumentare il peso dell’imbarcazione. E se era pronta per uscire dal porto e recarsi sul tratto di mare o di laguna a cui era destinata è quasi certo che nei serbatoi ci fosse anche nafta. In che quantità, ci si chiede. Se dovesse, lo Stefano, fare la stessa fine dell’Adelinda ci sarebbe da preoccuparsi. 
Ora la parola dovrebbe spettare al Provveditorato alle Opere Pubbliche, che norma la circolazione nei canali. E, se non fosse compito suo, ci appelliamo a chi di dovere perché si dia da fare per evitare di avere rimpianti per aver potuto agire anziché esser rimasti solamente a guardare, e ad aspettare.

 
Micaela Brombo

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