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Il Cinema a Venezia: “La Cosa Buffa”, con Gianni Morandi e Ottavia Piccolo. Di Giovanni Natoli

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A proposito di Giuseppe Berto, il cinema e Venezia parte 1.

Con questo mio articolo, il secondo riguardante Venezia nel cinema, inizierò un dittico dedicato ai film tratti da romanzi dello scrittore Giuseppe Berto. Intanto un po’ di biografia dell’autore: Berto nasce a Mogliano Veneto nel 1914. Di umili origini (il padre era un ex carabiniere che lasciò l’arma per lavorare con la moglie al cappellificio di quest’ultima). Da giovane Berto frequentò il collegio dei Salesiani e in seguito il liceo Canova di Treviso, con scarso impegno. Terminato il liceo per il rotto della cuffia, venne sfiduciato dal padre che decise di non provvedere al mantenimento degli studi universitari. Da lì il rapporto col padre subì una frattura che lo scrittore cercherà di sanare nelle pagine del suo capolavoro “Il male oscuro”, romanzo psicoanalitico in cui il protagonista rivede la sua relazione col padre e la sua vicenda umana e politica, legata da principio alla giovanile adesione a GUF e poi alla carriera militare presso il Regio Esercito, dove combatterà nelle terre africane. Berto conoscerà anche l’esperienza dei campi di prigionia americani, data la sua appartenenza al Fascismo e alla sua carriera nelle forze armate durante la seconda guerra mondiale. Durante la carriera militare riuscì anche a laurearsi presso l’università di Padova, scelta perché la più economica.

Una vita difficile, fatta di povertà e di conflitti, di azioni di guerra, di studi fatti a fatica e non sempre perseguiti con dedizione. La prigionia gli permise almeno di entrare in contatto con la letteratura americana, scoprendo Faulkner ed Hemingway. I suoi tentativi come scrittore furono dapprima infruttuosi. Poi ci fu l’incontro con l’editore Leo Longanesi che si convinse a pubblicare il manoscritto di Berto “La perduta gente”. Longanesi pensò strategicamente di cambiare titolo con “Il cielo è rosso”. Scelta che si rivelò vincente; da quel momento la fortuna arrise allo scrittore. Da cui venne tratto un film diretto da Claudio Gora e uscito nel 1950 (il romanzo è del 1947).

Sebbene lo zenith letterario di Berto sia incontestabilmente “Il male oscuro”, romanzo che vede l’utilizzo di un linguaggio originalissimo, legato al flusso psicoanalitico e a certi esperimenti di avanguardia letteraria del tempo, la maggior parte delle persone lo ricorda per essere stato l’autore del best seller: “Anonimo Veneziano”, grazie anche al film che ne venne tratto, per la regia di Enrico Maria Salerno.
Il libro è ambientato in una Venezia autunnale e ombrosa che fa da cornice a un “breve incontro” tra due ex amanti. Ma anche un altro romanzo di Berto, il suo ultimo, è ambientato a Venezia. Oggi è meno ricordato ma anche in questo manoscritto Venezia ricopre un ruolo saliente, anche se non determinante come in “Anonimo Veneziano”.

Il film si intitola come il romanzo: “La cosa buffa”. I protagonisti sono Gianni Morandi e Ottavia Piccolo e la regia di Aldo Lado, regista originario di Fiume che perseguì una carriera principalmente come autore di cinema di genere e che, tra alti e bassi, si contraddistingue per una certa qualità registica che lo eleva dalla pletora di altri registi mestieranti. Fa pensare che un romanzo del 1966 possa essere adattato nel contesto post sessantottesco ma tant’è; il film da spesso l’impressione di essere un prodotto fuori dal suo tempo anche se in realtà ci sono alcuni rimandi alla sua contemporaneità che denotano come sia avvenuta una rilettura, perlopiù in chiave di reazione.

“La cosa buffa” racconta le vicende amorose di Antonio, maestro elementare di Badoere, figlio di una modesta famiglia ma con un nonno ricco, costretto a un’esistenza in una cittadina che non offre nulla e dove è ben difficile trovare una donna. Lui e il suo amico Benito (Fabio Garriba, bravissimo nei personaggi sgradevoli) ci provano e ne parlano ossessivamente. Un giorno Antonio decide di recarsi a Venezia e per caso nota Maria (Ottavia Piccolo) una giovane studentessa di lettere. La bellezza pulita di Maria conquista lo sguardo di Antonio che decide di avvicinarla. Nascerà una storia d’amore tormentatissima, soprattutto per la differenza sociale tra i due. La famiglia di Maria, i cu genitori sono interpretati da due capaci caratteristi come Riccardo Billi e Giusi Raspani Dandolo, non accetta la scelta della figlia di fidanzarsi con uno spiantato. Tra alterne vicende sentimentali, Antonio, dopo un momento di rottura con Maria conoscerà Marika, sempre nello stesso bar dove incontrò Maria. Marika è una giovane disinibita, dall’aspetto androgino, molto libera e affascinante, che sembra poter condurre Antonio verso una relazione più moderna. Ma la sconfitta è dietro l’angolo.

Nel mettere in scena il romanzo di Berto, Aldo Lado e gli sceneggiatori (oltre al regista abbiamo Alessandro Parenzo e lo stesso Berto) operano alcuni cambiamenti. Sono tentativi di attualizzazione di un soggetto che se pensiamo al romanzo poteva andare bene minimo venti anni prima ma che, forse proprio per un sentimento di disagio percepito da una parte della società messa in crisi dai cambiamenti, poteva al tempo avere un suo pubblico.
I personaggi di Antonio e Maria sembrano distaccarsi dal contesto giovanile degli anni ’70. Sono una coppia che potrebbe trovare spazio in quelle commedie anni Cinquanta un po’ alla “Poveri ma belli”, non fosse per l’uso di un linguaggio un po’ crudo e anche volgare da parte di Antonio e Benito, nei riguardi delle donne; segno di un periodo sociale e cinematografico cambiato. In special modo fan sorridere i sogni ad occhi aperti di Antonio, che immagina un matrimonio con Maria quasi come un musical o, anche peggio, gli stessi in veste di Romeo e Giulietta.
Una clip del film

Forse però l’attualizzazione più clamorosa e a mio parere più deprecabile è nel personaggio di Marika. La donna moderna e disinibita che sembra portare via Antonio da un’impasse non solo conflittuale ma anche sentimentale non è, come nel romanzo, una ragazza che ha avuto tanti amanti e che forse viene sfruttata dalla cugina ma semplicemente vien fatta confessare da quest’ultima che “non lo ama abbastanza” (personalmente subodoro che le due abbiano invece una relazione omosessuale).

Del tutto esornativo invece il personaggio dell’affittacamere di Antonio, interpretata dalla brava Angela Goodwin, che a un certo punto, d’amblè, è desiderosa di avere un rapporto sessuale col protagonista. Qui sembra di aggirarci un po’ dalle parti del mai dimenticato “Straziami ma di baci saziami; ma tutto il film, volendo, potrebbe sembrare una versione seria del classico di Dino Risi.

Ma la Venezia de “La cosa buffa” com’è? In verità è piuttosto interessante, anche se non raggiunge i livelli di sguardo inedito presenti in “Anonimo Veneziano”. Non è quasi mai ripresa con le solite vedute cartolinesche “maestose” ma si va a frugare in angoli più remoti e decadenti. Se per Badoere a fare la parte della leonessa è la famosa piazza con la Rotonda, per la città lagunare ci si muove tra le Zattere (pensione Calcina e gelateria da Nico, Quintavalle e san Trovaso(e qui siamo in piena atmosfera da Anonimo Veneziano), il solito ponte privato di Palazzo Malipiero a s. M. Formosa, che abbiamo già incontrato in “La vittima designata” (www.davinotti.com/forum/location-verificate/la-cosa-buffa/50010792 ecco il link del sempre benemerito Davinotti, con tutte le locations verificate). Da questo punto di vista “La cosa buffa” non delude, continua la linea della Venezia nascosta che tanta fortuna portò al film di Salerno.


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In conclusione posso dire che il film di Lado, rivisto oggi, pur con una regia adeguata, la bella fotografia di Franco Di Giacomo e il bellissimo tema di Ennio Morricone, è un film innocuo se non persino un po’ risibile. Ma forse lo era già al tempo in cui uscì. Resta comunque un bel campionario di una Venezia che sembra non cambiare e che invece è cambiata, eccome se è cambiata.

LA COSA BUFFA
(1972) regia: Aldo Lado
Con: Gianni Morandi, Ottavia Piccolo, Fabio Garriba, Angela Goodwin, Giusi Raspani Dandolo, Riccardo Billi, Rosita Toros, Dominique Darel

Giovanni Natoli

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