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Titane, concitata messinscena cyberpunk

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Si può immaginare un film su una ragazza che rimane incinta di una Cadillac? Oppure si rischia di invecchiare d’un colpo solo, come è successo a Nanni Moretti? Si, si può e senza rifare la foto sulla carta d’identità. Per fortuna si é liberi di raccontare qualunque storia.
Il problema resta sempre quello: non il “cosa” ma i “come” e i “perché”.
Spiace che Moretti se la sia presa così tanto; spiace meno se si pensa che il regista romano era convinto di avere la vittoria in pugno e invece ha dovuto accontentarsi del suo proverbiale sarcasmo. Ma mi appare altrettanto inverosimile la convinzione della regista Ducornau di riscrivere le regole del cinema ed essere colei che ne apre le porte al futuro, come ha dichiarato anche all’inaugurazione del “Cinema Troisi”.

Perché “Titane”, questa concitata messinscena cyberpunk, biomeccanoide, genderfluid rivisitata in salsa Donna Hataway, autrice del manifesto femminista cyberpunk, amplifica i limiti presenti nel precedente film della Ducornau,”Raw; piccolo racconto di cannibalismo virginale, non brutto ma mal assemblato, con idee di seconda mano, tra “Carrie”, “Rabid”, languori Refniani.
Possiamo anche starci al gioco del racconto sopra le righe proposto da questo secondo lavoro; ma Ducorneau, nel narrarci la storia di questa modella da autosalone (interpretata dall’esordiente Aghate Roussel) procede per un modo di raccontare a grosse trance con non poca presunzione; più scioccante che di sostanza.
Spesso “Titane” sembra un compendio di film altrui, soprattutto riguardo la forma; poco male questo; ma la dice lunga sul fatto che l’autrice non stia rifondando la settima arte. E lascia interdetti che alla fine tutta questa odissea della protagonista porti a un messaggio d’amore, la ricerca di nuovo familismo terzo millennio (un premio al coraggio a Vincent Lindon a metterci non solo la faccia ma soprattutto le chiappe); la speranza di un’umanità nuova, che supera le gabbie della propria corporeità attraverso la fusione con la tecnologia (già sentita questa, vero?).

Ecco che, a fronte di eccessi da killer seriale al ritmo di Caterina Caselli, melting tra corpi e macchina, sentori del Cronenberg più di “Christine” che del terribile “Crash” -e di Cronenberg in questo film non è che ce ne sia molto. (Semmai c’è del Luc Besson) alla fin fine più che lo sguardo terrorizzato del “Bambino delle stelle” di “2001”, che vede una nuova era con gli stessi orrori del principio dei tempi, c’è la gioia dell’arrivo un bebè mutante a infondere ottimismo e stampando la gioia nel volto di Lindon, che pare il razzista spaventato dal castigo divino de “Il giudizio universale” di De Sica (“non sei nero/ma sei di metallo”).
In mezzo un corpo di pompieri fustacchioni che, come gli operai di una celebre puntata dei Simpson, lavorano sodo per divertirsi sodo. La crisi del testosterone, materia ormai vecchia e impreparata al divenire dei corpi.
Un pasticcio, diciamolo. Divertente da vedere se non lo si prende sul serio, con qualche momento riuscito. Divertente come altri film che visti al cinema restano negli occhi.

TITANE
(id. Francia/Belgio) 2021
Regia: Julia Ducorneau
Con Aghate Rousselle, Vincent Lindon, Garance Marillier, Bertrand Bonello

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