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Venezia: disabile costretto a vivere dentro casa

Non garantire ad una persona già afflitta da disabilità di poter uscire di casa, vivere, godere di quelle semplici cose che la quotidianità può donargli come l’incontro con i vicini, il saluto con gli amici della Giudecca, assomiglia ad una crudeltà istituzionale

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Il governo ha perso, le indennità da disabili non gonfiano reddito Isee

Un grido d’allarme che deve essere ascoltato. Non è più sostenibile la vita di Aldo e della sua famiglia.

Aldo è invalido al 100%, gli hanno amputato una gamba, vive e si sposta come può in carrozzina. La sua casa di proprietà comunale alla Giudecca, è in due piani e le scale rappresentano per lui e la famiglia un valico insormontabile che lo umiliano e lo scoraggiano. Vive con la moglie, un fratello che deambula a fatica e il figlio disoccupato. Ogni giorno la sua odissea si ripropone: inutili e vane le richieste d’aiuto al Comune per il cambio con una casa senza barriere architettoniche.

Eppure ne ‘avrebbe’ diritto e il condizionale del verbo tradisce e rivela la rabbia e lo stupore che un bisogno così vero e drammatico non possa essere preso nella dovuta considerazione.

Le scale non gli consentono di uscire di casa, i corridoi stretti e la struttura dell’abitazione, frenano anche i passaggi rocamboleschi da una stanza all’altra, dalla camera da letto al bagno, l’età dei coniugi (69 e 63 anni) segna con la fatica ogni spostamento, in bagno il signor Aldo ci può andare solo quando c’è il figlio che riesce a sollevarlo.

L’ultima domanda inoltrata al Comune risale a Novembre e va ad accumularsi alle tante precedenti, alle quali non è stata data risposta positiva. La moglie, stremata dalla fatica, rivela tutto lo sconforto per aver ricevuto uno sfacciato aumento di affitto. Il Comune chiede 850 euro, che sono per la famiglia con un figlio disoccupato, una vera e propria catastrofe, inoltre sulla valutazione del reddito l’amministrazione ha considerato la pensione di invalidità, che per il Caf, non dovrebbe essere inclusa nel reddito.

Ne deriva lo specchio dell’eutanasia della vita stessa. Non garantire ad una persona già afflitta da disabilità di poter uscire di casa, vivere, godere di quelle semplici cose che la quotidianità può donargli come l’incontro con i vicini, il saluto con gli amici della Giudecca, assomiglia ad una crudeltà istituzionale.

Mortificare le attese di una famiglia già provata dalla malattia, chiedere ad una donna e alla famiglia di sopperire alla violazione di un diritto, è davvero troppo. E se si pensa che la legge italiana assegna come diritto ai disabili il superamento delle barriere architettoniche, e se si aggiunge una realtà sommersa, che non si conosce e che registra in un silenzio siderale esistenze costrette a vivere a casa, le cui voci, le cui fatiche non ci arrivano, sembra impossibile che questa nostra società possa chiamarsi civile.

Andreina Corso

(foto di repertorio)

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