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The Help (2011) – la verità  è insonne

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Luca Ferrari
ferrariluca@hotmail.it

Perché rompere quello che funziona? Perché modificare qualcosa nello scorrere placido del tempo se la propria comunità  di belle statuine mantiene una solida apparenza di aggraziata contentezza? Mi sono svegliato come ogni giorno, e non mi è neppure passato per la mente che tutto quello che faccio rescinde la maggior parte dei diritti umani. Dalle pagine di The Help (2009) di Kathryn Stockett, è sbarcato sul grande schermo l’omonimo adattamento cinematografico diretto da Tate Taylor, e distribuito dalla Walt Disney Pictures.

Sono gli anni ’60. La giovane Eugenia “Skeeter” Phelan (Emma Stone), dopo quattro anni di università , torna nella sua città  natale di Jackson, Mississippi. Tutte le sue amiche sono sposate con prole. Bamboline ricche e viziate che mettono al mondo figli solo perché la società  e i mariti lo richiedono, ma totalmente incapaci, sia fisicamente che emotivamente, di comportarsi come delle vere mamme. Un circoletto WASP dedito a superficiali e lontane opere di carità , partite di carte e con il più totale disprezzo verso la propria servitù di colore. A capo di questo vanitoso clan femminile, Hilly Holbrook (una “odiosa” Bryce Dallas Howard), che arriva perfino a proporre di creare servizi igienici a parte per i “negri”, ed è spalleggiata in tutto e per tutto dall’insignificante Elizabeth (Ahna O’Reilly), mai prodiga di affetto per la figlia ma senza alcuna remora nel rimproverarla in pubblico usando anche le mani. Al suo ritorno a casa, Skeeter non trova più la domestica che l’ha cresciuta, scacciata dalla madre superficiale (Allison Janney) poiché causa d’imbarazzo dinnanzi al solito club di spocchiose e razziste superficiali. Nella mente tumultuosa della giovane qualcosa inizia a muoversi.
Ignorando totalmente le aspirazioni materne che la vogliono esclusivamente maritata, trova un impiego nel giornale locale come sostituta di una rubrica di consigli domestici.

È solo l’inizio, l’intraprendente ragazza proporrà  a una rinomata casa editrice newyorkese un libro dal punto di vista delle donne di colore che crescono i bambini dei bianchi, senza poter curare i propri. Ad aiutarla nella stesura del libro ci saranno due indomite cameriere afroamericane, Aibileen (Viola Davis) e Minny (Octavia Spencer). Sono gli anni del Ku Klux Klan. Un bianco e un nero che parlano come amici non è una cosa normale, anzi. Può anche essere pericoloso. Un simile libro può essere una bomba ideologica. Skeeter è decisa. Il continuo sentire discorsi intolleranti, oltre ad assistere ad azioni irriguardose nei confronti della comunità  nera, la portano ad agire. Prima con ironia, facendo diventare il giardino di Hilly un deposito di water usati, poi con il manoscritto che evidenzierà  tutti i retroscena dei salotti quotidiani “bianchi” e il loro rapporto con il personale nero.

The Help (2011) vanta un cast corale di attrici dove ognuna sembra emergere più delle altre, a cominciare dalle tre candidate all’Oscar 2012: Viola Davis (attrice protagonista), Jessica Chastain e Octavia Spencer (già  Golden Globe 2012), entrambe nella categoria non protagoniste. Se Aibileen è il motore del film, la prima cameriera che accetta di raccontare, anzi, di scrivere la propria storia, le altre due formano una coppia incredibile. La “bianca” è l’emarginata Celia Foote, colpevole di aver rubato il “bello” a Hilly, la seconda è la nera Minny Jackson, picchiata dal marito e con svariati figli a carico, incapace di restare sempre posata. È Minny a rompere un certo equilibrio nella comunità  di Jackson, finendo così a lavorare proprio da Celia, in un rapporto che si svilupperà  molto più paritario e non segregante.

La telecamera di Tate è delicata. Abile a catturare la bellezza del panorama, in un mix di afosa rettitudine sui volti simil-botulinizzati delle giovani donnette, lasciando al contrario emergere una sorta di brezza tonificante quando si posa sulla ruspante ma genuinamente delicata figura di Emma “Skeeter”, o sul croccante pollo fritto abilmente preparato da Minny. A dir poco commovente la regia, quando segue gli occhi lacrimati della cameriera di casa Phelan, l’anziana Constantine (Cicely Tyson) appena licenziata, mentre riguarda con nostalgia e dolcezza i segni fatti sul muro che evidenziavano la crescita in altezza della piccola Eugenia.

Metafora perfetta dell’omertà  dilagante, la cittadina di Jackson non è un mondo lontano che non ci appartiene. È un capitolo ancora aperto per una grossa fetta di quel mondo che si spaccia ospitale e democratico. Chiuso nella sua visione retrograda e razzista, e aperto nel sangue che viene quotidianamente versato. Un mondo poco incline ad abbracciare la strada dell’orizzonte, e che al contrario brulica di ciarlatani, buffoni e assassini. Eugenia porta avanti la sua rivoluzione ideologica, rompendo definitivamente con il suo passato ma riconquistando il rapporto con la madre, che alla fine onorerà  il coraggio imparando lei stessa dalla figlia.

La pelle come il proprio credo. Il conto in banca come il cognome. Il mondo delle differenze non è mai cambiato, si è solo aggiornato nella sua miserevole autorità . Il presente è una versione moderna e più camaleontica di quanto di peggio sia già  accaduto in ogni sua più mostruosa forma di accettazione. Dall’alto del suo sorriso volgarmente candido, Hilly ripete da una pedana “separati ma uguali”, ricevendo consenso e applausi. “Separati ma uguali” si propaga il messaggio dalla muffa delle barricate, ideologiche o religiose che siano. Si continua a scandire questo messaggio ossessivamente. Tutto prosegue così, senza vedere come la strada diventi viscida. Tutto continua così, fino a quando qualcuno non decide di scrivere un nuovo capitolo della vita e spedendo al mittente ciò che è stato “ingurgitato fino a quel momento”.

C’è sempre una ragione per decidere di cambiare le cose.

[25/01/2012]
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