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Sciopero, esercitare il nostro diritto Costituzionale è alimento della Democrazia

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Lunedì 18 dicembre è toccato agli edili. Il 22 è il turno di chi lavora nella grande distribuzione. Lo hanno già fatto lavoratrici e lavoratori dei trasporti, i metalmeccanici, i chimici, quelli del pubblico, assieme a molte altre categorie.

Hanno fatto uno sciopero.

In ballo il salario, le condizioni di lavoro, il diritto alla sicurezza e alla formazione, l’armonizzazione dei tempi di vita e lavoro, la salvaguardia dei servizi e degli spazi pubblici, il diritto alla pensione, agli ammortizzatori sociali. Non ultimo – lo diciamo anzi come primo – semplicemente ad avere un lavoro. In molti casi, chiedono un tavolo di confronto negato dalle controparti, il ripristino di un contratto negato, la scrittura di clausole sociali che non mettano a repentaglio il loro lavoro ad ogni cambio di  appalto. In altri casi che il prossimo contratto non faccia regredire le condizioni di lavoro già conquistate. Perchè vogliono un contratto migliore, in cui si redistribuisca la ricchezza ma soprattutto che si permetta la piena realizzazione collettiva ed individuale, attraverso il lavoro, del raggiungimento del più ampio diritto di cittadinanza.

Ebbene, in una fase così difficile per il nostro Paese e forse per l’Europa intera, in cui dilagano nel contempo il non voto, l’anti-politica, la poca propensione alla partecipazione, il populismo, proprio in concomitanza della riproposizione di pericolosi venti di violenza e intolleranza che si abbattono sulle democrazie europee, questi scioperi, l’azione del Sindacato Confederale Italiano e gli interessi delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, dei tanti disoccupati, non parlano solamente delle loro legittime rivendicazioni, ma narrano di un Paese che non si rassegna a quei venti, ma che crede profondamente nella democrazia e nel suo pieno esercizio.

Non si considerino queste manifestazioni come fastidiose manifestazioni corporative. Le donne e

gli uomini che le stanno conducendo, chiedono condizioni di lavoro migliori in un paese migliore.

Pongono domande generali, ben al di là di interessi personali e di miopi rivendicazioni legate all’oggi. Credono che attraverso le loro richieste contrattuali e al conseguente miglioramento delle loro condizioni di lavoro, migliori il paese, che attraverso la crescita delle loro tutele, cresca il Paese intero.

Esigono di valorizzare la centralità del lavoro dentro il contesto democratico, perché il fondamento di ogni agire collettivo. Chiedono futuro, un Paese moderno e inclusivo, chiedono servizi adeguati alla persona e alle famiglie, chiedono di essere liberi in uno Stato che liberi dal bisogno. Chiedono soprattutto riconoscimento e giustizia sociale.

Ancora una volta il movimento dei lavoratori sta insegnando come, all’interno dei perimetri della democrazia, si possa e si debba, con la partecipazione, lottare per un paese diverso in cui il tema dei diritti collettivi con quelli del singolo, siano l’alimento migliore per rafforzare la democrazia stessa.

E’ questo uno dei più potenti antidoti alle derive di questi tempi difficili. La partecipazione, la voglia di cambiare le proprio condizioni, la consapevolezza del proprio ruolo all’interno di una società , pur trasformata, la necessità estrinsecata di voler essere un pezzo della storia perchè la storia gli appartiene. Donne e uomini che esigono rispetto perchè lavorano e contribuiscono allo sviluppo di un Paese consapevole, nei confronti di controparti in grado di ascoltarne le ragioni e disponibili a contrattare le condizioni, che non cercano scorciatoie ma che esercitano a loro volta il loro di ambito democratico di mediazione, riconoscendo la grande importanza di tutto questo.

Troppo poco viene ricordato dentro i cento anni di Porto Marghera, di come il movimento dei lavoratori sia stato una possente argine al dilagare del terrorismo e di ogni deriva intollerante, violenta o populista e troppo spesso, anche nella storia recente, E’ capitato, che chi avvilisce il movimento sindacale e le sue rivendicazioni, abbia poi consegnato i Paesi nelle mani di quelle derive che impoveriscono, rallentano ed escludono, fino ad annientare anche i diritti più elementari soprattutto in capo ai più deboli nella società , proprio le lavoratrici e i lavoratori.

Anni di svilimento del ruolo del Sindacato, di banalizzazioni, anni di frasi fatte in cui intere compagini politiche hanno addirittura previsto (e continuano a farlo), la chiusura dei Sindacati Confederali, verso forme di sindacato di comodo, o addirittura ne cavalcano le istanze per scopi elettorali, per poi accantonarle subito dopo, anni di paternalismo.Anni però – al contempo – di perdita di autonomia, di salari bassissimi e di sfruttamento, a questo abbiamo assistito.

Così per la politica nazionale, così purtroppo, anche per la politica locale

Tenere da parte il sindacato e indebolirlo, significa indebolire la democrazia.

Noi saremo sempre dalla parte di chi è convinto di poter migliorare le proprie condizioni in un Paese in una prospettiva di progresso condiviso.

Contro ogni populismo e ogni fascismo, evviva ogni piazza che parlando di progresso nel lavoro, chiede il progresso dell’ intero Paese.

ENRICO PIRON

Segretario generale della Camera del Lavoro Metropolitana di Venezia

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