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Variante Indiana: quello che sappiamo finora e come possiamo difenderci

Ci si chiede anche se la 'variante indiana' non abbia abbastanza forza per soppiantare quella inglese, attualmente la più diffusa. Quello che è certo è che non è la prima variante a fare la sua comparsa e non sarà l'ultima.

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Variante Indiana: quello che è noto finora.
Il caso nel Bassanese sembra isolato e soprattutto di provenienza estera quindi sottoposto a isolamento e a tracciamento immediato.
Si tratta del primo caso in Veneto di variante indiana del Coronavirus ed è stata isolata in un uomo e sua figlia residenti a Villaverla, nei pressi di Bassano del Grappa (Vicenza).
La conferma è giunta da Antonia Ricci direttrice dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, che sta effettuando il sequenziamento dei ceppi del virus.
I due sono entrati subito in quarantena al loro arrivo dall’India a metà aprile.
I due casi sospetti nel Veneziano, invece, che paiono riferiti a due cittadini del Bangladesh, non sono ancora confermati.
La Variante Indiana è la mutazione più temibile di questi giorni ma in realtà si dovrebbe parlare di due ‘sorvegliate speciali’.
Sono due infatti le mutazioni individuate sulla forma più diffusa della variante indiana del virus sarsCoV2.

Sono molti i laboratori, anche in Italia, che le stanno studiando, ricostruendone la struttura 3D, mentre altri ottengono le sequenze e le confrontano.
A destare tutto questo interesse è il sospetto che, alla luce del dilagare dell’infezione in India, la colpevole della rapidissima diffusione del virus sia proprio questa variante appena individuata.
Ci si chiede anche se non abbia abbastanza forza per soppiantare quella inglese, attualmente la più diffusa. “Stiamo studiando la struttura 3D delle due mutazioni per vedere se sono connesse e se l’una aiuta l’altra”, ha detto Massimo Ciccozzi, direttore del laboratorio di Statistica medica ed Epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-medico di Roma.
La variante che si sta studiando si chiama B.1.617 ed è comparsa in India nell’ottobre 2020 con la variante B.1.618, che sembrerebbe meno aggressiva.
A complicare la situazione c’è il fatto che la B.1.617 ha già una ‘famiglia’, i cui membri sono le tre versioni chiamate B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3.
Di queste “soltanto la 1 e la 3 hanno la doppia mutazione”, spiega Gianguglielmo Zehender ordinario di Igiene dell’Università Statale di Milano.

E’ dunque su queste due ‘varianti della variante’ che si sta concentrando l’attenzione degli esperti.
Le mutazioni che stanno studiando sono la E 484 Q, presente nelle varianti brasiliana (P.1) e sudafricana (B.1.351.V2), e la L 452 R, descritta nella variante californiana (B.1.429).
Della prima si sa che “è in grado di sfuggire agli anticorpi, sia a quelli prodotti dal vaccino, sia a quelli generati da chi è guarito” e si sospetta che l’associazione con la L 452 R potrebbe potenziarne l’effetto”, osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca.
La variante B.1.617 è stata segnalata finora in una ventina di Paesi ed è quella dei due casi accertati in Italia.

Quello che è certo è che non è la prima variante a fare la sua comparsa e non sarà l’ultima.
Le strade per difendersi sono almeno tre e vengono ribadite:
– la prima è continuare a seguire le misure di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento;
– la seconda è accelerare le campagne di vaccinazione;
– la terza è fare le sequenze genetiche del virus.

“La nostra capacità di monitorare le varianti ha una sensibilità bassissima”, ha rilevato il microbiologo Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, intervenuto a ‘Buongiorno’, su Sky TG24.
“Non sappiamo qual è il repertorio delle varianti in Italia, facciamo un test parziale, una volta ogni 15-20 giorni, su un campione molto limitato e su pezzi del virus estremamente limitati: va cambiata la strategia”.

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