Venezia: I Giardini Reali. Un luogo incastonato nella mia memoria come uno tra i più suggestivi e affascinanti dell‘intera città. Un piccolo paradiso slegato da ogni logica spazio-temporale, che nel corso della mia infanzia ha rappresentato una meta fissa e obbligata di ogni uscita in compagnia dei nonni.
Correva il 1988: con la nascita di mio fratello, mia madre non riuscì più ad occuparsi a tempo pieno della mia crescente vivacità, e decise di affidare le mie passeggiate pomeridiane alla cura dei nonni.
Era una Venezia diversa che, nonostante il fiorente turismo che garantiva già 20.000 presenze giornaliere, rimaneva ancora florida, popolata e legata alle sue radici.
Il classico itinerario di nonno e nonna includeva un’immancabile capatina nella zona marciana, della quale ancora ricordo il sole battente accompagnato dai rintocchi della Marangona, che dall’alto del Campanile scandiva lo scorrere delle ore.
A San Marco c’erano i foresti, che affollavano i caffè della Piazza e proseguivano le loro passeggiate davanti ai Giardini Reali: era lì che mio padre svolgeva la sua attività, ed era lì che si andava per offrirgli un breve saluto.
Ricordo le panchine di marmo sulle quali mi sdraiavo a disegnare mentre i nonni scambiavano con lui quattro chiacchiere. Tutto intorno, i numerosi chioschi di souvenir che, contando su una maggior capacità di spesa del turista medio, esponevano una moltitudine di specchi in vetro di Murano, tutti decorati e appesi alle pareti con dei ganci metallici.
A fianco della fontanella era stato collocato un distributore di chewing gum, le cui finestrelle portavano abitualmente i segni di un accendino; “nonno perché è tutto sciolto?” “Xe stai i vandali”, termine che colpiva la mia innocenza suscitando un’incredibile curiosità su chi queste persone fossero e su come e perché agissero.
Dall’altro lato, addossati alle colonne di marmo, ricordo i pesanti binocoli “pubblici”, a prova di vandalo, puntati in direzione Salute e che sfidavano l’accecamento pomeridiano quando il sole se ne andava a tramontare proprio in quella direzione. Per attivarli, una grande apertura rotonda con una scritta: “100 LIRE”, e un bottone sporgente per riavere la moneta in caso di possibile inceppamento.
La vera magia iniziava quando, salutato il papà, si varcava la cancellata di ferro che delimitava i Giardini e i miei piedi iniziavano a calpestare la ghiaia.
Ma prima di addentrarci nei ricordi, apriamo una parentesi storica: come nacque un luogo così rigoglioso e affascinante a pochi passi da San Marco?
L’ideazione di quest’area risale al 1806. Venezia era appena stata ceduta dagli austriaci al neonato Regno d’Italia, Stato satellite dell’Impero Francese proclamato da Napoleone.
La reggenza fu affidata a Eugenio di Beauharnais, che per l’occasione fu insignito del titolo di viceré. E per un semplice motivo: era figlio della moglie di Bonaparte, uomo di indubbia fiducia che mai avrebbe messo in discussione l’autorità del patrigno.
Durante i suoi brevi soggiorni a Venezia, Beauharnais volle insediarsi direttamente in Piazza, ideando il cosiddetto “Palazzo Reale”.
Il faraonico progetto che dalle Procuratie Nuove arrivava al Bacino portò alla demolizione dell’antica Chiesa di San Geminiano, abbattuta per realizzare una “sala da ballo sul salotto più bello del mondo”.
Ma non solo: i trecenteschi granai di Terra Nova, utilizzati dalla Serenissima per stipare le provviste in caso di carestia, vennero visti come “caserme che ostacolavano la vista sulla Laguna” e furono rasi al suolo nel 1807.
Al loro posto, sorsero proprio i Giardini Reali.
Ma nel 1814 Napoleone capitolò, e Eugenio di Beauharnais lasciò per sempre la città, tornata nel frattempo in mano austriaca.
Fu l’architetto Lorenzo Santi a dare ai Giardini una forma compiuta, realizzando nel 1815 il boulevard alberato, i due boschetti, la serra e il neoclassico Padiglione del Caffè, destinato ad ospitare una elegante Cafehaus.
Soltanto nel 1857 il viale lungo la riva fu aperto ai passanti, con il posizionamento dell’attuale cancellata che delimita la strada dai Giardini veri e propri, rimasti ad appannaggio esclusivo della regnante dinastia asburgica.
La geografia del parco subì numerose modifiche adattandosi agli stili in voga nelle varie epoche, l’ultima delle quali avvenuta nel tardo Ottocento. Fino al 23 dicembre 1920, quando il luogo passò in gestione al Comune di Venezia e venne finalmente aperto a tutti i cittadini.
Il ponte che conduce in Calle Vallaresso, già presente ai tempi del Canaletto e in seguito abbattuto per “isolare” i Giardini Reali, fu ripristinato solo successivamente.
Ma torniamo al 1988 e alle visite pomeridiane con i nonni.
Una volta varcato il cancello e poggiati i piedi sui sassolini, si aprivano per me le porte di un altro mondo.
L’aiuola circolare davanti all’ingresso e il conseguente profumo d’erba già comunicavano alle mie narici il distacco con il resto della realtà che mi circondava.
(La continuazione nell’articolo seguente “Giardinetti Reali di Venezia dei miei ricordi, ma i lavori li riporterranno ad antico splendore“)
bellissimo il racconto sui giardinetti : Grazie Nino Baldan
Peccato che nella riva esterna che guarda al bacino, sia stato tolta parte dell’originale recinto e fatto … un pontile per Alilaguna… Dal mio esposto in merito ai Carabinieri Nucleo Patrimonio del 13.10.2017 non ho avuto riscontri, e nemmeno risposte dal Comune… Intanto dove c’era un cancello storico sulla riva davanti ai Giardinetti, ora passano orde di turisti…
Questo ormai è quello che conta a Venezia.
Mi auguro che qualcuno faccia luce sulla vicenda.
Vedere articolo: https://www.lavocedivenezia.it/venezia-si-arriva-a-demolirla-pur-di-dar-spazio-ai-turisti/
Prof. Fabio Mozzatto
(Veneziano D.O.C.)
Interessante e affascinante la lettura del post,aspetterò il seguito.complimenti a Nino Baldan
Grazie mille Valeria!
La seconda parte sarà incentrata sull’interno dei Giardini: com’erano, cone sono e come torneranno ad essere.