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“A Venezia… un dicembre rosso shocking” film che colpisce ancora per il suo glamour e l’allure sinistro

“A Venezia... un dicembre rosso shocking”, girato negli anni '70 nella nostra città, è assolutamente da riscoprire. La recensione del film e le curiosità.

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Mi ritrovo di nuovo qui su questa testata a scrivere di un film ambientato a Venezia uscito negli anni ’70. Per quanto volessi cambiare decennio non posso non accontentare una commentatrice che sulla pagina Facebook de “La voce di Venezia” mi ha chiesto di scrivere una mia impressione su “A Venezia…un dicembre rosso shocking”.
Innanzitutto questo film mi riporta indietro nel tempo; esattamente a san Giovanni Grisostomo, dove si trovava la libreria della catena “Mondadori per voi”. All’ingresso ospitava le locandine dei film in programmazione al Rossini.

Ho un ricordo indelebile di quella di questo film di Roeg, che mi colpì proprio perché nel titolo era citata Venezia e per la parola “shocking”. E di shock vero e proprio si racconta all’inizio del film, ambientato nella campagna inglese dove John Baxter, architetto e restauratore, abita con la moglie Laura e i due figli. Mentre John osserva la foto da lui scattata all’interno di una chiesa e dove è ritratta la figlia Christine di spalle, seduta in cima a un banco e con addosso un impermeabile rosso shocking, questi vede l’immagine della figlia sciogliersi in una macchia dello stesso colore dell’abito. Nel mentre la figlia viene trovata annegata dal fratellino che avvisa i genitori. Sarà John a recuperarla dall’acqua dello stagno, cadendo nella disperazione.

Dopo questo antefatto seguiremo le vicende della coppia a Venezia, dove John è incaricato di restaurare la chiesa di san Nicolò dei Mendicoli, su incarico della curia e per conto dell’associazione “Venice in peril”. Nel frattempo nella brumosa città si aggira un serial killer che semina morti. Succede anche che Laura incontra per caso (forse) due sorelle inglesi, una delle quali, nonostante sia cieca, è una sensitiva con il dono della preveggenza…
Mi fermo qui nella narrazione della trama, poiché il film è un susseguirsi di scoperte da parte di John, fino alla soluzione finale.

Roeg, regista britannico qui al suo secondo lungometraggio e con un curriculum di eccellente direttore della fotografia (sue sono le luci di “Farenheit 451” di Truffaut), tratta il materiale narrativo del romanzo di Daphne Du Maurier, autrice già messa in scena da Hitchcock in “Rebecca”, all’insegna del suo personalissimo stile, legato principalmente alla tecnica del cut up.
Con questa tecnica, mutuata dalla nouvelle vague e che già nasceva con Eizenstejin, la narrazione viene frammentata con tagli di montaggio bruschi e serrati che, oltre a creare spaesamento, lavorano sulla linea temporale del racconto, con andirivieni di flashback e flashforward volti a confondere lo spettatore e a creare tensione, non riuscendo a capire se stiamo assistendo a eventi passati, presenti o futuri.

Roeg sviluppa il linguaggio che caratterizzava il precedente “Sadismo”, in co regia con Donald Cammell e che vedeva come coprotagonista Mick Jagger per una rilettura sui generis de “Il servo” di Losey. Ed è proprio con questo espediente oltre che nell’appeal complessivo del film, dovuto sia ad una splendida fotografia di Anthony Richmond sia a una Venezia davvero periferica e suggestiva, che questo film suggestiona ancora oggi. La città dicembrina, grigia e umida; le particolari location tra i giardini di sant’Elena, le zone di santa Marta, il rio del ponte dei Conzafelzi, fondamenta san Severo; i due protagonisti mai così fascinosi e così “stranieri” (una Christie dolcissima e un Shuterland irresistibile con addosso un indimenticato cappotto blu con sciarpa tartan); le due sorelle inquietanti e dolci allo stesso tempo.

Insomma, ancora oggi “A Venezia…un dicembre rosso shocking” colpisce per il suo glamour e l’allure sinistro che riesce a emanare. Mettiamoci pure il piacere di ritrovare il sapore degli anni ’70 degli eccessi macabri e abbiamo una bella lista di motivi per (ri) vederlo.
Così non si può dire però della narrazione. Roeg è così intento nell’incantarci che spesso appare più concentrato nel regalarci episodi a sé stanti piuttosto che a elaborare una storia che abbia un livello costante di qualità. In effetti molte scene di raccordo sono un po’ buttate lì, come se per il regista la storia fosse un impiccio da cui vorrebbe liberarsi. Veniamo sballottati di qua e di là in un intreccio affannoso e un po’ schizofrenico; e inoltre ci sono troppe false piste.

Forse la cosa migliore da fare per lo spettatore è pensare al film come alla sconfitta della razionalità davanti al Mistero. Se Laura non esita ad avere speranze nella mediazione della veggente che è in contatto con lo spirito della figlia, John Baxter ripete continuamente che la figlia è morta e non c’è nulla da fare se non accettare l’irreparabile. Ma sarà smentito dall’avvicendarsi dei fatti, compreso un flashforward a cui assisterà ad occhi aperti, che costituirà l’epilogo del film.

Donald Shuterland a Venezia
Donald Shuterland a Venezia

Accanto alle figure dei due protagonisti abbiamo un cast per gran parte italiano. Se escludiamo la veggente interpretata da Hillary Mason, abbiamo la bravissima caratterista Clelia Matania nel ruolo della sorella, Renato Scarpa in quello del misteriosissimo commissario, Massimo Serato in quello dell’arcivescovo e Leopoldo Trieste nei panni del perverso direttore dell’hotel dove soggiorna la coppia (è il Gabrielli Sandwirth in riva degli schiavoni). Quest’ultimo ha poco a che fare con la trama ma rinforza l’ambiguità della situazione, per via dell’ omosessualità del personaggio.

Alcune curiosità: la chiesa di san Nicolò dei Mendicoli era veramente in restauro al tempo, proprio a cura dell’associazione “Venice in peril” di cui si vede campeggiare il cartello a lato dell’ingresso. I restauri furono necessari a causa dei danni dell’acqua alta del ’66.
Dopo estenuanti ricerche per una chiesa adatta, Roeg abbandonò il progetto di realizzare gli interni in un capannone e riuscì a inserirsi nell’opera di recupero della splendida chiesa.

Oltre che a qualche attore, come Giorgio Trestini, vennero reclutati dei residenti, compreso il sacrestano dell’epoca. Anche le opere d’arte rappresentate (la croce antica mostrata da un prete all’arcivescovo fu una delle scoperte fatte durante quel restauro, mentre veniva smontata la pavimentazione per innalzarla a livello di guardia).

La scena dell’incidente occorso a Shuterland all’interno del luogo di culto venne girata dall’attore in persona, dopo che la controfigura si rifiutò di mettersi a rischio. Shuterland se la vide brutta e il suo salvataggio è “reale”. Il film subì un pesante taglio in una scena celebre: quella in cui i due protagonisti sono nudi in camera d’albergo e fanno all’amore. La scena (precisazione: non è una camera del Gabrielli ma del Bauer Grünwald) venne fatta censurare. In realtà è una delle migliori del film e pare che fosse stata decisa su due piedi da Roeg perché gli attori faticavano a entrare in sintonia.

Un’altra nota di rilievo è che per musicare il film venne chiamato Pino Donaggio, che al tempo non aveva mai lavorato per il cinema. Ed è da questo film di Roeg che inizierà la proficua carriera del nostro valente musicista, che poi presterà il suo ingegno in una meditazione sul lavoro di Betnard Hermann per i film di Brian De Palma. C’è da dire che però le musiche non sono uno dei punti di forza del film , in quanto l’autore si nasconde in un barocchismo prevedibile, dando l’impressione di inseguire il lavoro di Bacalov ne “La vittima designata”.

Una curiosità a margine: al tempo della lavorazione risiedeva alla Giudecca con la moglie il grande musicista Robert Wyatt, ospite di alcuni amici. Dopo la sua caduta da una finestra che lo ha costretto a vivere in sedia a rotelle, i due coniugi versavano in gravi condizioni economiche. Fu Julie Christie a trovare alla moglie lavoro come costumista per “A Venezia… un dicembre rosso shocking” e a regalare a Wyatt un organo elettrico col quale il musicista iniziò a comporre le musiche per il suo capolavoro “Rock Bottom”, uno dei grandi album del ‘900 e un disco profondamente marino. Ringrazio il musicista Sergio Cossu che me lo ha ricordato.

Per le location del film cedo volentieri il passo al sempre impeccabile sito del Davinotti. Ecco il link: https://www.davinotti.com/articoli/le-location-esatte-di-a-venezia-un-dicembre-rosso-shocking/185. Ne vedrete delle belle e riscoprirete luoghi che oggi non son più gli stessi.

Tirando le somme, personalmente trovo che “A Venezia… un dicembre rosso shocking” sia uno dei film migliori per come è messa in scena la nostra città.. Lo ho visto più volte e in quest’ultima ho riconosciuto la ruga giuffa con frutariol e tutto.
Questo film vive di luoghi nascosti, proiezioni dell’incubo che perseguiterà la coppia.. È uno dei suoi pregi assoluti.

Terminando posso dire che anch’io giudico il film complessivamente interessante e affascinante. La pellicola di Roeg sembra mantenere un incantamento irresistibile, a prescindere da limiti e incongruenze e scene di diseguale riuscita. Resta uno dei migliori servizi fatti alla nostra città, per il motivo che il regista si è ben guardato dall’effetto cartolina.
E bene ha fatto la Criterion a rieditare il film in versione integrale, dopo che era sparito dalla circolazione, tranne che per una copia su youtube, da vhs, con i tagli e per metà con audio fuori sincrono.

Per cui…buona (ri) scoperta. Di un film e di una città.

Giovanni Natoli

A VENEZIA…UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING
t.o.: “Don’t look now; (1973, UK, Italia)
Regia: Nicholas Roeg
Con: Julie Christie, Donald Shuterland, Massimo Serato, Clelia Matania, Hillary Mason, Leopoldo Trieste

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